Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

Una Capitale Gentilona

Michele Masneri

Ritratto antropologico del collegio Roma1, quello del generone e delle folle riflessive, lì dove si candida il premier

Poche certezze, nella Roma affranta e sfranta della mondezza e dell’anarchia del gabbiano-cinghiale. La società civile e anche quella no ha tirato il proverbiale sospiro di sollievo quando Paolo Gentiloni ha annunciato che si candiderà “nel Roma 1”. Il meglio collegio d’Italia, quello che fu di Silvio Berlusconi nel 1994, di Walter Veltroni nel 1996 (e di Giovanna Melandri nel 2001, vabbè). Collegio oggi riformato in dimensioni e nome, si chiama “Trionfale”, inopinatamente, a richiamare quel mercato coperto dei Prati più misterici. E ha inglobato Trastevere, e comprende Testaccio, è insomma altra cosa rispetto al “centro”, centro municipale che, unico, nel 2016 al ballottaggio premiò Roberto Giachetti (solo quello, il centro e i Parioli, mentre la città andò incontro al destino spelacchio di Virginia Raggi).

 

La Roma gentilona, però, la capitale del Roma1, è più della somma delle sue parti, è ampia, è in crescita. La Roma gentilona è maggioritaria, tribale, identitaria. Crede nel sampietrino ma anche nell’asfalto, e parte idealmente dal palazzo avito dei Gentiloni Silveri, dinastia marchigiana, marchesi, e il marchesato è più ampio d’una contea; nel palazzo umbertino a via Venti Settembre ove oggi vigila una camionetta dell’esercito, e proprio vicino al palazzo della Difesa, pochi metri più in là, dove, qualche giorno fa, il premier andò in missione, e, sceso da un’auto, nel suo cappotto, venne così salutato da una signora: “Grazie Gentiloni per aver salvato l’Italia!”, e lui con romana-gentilona nonchalance e sincera democratica sorpresa disse “vabbè, adesso non esageriamo”. Il loden gentilone è peraltro cosa diversa dal loden tirolese-montiano che in altri anni venne a salvare (vabbè, non esageriamo) l’Italia, è un loden blu, un po’ sformato, ha la polverosità dei ceti abbienti e antichi del centro storico, anzi Roma1 anzi Trionfale, di quella peculiare tribù di alta borghesia – stirpe così rara in Roma – addirittura con nobili lombi, ma da non confondere assolutamente con le aristocrazie straccione, nere o bianche, che affittano i palazzi ai party impresentabili. Qui la stirpe è antica ed è conservata sotto il vuoto spinto dell’understatement, quei Gentiloni che in città son noti per essere i discendenti naturalmente del marchese Gentiloni dell’omonimo patto, ma usano un solo cognome pur avendone due, mentre nello studio del cugino avvocato Michele Gentiloni Silveri, che li usa entrambi, e ne ha ben donde, difensore com’è a tutt’oggi di Santa Romana Chiesa. Nel suo studio, in cui si ebbe ventura d’entrare, ecco ancora degli avi imparruccati, fieri del doppio cognome. Ma il Gentiloni premier, monocognome, e candidato del Roma1, col suo loden da cattolico adulto, con la zazzera, è altra cosa. Mette naturalmente d’accordo tutti. Anche mondi apparentemente inconciliabili.

 

La Roma Gentilona è fatta dalle folle riflessive che alle diciannove e trenta, lunedì scorso, sciamavano verso l’auditorium di Renzo Piano per assistere al film di Walter Veltroni dedicato al sopravvissuto di Auschwitz, nel giorno della memoria per di più: al consueto appuntamento del Roma1 sotto quei mattoncini del Foro romano della Roma veltroniana accorrevano tutti, da Giorgio Napolitano al figlio Giulio Napolitano, al direttore di Repubblica Mario Calabresi, a Gianni Letta. Un rito civile importante e antichissimo, la proiezione veltroniana, presso le tribù del Roma 1, nel luogo in cui si celebra la festa del cinema di Roma e si bevono gli spritz del baretto Red, e i più solidi delle società civili vanno ad ascoltare i quartetti concertistici. Taluni quella sera convergevano invece sull’opening del tre stelle Michelin che apriva proprio lì vicino, ai Parioli, nella fatale piazza Verdi, dove in tempi pre-euro si stampava moneta. Lì accanto, in una ex banca, apriva il ristorante dell’anno, quel Niko Romito portatore di stelle, e affluiva un pubblico squisitamente pariolo con acque di colonia e Penhaligon’s e cappotti; altri loden, ma su misura, più soffici, dei sarti grossi di via Bertoloni e Sicilia. Niente a che vedere col loden gentilone. Eravamo infatti du côté del Roma 2 (i confini, spietati, separano i Parioli dal Centro. La loro candidata del Pd è Marianna Madia, Anche il microclima è più rigido).

