Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Di Maio e Salvini non devono governare da soli

Claudio Cerasa

Perché ai gemelli del populismo Mattarella non concederà di portare ruspe a Palazzo Chigi

Quando i vincitori delle elezioni dimostrano nel dopo elezioni di non essere capaci a far fruttare i propri voti, al presidente della Repubblica, di solito, non resta che una scelta: tentare di far nascere un governo servendosi non solo dei vincenti ma prima di tutto dei non incapaci. La settimana che si apre ci aiuterà a capire che traiettoria vorrà imprimere Sergio Mattarella a questa legislatura e ci aiuterà a comprendere se i gemelli diversi del populismo italiano troveranno un modo per diluire i propri capricci nel sacro principio di realtà. A prescindere da quale sarà la figura che verrà individuata per sbloccare lo stallo maturato nel corso delle consultazioni, c’è un tema cruciale con cui il capo dello stato non potrà non fare i conti nei prossimi giorni quando cercherà di trovare una soluzione per far nascere un governo. E quel tema riguarda una combinazione persino più difficile di quella legata alla ricerca di una maggioranza parlamentare. Potremmo metterla così: come si può tenere insieme, senza farli confliggere, interesse nazionale e volontà popolare?

 

Se per far nascere un governo fosse sufficiente basarsi solo sulla semplice volontà popolare, Sergio Mattarella non dovrebbe avere dubbi e non potrebbe non fare di tutto affinché Luigi Di Maio e Matteo Salvini portino il loro amore di fronte all’altare di Palazzo Chigi. La ragione per cui invece difficilmente vedremo un governo formato solo da Di Maio e da Salvini non è una semplice questione legata ai numeri (Lega e M5s hanno i parlamentari per governare sia alla Camera sia al Senato) ma è una questione legata a un paletto che il presidente della Repubblica sembra aver piantato in modo chiaro sul percorso accidentato delle consultazioni: senza contrappesi, un governo populista non solo non può, ma non deve nascere. In modo persino grottesco, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, negli ultimi giorni, hanno provato a offrire a Mattarella segnali utili a certificare la propria responsabilità (Di Maio, come potete leggere qui sotto nell’inchiesta di Luciano Capone ha persino cambiato il programma del M5s senza chiedere il consenso agli iscritti). Ma il presidente della Repubblica sa bene quali rischi si correrebbero a dare l’ok a un governo incapace di dare rassicurazioni su alcuni princìpi che per la settima economia più industrializzata del mondo dovrebbero essere non negoziabili (dai vaccini all’Europa, dalla Nato alla Russia, dalle pensioni al protezionismo). E per questo non potrà fare partire un governo se questo governo non avrà una delle due caratteristiche necessarie per combinare volontà popolare e interesse nazionale. Caratteristica numero uno: non potrà e non dovrà nascere alcun governo a trazione populista se in questo governo non ci sarà una presenza anche dissimulata di un partito europeista, come Forza Italia o come il Pd. Caratteristica numero due: non potrà e non dovrà nascere alcun governo a trazione populista se i leader populisti non accetteranno di essere guidati e condizionati dal Quirinale sulle decisioni strategiche che ovviamente comprendono la scelta del presidente del Consiglio.

 

Accanto a questi princìpi ce n’è un altro che il presidente della Repubblica sarà portato a considerare quasi come inevitabile dovendo pensare al futuro della legislatura: in caso di piano B, in caso di fallimento del governo tra i vincenti, qualsiasi altra opzione non può contemplare l’ipotesi che all’opposizione del governo ci sia da solo un partito populista. In altre parole, non dovesse riuscire la combinazione tra Di Maio e Salvini – che ieri hanno ancora bisticciato e che continueranno a farlo fino a quando non si voterà in Molise e Friuli – il presidente della Repubblica troverà un modo per far sì che il Movimento 5 stelle non sia all’opposizione di un governo. O provando a spingere il Pd verso il M5s. O provando a portare il M5s a non opporsi a un governo istituzionale. In un modo o in un altro il percorso entro il quale si muoverà Mattarella sarà questo. Un governo deve nascere e nascerà. Ma c’è da scommettere che in quel governo il capo dello stato non permetterà che ci siano da soli i due gemelli diversi del populismo italiano. Una ruspa a Palazzo Chigi non entrerà e l’incarico che Sergio Mattarella offrirà nei prossimi giorni ci farà capire in che modo il Quirinale eviterà che la volontà popolare si trasformi in una minaccia per l’interesse nazionale.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.