Roberto Fico (foto LaPresse)

La foglia di Fico degli anticasta

Salvatore Merlo

Come Magritte. Il presidente della Camera indica la sua auto blu, e dice: “Questa non è un’auto blu”. Poi spiega che la colf in nero “è una carissima amica”. Storia un contrappasso biblico chiamato Roberto Fico

Adesso ha cominciato a dire che la sua auto blu “è grigia”. Che, in quanto a comicità, è un po’ come la scusa della colf Imma, pagata in nero 500 euro al mese, che però “è una carissima amica di Yvonne”, la sua compagna. O come l’ucraino Roman, che lavorava anche lui nella stessa casa a Napoli, da immigrato irregolare, ma quella “è beneficenza”. Insomma Roberto Fico, che non è Alberto Sordi né Checco Zalone, ma è il presidente della Camera, invece di ammettere, anziché ricondurre i fatti alla loro autentica dimensione, cioè quella della bagatella, della stupidaggine – una donna di servizio in nero, e che sarà mai? – si attorciglia in un rovo di omissioni, balle, balbettii, mezze verità, timori da moralista con la coda di paglia, e alla fine si comporta come uno dei simpatici imbroglioncelli di Pacco, doppio pacco e contropaccotto, se non come Ignazio Marino, si affida cioè alla retorica del fesso in buona fede, comica e micidiale figura, costretta a spacciare patacche per sopravvivere. E allora “questa non è un auto blu. E’ un’auto di scorta”, ha detto l’altro giorno Roberto Fico ad Antonino Monteleone delle “Iene”, indicando allo stesso tempo la grossa berlina tedesca con la quale viene portato in giro dall’autista, e rievocando così, in un lampo, la sensazione straniante di chi osserva la pipa di Magritte – “questa non è una pipa” – oppure il più surreale dei Totò, il turco napoletano: “Io sono turco, turco dalla testa ai piedi, ho persino gli occhi turchini”. Ora che lo vediamo soffocare sempre di più nel sudario dei suoi stessi pasticci ideologici e delle sue furbizie, verrebbe voglia di reagire con un minimo di fair play. Povero Fico.

 

Eletti scalzi e monacali, dolciniani furenti, comunardi ardenti, sventurati felici, sanculotti in cravatta. Assieme a Grillo, Di Battista e Di Maio, Fico ingigantiva con foga da ghigliottina le stupidaggini che riguardavano gli altri, dall’aereo di Matteo Renzi all’accusa d’intascare il vitalizio scagliata su “un tal Boneschi”, l’avvocato radicale eroe dei diritti civili morto nel 2016, fino all’epica della pensione di Giuliano Amato e altre bellurie. Scontrini, posti auto, pensioni, stipendi, rimborsi. Non il logico e civile non rubare. E nemmeno l’altrettanto logico e civile non abbuffarsi. Macché. Non c’è esagerazione caricaturale, enormità al di fuori d’ogni scala comparativa, escrescenza, supporazione dei tempi che il Movimento cinque stelle non abbia incarnato, dando addosso a ogni altrui cretineria: dove la casta sono sempre gli altri, e l’onesta-tà-tà sta solo di qua-qua-qua. Dal proclama grillino sulla contabilità delle caramelle, nel 2013 – in pratica la tolleranza zero: se non nascondi la Golia, non prenderai nemmeno la tangente – il loro è stato un crescendo surreale, stucchevole e soprattutto esibito. Con conseguenti cacce all’uomo. Al colpevole da linciare e bandire. Cosicché adesso il dèmone da loro evocato, cioè quel principio d’indignazione che chiama il consenso e sollecita la pubblica fustigazione, investe anche Fico, proprio lui, il puro, il grillino, l’uomo qualunque issato sul palcoscenico girevole di Montecitorio. E lo investe con la potenza di un contrappasso biblico. “Nella casa in cui vivo a Napoli non ci sono e non ci sono mai stati collaboratori domestici con contratto o senza contratto”, ha detto alle “Iene”, che sono il grillismo prima di Grillo. Un contrappasso biblico, appunto. Chi di stupidità ferisce, di stupidità perisce.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.