 

Intanto nel Rione Monti (epicentro del Roma1) già faceva sensazione l’apertura di un altro ristorante, quello di una tal chef romana-cinese che rifiutando la laurea alla Luiss (università molto Roma2, zona Trieste) ha aperto il suo locale fusion (con dumpling alla vaccinara) proprio nel quartiere un tempo di scrittori, oggi soprattutto di bottiglierie, con gli intellettuali e gli sceneggiatori deportati nell’Esquilino sempre in via di gentrificazione, Sorrentino-Garrone ma anche Piccolo-Stancanelli e perfino Willem Defoe che abita il Colle oppio più araldico. E Nancy Brilli che pulisce le strade volontaristicamente nella città che ha abdicato alla mondezza.

 

Lì nel Colle Oppio fatale c’è il seggio e si andrà a votare pure noi, neofiti del Roma 1, e con quale emozione, per la prima volta dopo una vita di voti nel Nordovest d’Italia, quei collegi dimenticati da Dio, e finalmente invece Roma1. “Capirai, votare nel Roma1”, verrebbe da dire con emozione come Mario Brega in “Borotalco” quando porta ‘su figlia a compra’ le scarpe a via Veneto; chissà che emozione nell’urna il 4 marzo, chissà se i nativi romani avranno ancora quest’emozione di votare nel Roma1. Son rimasti in pochi, in realtà, se ne vanno tutti, aziende, pubbliche e private, creativi impoveriti, emigrando verso nord sull’asse dello snack dolce o salato delle Frecce. Tanti romani che vanno verso la – un tempo – odiata Milano, e lì mettono radici, e si mimetizzano, hanno sostituito i pugliesi, si appassionano (dietro un milanese imbruttito oggi c’è sempre un romano pentito). La Roma gentilona è così oggi deserta e maestosa di notte, i lungotevere luccicanti, pochi podisti la godono come nel celebre film. A Roma è rimasta la ristorazione, il Tridente del Fritto e oggi del Trapizzino, aggiornamenti di genius loci alla temperie masterchef: la pizza, soprattutto, pizza gourmet di Bonci che ha aperto anche a Chicago e la pizza tonda di Pier Daniele Seu.

 

Chi non cucina, nello spopolamento della Roma gentilona, si ingegna col real estate: la Roma gentilona non è più quella palazzinara d’un tempo, è la Roma Airbnb. Il mattone grandiosamente ereditato o faticosamente mutuato, è la Roma che s’affitta l’altana terrazzatissima del palazzo avito o la stanza con uso di cucina del trilocale di mamma: sempre e comunque sapendo parlare coi turisti grazie alle lingue apprese in costosi diplomi al Marymount o St. Stephens o Châteaubriand (anche solo: château), le scuole per piccoli di potere che allignano sui colli del Roma 1. Anche se naturalmente il potere vero cresce nelle scuole pubbliche, nelle public school sgarrupate ma solide, e Gentiloni ha fatto il Tasso, la Gordonstoun di via Sicilia, accademia celebre per utenza araldica-intellettuale- trasversale (in quegli anni, Veltroni, Ignazio Marino, Nanni Moretti, Antonio Tajani, il cinéphile Marco Muller), tutta una cosa d’insegnanti di religione gesuiti molto aperti cui confessare partecipazioni a manifestazioni, un po’ di botte, trotskismo, Potere Operaio, cancelli di villini liberty e ghiaie scricchiolanti del quartiere. Ma l’homo gentilone, l’elettore del Roma1, può aver fatto anche il Mamiani, altro glorioso liceo, però Oltretevere, e lì siamo già in zona Rai, tra le lucine di Settembrini, le presentazioni di Settembrini-libri, la mensa Rai con gli gnocchi alla panna, e i karaoke degli autori Rai e dei nuovi salotti in ascesa e del Tartarughino; anche lì alligna l’homo-gentilone che in questa Roma in questi anni è cresciuto, viene forse in metro sulla linea A, sfiorando le bande zingare, col suo script, o forse in Smart (poi forse prosegue verso Saxa). E’ stato rutelliano, l’homo gentilone, poi compattamente veltroniano, poi renziano, oggi è deluso, non sa bene di che, e però ha una certezza. Voterà Gentiloni: gli piace quest’eroe borghese che col suo loden liso svolazza su monnezza e trapizzini, come un Jeeg robot dal doppio cognome. Il 4 marzo l’homo gentilone farà zapping tra gli exit poll e la notte degli Oscar. Seratona.

Di più su questi argomenti: