Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Perché Grillo e Gentiloni hanno ragione a vedere lontana la vittoria di Di Maio

Claudio Cerasa

Incompetenza, regole del Quirinale, trucchi dei sondaggi: il grillismo è destinato ad arrivare tre alle elezioni

Come sta il Movimento 5 stelle? A poco più di un mese dal voto del 4 marzo, c’è una domanda che incuriosisce molti osservatori e che riguarda lo stato di salute del partito guidato da Luigi Di Maio. Il 7 gennaio, conversando con il Foglio, Silvio Berlusconi ha detto che “il Movimento 5 stelle è il più grave pericolo per l’Italia dal Dopoguerra a oggi, e può davvero vincere le prossime elezioni”. Qualche giorno dopo, il 22 gennaio, il presidente del Consiglio in carica Paolo Gentiloni, conversando anche lui con il Foglio, ha detto invece di credere che “la possibilità che il Movimento 5 stelle arrivi a guidare il governo semplicemente non ci sia”. Come stanno davvero le cose lo scopriremo il 4 marzo, ma al momento possiamo dire che sulla base di quello che sappiamo oggi esistono molti segnali che potrebbero dar ragione a chi sostiene che il vero motivo per cui Beppe Grillo ha scelto di separare la sua carriera da quella di Luigi Di Maio è legato anche alla volontà di non assumersi responsabilità per la probabile sconfitta del 5 stelle alle prossime elezioni. Dunque proviamo a stare al gioco di Gentiloni: perché il 5 stelle non ha probabilità di arrivare al governo? Lasciamo stare da parte la ciccia (incompetenza, incapacità, inadeguatezza, flop del modello Raggi, flop del modello Appendino) e concentriamoci su altri piccoli dettagli e altre ragioni.

 

La prima riguarda un’impressione che hanno molti sondaggisti: la possibilità cioè di avere un 5 stelle sovrastimato e di avere invece un Pd sottostimato per via di un astensionismo al momento più orientato verso il Pd. La seconda ragione riguarda il metodo che il presidente della Repubblica seguirà nel corso delle consultazioni: in caso di maggioranza non autoevidente il capo dello stato non darà l’incarico al primo partito, o al primo gruppo parlamentare, ma darà l’incarico a una figura potenzialmente in grado di trovare i voti per sostenere la coalizione arrivata prima alle elezioni. Questo significa che se il centrodestra dovesse arrivare primo senza avere la maggioranza per governare, il primo incarico verrà dato a una figura del centrodestra. Se poi il centrodestra dovesse fallire, l’incarico verrà dato alla seconda coalizione. E oggi i sondaggi dicono questo (sondaggio Swg per il Foglio del 25 gennaio): coalizione centrodestra 36,7 per cento, coalizione Pd senza Liberi e uguali 28,1, coalizione centrosinistra allargata a Liberi e uguali 34,5, Cinque stelle 27,8. Chiaro? Chiaro.

 

La terza ragione riguarda invece un trend che molti tendono a ignorare: negli ultimi cinque anni le cose ai grillini non sono andate bene. Alle amministrative del 2016, il M5s ha vinto a Torino e a Roma, d’accordo, ma su un totale di 121 comuni al voto ha vinto in 19 casi, il centrosinistra in 34, il centrodestra guidato da Forza Italia in 29. Alle amministrative del 2017, il M5s è rimasto fuori da tutti i ballottaggi nei 25 comuni capoluogo al voto, ha perso tre delle città che aveva conquistato cinque anni prima (Parma, Comacchio, Mira) e nei 160 comuni superiori ai 15 mila abitanti è arrivato al secondo turno solo in 10 casi. A novembre stessa storia: in Sicilia, dove alle elezioni politiche del 2013 aveva preso il 34,5 per cento (9 punti in più rispetto alla media nazionale) era il partito da battere ma alla fine è stato battuto dal centrodestra, pur avendo ottenuto il 26,7 per cento dei voti (vige in questo caso la regola che il 5 stelle in Sicilia vale 9 punti in meno rispetto alla media nazionale?). Fare previsioni per le prossime elezioni è impossibile ma i numeri di oggi e quelli di ieri dicono che Gentiloni potrebbe avere ragione: la possibilità che il M5s arrivi a guidare il governo non c’è.

 

In fondo anche in Spagna nel 2016 in molti pensavano che un partito di nome Podemos dopo aver conquistato due grandi città (Madrid e Barcellona) avrebbe avuto la strada spianata per le politiche. Un anno e mezzo dopo le vittorie cittadine, però, Podemos è “arrivato tre”, a causa della sua incompetenza, incapacità e inadeguatezza, perdendo 190.204 voti nelle città conquistate a giugno 2016. Alla fine, per quello che sappiamo oggi, potrebbero aver ragione sia Berlusconi sia Gentiloni: come partito, Di Maio rischia di arrivare primo; ma dato che per governare servono le coalizioni, il grillismo è destinato ad arrivare tre. La scommessa di Grillo, per una volta, potrebbe essere giusta: togliere il suo nome dal simbolo del Movimento per poter arrivare il 5 marzo e dire allegramente a teatro: scusate, Di Maio chi?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.