Elio Lannutti, presidente onorario a vita di Adusbef (foto via Youtube)

Il metodo Lannutti

Giuseppe Sottile

Il candidato grillino, ex Adusbef, sa inventare scoop per giornali affamati di scandali. L’ultimo su Renzi-CDB

Diciamolo. Giornali e giornalisti si sono fatti furbi. Prima, per avere uno scoop, dovevano sudare sette camicie, battere in lungo e in largo le segrete stanze dei palazzi di giustizia, trovare il magistrato disponibile e agguantare finalmente la soffiata giusta. Oggi di tutto questo non c’è più bisogno. Per avere un titolone da sparare contro nemici e avversari basta affidarsi alle mani sapienti di Elio Lannutti, candidato del Movimento cinque stelle e “presidente onorario a vita” dell’Adusbef, un’associazione fondata nel 1987 da lui medesimo per tutelare i diritti dei consumatori. Lui sa come fare. E per averne contezza basta posare gli occhi sullo scoop che ieri troneggiava, maestoso e minaccioso, sulla prima pagina del Fatto. Il giornale che giusto un mese fa aveva abbondantemente scritto e riscritto su tutti i lati oscuri della telefonata tra l’ex premier Matteo Renzi e il finanziere Carlo De Benedetti, editore di Repubblica, ieri ha trovato il modo di ricicciare la frittata con un titolo che ha spiazzato tutti i giornalucci della parrocchietta: “Caso Renzi-CDB: Perugia indaga sull’inchiesta”. Proprio su quella inchiesta che la procura di Roma, guidata da Giuseppe Pignatone, avrebbe inopinatamente e scandalosamente insabbiato, lasciando di fatto “impunito” l’insider trading che De Benedetti avrebbe messo a segno, guadagnandoci 600 mila euro, il 16 gennaio del 2015, giorno in cui investì 5 milioni di euro in azioni delle banche popolari dopo avere saputo in maniera riservata da Renzi che era già pronto il decreto che le avrebbe obbligate a trasformarsi in società per azioni.

 

Il fattaccio era tornato a galla a fine dicembre durante i lavori della commissione parlamentare sulle banche, quella presieduta da Pier Ferdinando Casini. E aveva fatto anche molto rumore. Ma la procura di Roma non aveva ravvisato gli estremi dell’insider trading. E aveva archiviato. Poteva mai l’implacabile Lannutti acquietarsi e accettare la decisione dei magistrati romani? Certamente no: glielo avrebbe impedito la sua storia di paladino dei consumatori ma soprattutto quella particolare concezione della giustizia che nel 2008 lo aveva spinto a candidarsi con l’Idv di Antonio Di Pietro e che oggi lo vede intruppato nelle colonne giustizialiste di Beppe Grillo e Giggino Di Maio.

 

No, il tambureggiante Lannutti non poteva restare né immobile né inerte. E così, alzata la bandiera dell’onestà-tà-tà, decide di correre a Perugia e di consegnare nelle mani del procuratore Luigi De Ficchy un esposto con il quale chiede di “valutare e/o indagare circa la sussistenza degli estremi per avviare un procedimento per responsabilità penale o civile nei confronti dei magistrati” romani che hanno avuto l’ardire di chiudere senza spiacevoli conseguenze l’inchiesta sulla telefonata tra Renzi e De Benedetti.

 

Lannutti, che conosce a memoria le regole di quella vecchia politica fondata sullo sputtanamento degli avversari, non dice che Roma ha insabbiato l’inchiesta: rischierebbe di incappare nel reato di calunnia. Per lui è sufficiente consegnare l’esposto perché quell’esposto obbligherà De Ficchy ad aprire un fascicolo e basta l’apertura di un semplice fascicolo per consentire agli amici del Fatto di scrivere che “Perugia indaga” sui giudici di Roma. Un capolavoro, se vogliamo: Lannutti s’è guadagnato con quello scoop, chiamiamolo così, un giorno di gloria, sempre utile in questi giorni di campagna elettorale; mentre il Fatto si è guadagnata un’occasione in più per andare addosso a Renzi, quasi un obiettivo fisso, e per mettere ancora una volta in difficoltà De Benedetti e Repubblica.

 

Da questo momento la parola passa comunque alla procura di Perugia. La quale, teoricamente, potrà mettere sotto inchiesta Pignatone ma potrà anche, com’è facilmente prevedibile, cestinare l’esposto. Nel caso in cui anche Perugia dovesse archiviare, quale potrebbe essere la successiva mossa di Lannutti? Semplice: se ci sarà un giornale pronto a riscaldare per la terza volta lo stesso minestrone, il presidente “onorario a vita” dell’Adusbef andrà alla procura di Firenze, cui spetta la competenza sui magistrati perugini, e presenterà pure lì un esposto con il quale solleverà il sospetto di un secondo insabbiamento: “Caso Renzi-CDB: Firenze indaga su Perugia”, scriveranno i giornali affamati di notizie scandalose. E se Firenze, dopo qualche mese, non gli darà la soddisfazione che merita l’indomito Lannutti andrà pure a Genova per denunciare i magistrati fiorentini e mettere a disposizione di giornali e giornalisti un altro titolo a nove colonne. Dove c’è Lannutti c’è scoop, signori.

  • Giuseppe Sottile
  • Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.