Alessandro Di Battista (foto LaPresse)

Di Battista “er Massimo”

Valerio Valentini

Si è defilato, dice, ma non rinuncia a ostacolare Di Maio. “Alessandro è come D’Alema”, sbottano i grillini

Roma. “Doveva fare come Veltroni. Sembra diventato il nuovo D’Alema”. La battuta, incautamente lasciata cadere da un parlamentare veneto in una delle tante chat interne, fotografa con icastica, e solo un po’ perfida, efficacia la parabola di Alessandro Di Battista. Che da mesi ha annunciato che vuole andare via, cambiare aria, tornare alla sua passione per il reportage esotico, lasciare la politica, almeno per un po’. Per Veltroni il buen retiro mille volte annunciato era l’Africa, Dibba preferisce l’America (partirà il 29 maggio, salvo imprevisti, alla volta di San Francisco): ma la sostanza è la stessa. Solo che poi, di rinunciare alla ribalta mediatica, il centauro grillino non se l’è sentita, e ha cominciato a scombinare i piani di quello che pure sarebbe il capo del suo partito, e che pertanto rischia di metterlo in ombra. Come un D’Alema qualunque, appunto. “Come se non fosse già abbastanza complicata, la situazione”, si sarebbe lasciato sfuggire Luigi Di Maio, quando ha letto, mercoledì scorso, il post pubblicato da Dibba su Facebook. Ma al di là della battuta, la rabbia del leader pentastellato era palese: lui era lì in bilico su trattative sempre più complicate, e quello che se ne esce attaccando frontalmente Silvio Berlusconi, definendolo “il male assoluto”. Nel cerchio ristretto di Di Maio, hanno cercato di aggirare l’imbarazzo. “Alessandro è un battitore libero”, si sforzavano di spiegare ai deputati leghisti che chiedevano spiegazioni per quella dichiarazione inconsulta di Di Battista. Hanno provato a metterci una pezza, insomma. E invece Dibba, tetragono, due giorni dopo ha rincarato la dose dal palco di Perugia, dov’era ospite del Festival del giornalismo: “Salvini sembrava Dudù. Berlusconi parlava e lui muoveva la bocca”, ha detto, commentando l’esito del secondo giro di consultazioni al Quirinale. A quel punto, l’insofferenza è diventata malessere: “Sembra chiaro che ti sta mettendo il bastone tra ruote, che vuole impedirti di trovare l’accordo col centrodestra per non farti andare a Palazzo Chigi”, hanno detto a Di Maio alcuni suoi consiglieri.

 

Il leader, innervosito, ha preferito glissare. Chi lo conosce bene, Di Battista, dice che il sangue agli occhi, al barricadero romano, gli è salito quando in rete è tornato virale il video in cui lui, imperturbabile, sentenziava: “Il giorno in cui il M5s si dovesse alleare con i partiti responsabili della distruzione dell’Italia, io lascerei il movimento”. Non accettava che, per spianare la strada al trionfo di Di Maio, fosse lui a farci la figura dell’incoerente. E a quel punto si è messo di traverso. Chi invece lo stima meno, ridimensiona il tutto: “E’ che Alessandro è incapace di non sentirsi al centro dell’attenzione per più di una settimana. Tutto qui”. Insomma, solo “un’ansia di protagonismo”, nulla più. Sarà. Sta di fatto che, pur non volendolo, forse, fino in fondo, con le sue dichiarazioni Di Battista ha dato nuova voce a tutto quel fronte interno per nulla soddisfatto della svolta dirigista di Di Maio e Casaleggio. Non a caso venerdì, tra i primi a pronunciarsi contro l’ipotesi del mandato esplorativo alla presidente del Senato, è stato Andrea Colletti, cioè colui che in assemblea dei parlamentari, due settimane fa, si è apertamente espresso contro il nuovo regolamento dei gruppi. “Casellati, se  vuoi i nostri voti magna tranquilla”, ha scritto su Facebook il deputato abruzzese.

 

Da Napoli, invece, Paola Nugnes è intervenuta così, parlando al Foglio: “Va bene l’accordo alla tedesca, purché però sia chiaro che è un patto momentaneo tra diversi. E purché lo si metta in votazione in rete, sul blog”. Stesse precisazioni ribadite anche dal savonese Matteo Mantero. Sarebbe sbagliato vederci una regia unica, un disegno preordinato, certo. Una deputata pentastellata la mette invece così: “Non è che stia puntando a farsi una sua pattuglia. Però inevitabilmente, con le sue esternazioni, Alessandro ha coagulato intorno a sé alcuni di noi. Nel Movimento funziona un po’ in questo modo: anche Roberto Fico era diventato un capocorrente senza neppure accorgersene”. Già, Fico. Il rischio, per Dibba, è proprio quello: ostacolare il suo leader, sognando di rimpiazzarlo alla guida del partito, ma ridursi alla fine a doversi acconteare, al massimo, di fare il capo della minoranza interna. Se il modello è D’Alema, del resto.

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