Beppe Grillo in tribuna in Parlamento con Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi (foto LaPresse)

Zero competenze, zero esperti. Le liste di Di Maio chiariscono l'essenza del M5s

Claudio Cerasa

Finalmente un po' di trasparenza nel messaggio politico dei pentastellati: per vincere le elezioni non bisogna dire nulla, basta aizzare gli istinti anticasta. Elogio del metodo Casalino-Casaleggio

Li abbiamo criticati spesso per essere dei furbacchioni incapaci, non trasparenti, opachi, incompetenti, contraddittori, dei matti da legare, semplicemente delle mezze pippe, come direbbe con tono epico il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Invece oggi, dopo aver studiato attentamente i nomi simbolo delle loro liste, siamo qui a toglierci il cappello e a complimentarci con i Cinque stelle di Luigi Di Maio. Bisogna dedicare novanta minuti di applausi all’uomo solo al comando del grillismo per essere riuscito, immaginiamo senza aver fatto neppure chissà quale sforzo, a riempire le liste del M5s di candidati mossi dall’unica idea di rappresentare in modo puro, genuino e trasparente il vero e unico messaggio veicolato oggi dal grillismo: il nulla cosmico, che si proietta verso il prossimo Parlamento facendo leva sull’idea genuina di offrire al paese una proposta coerente alla leadership espressa dal capo politico del movimento. Di là ci sono gli esperti, l’élite, la scienza, l’establishment, la casta, l’esperienza, persino la competenza. Di qua invece tutto l’opposto. Ci sono, in un mix perfetto tra il modello Casalino e il modello Casaleggio, l’approssimazione, la non competenza, l’ignoranza, l’incapacità, il metodo del vaffanculo moderato offerto stavolta con cravatta e papillon.

 

E così accanto al mitologico capolista in Campania Carlo Sibilia, il deputato del direttorio che sosteneva la teoria del complotto del finto allunaggio. Accanto a Franco Fracassi, autore insieme a Giulietto Chiesa di “Zero”, un film-documentario cospirazionista sull’11 settembre,nel quale, come ha ricordato su queste pagine Luciano Capone, si sostiene che quello fu un autoattentato degli Stati Uniti. Accanto a tutto questo ben di Dio si trovano anche altri nomi che in un paese normale sarebbero stati descritti per quello che sono: il simbolo di una nuova classe dirigente che ha scelto di mascherare la sua esplicita impresentabilità dietro la fuffa vuota ma egemonica della retorica anticasta. Il principio è chiaro: non conta la tua identità, conta l’identità dei nemici contro cui combatti. Non conta la tua competenza, conta la popolarità degli avversari contro cui urli. Non conta quello che sei, conta quello che non sei. E così si sfogliano le liste e ci si imbatte in esempi spettacolari. C’è il caso del comandante Gregorio De Falco, diventato famoso per essere stato intercettato mentre urlava “cazzo” a un comandante fellone. C’è il caso di Elio Lannutti, ex Idv, numero uno di Adusbef, Associazione difesa utenti servizi bancari e finanziari, campione della delazione, divenuto famoso per via delle molte denunce che hanno fatto partire le famose inchieste contro le banche della procura di Trani. Un bijou.

 

I nomi degli impresentabili grillini sono molti e in effetti sembrano usciti tutti da una puntata della “Gabbia” di Gianluigi Paragone. Non c’è candidatura grillina che non abbia messo al centro quella che oggi è l’essenza del modello Di Maio: la diversità. Dove per diversità si intende che noi, noi grillini, non faremo come gli altri partiti che provano a mascherarsi dietro a candidature eccellenti o pezzi di società civile. Noi no: noi siamo diversi, noi candidiamo i peggiori, gli impresentabili, per dimostrare che siamo coerenti, che per vincere le elezioni non vogliamo dire nulla, vogliamo solo indicarvi i nostri nemici, vogliamo solo offrirvi un vaffanculo grande come una casa magari nascosto dietro una cravatta di buona sartoria. E’ il modello Casalino-Casaleggio. Il marketing vuoto che gioca con l’algoritmo del dissenso sfruttando il metodo della celebrità à la Grande Fratello per dimostrare che l’unica competenza che serve al paese oggi è la non competenza, purché utilizzata come un’arma per distruggere l’élite degli esperti. Il messaggio è chiaro. Per vincere le elezioni non bisogna dire nulla, basta aizzare gli istinti anticasta del paese. Tutti, compreso quello che negli ultimi anni ha trasformato i vaccini in un famigerato strumento al servizio dei poteri forti. Ma quando a un’élite di esperti si sostituisce un’élite di incapaci che trae la sua unica forma di conoscenza dal maoismo digitale, il risultato è che la finta cura diventa un virus. I numeri sul morbillo che avete visto tutti – rispetto al 2016, nel 2017 i casi sono aumentati del 230 per cento – dovrebbero far aprire gli occhi a chi ancora non li ha aperti: l’anticasta non è un vaccino contro l’arroganza della casta ma è un virus che può far morire il paese a colpi di incapacità e incompetenza. Il modello Casalino-Casaleggio è lì a dimostrarci tutto questo, per una volta in modo trasparente.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.