Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Fermare Renzi, sì

Redazione
Altri Morosini. Perché il referendum costituzionale è il terreno su cui  si gioca lo scontro giudici-governo

Roma. Piergiorgio Morosini, consigliere del Csm, area Magistratura democratica, in una nota inviata ai colleghi venerdì pomeriggio ritorna sulla chiacchierata avuta qualche giorno fa con la nostra Annalisa Chirico, pubblicata giovedì su questo giornale, specificando che la sua smentita “non riguarda solo il titolo della presunta intervista ma i contenuti del colloquio informale”. Morosini aggiunge che ciò che il nostro giornale ha pubblicato “non rappresenta il mio pensiero su presunte opinioni politiche contro il governo” ma il consigliere del Csm non entra nel merito di ciò che andrebbe smentito per il semplice fatto che il pensiero contenuto all’interno della conversazione avuta da Morosini con la giornalista del Foglio non può essere smentito perché ciò che ha sostenuto Morosini sulla necessità di bloccare la riforma costituzionale, e dunque sulla necessità di bloccare Renzi, costituisce non solo il pensiero di Morosini ma il pensiero esplicito dei magistrati iscritti a Md. Lo scorso 12 gennaio, come è noto, Md ha scelto di schierarsi contro il referendum Renzi-Boschi e lo ha fatto non solo con un comunicato offerto alle agenzie di stampa ma anche con una serie di dichiarazioni pubbliche il cui senso è chiaro e inequivocabile ed è quello che segue.

 

In estrema sintesi: il referendum costituzionale, grande vulnus della democrazia, va contrasto a tutti i costi, pur sapendo che contrastare il referendum costituzionale, al quale ha legato la sua vita politica il presidente del Consiglio, equivale a schierarsi inevitabilmente a favore della caduta del governo. Il pensiero di Md, che è anche il pensiero di Morosini, è questo ed è inequivocabile e per questo risultano quantomeno curiose due significative prese di distanza registrate nelle ultime 48 ore: da una parte Md, nientemeno, e dall’altra l’Anm. Secondo l’Anm, le dichiarazioni di Morosini, se confermate, sono “inopportune e ingiustificate” e “incidono sul rapporto tra i poteri dello Stato” mentre secondo Md le parole di Morosini sarebbero fuori luogo perché, da parte di Md, “il trasparente impegno nel Comitato per il no nel referendum costituzionale è finalizzato a rilanciare l'equilibrio dei poteri e non certo a sostenere un potere contro l'altro”. Dietro le parole di Md e dell’Anm si nascone però una gustosa ipocrisia che è anche una grande contraddizione. Il voler contrastare la riforma costituzionale di Renzi è un pensiero che può essere confezionato come si vuole ma, al fondo, rappresenta un posizionamento chiaro, esplicito e inequivocabole di un potere dello stato contro un altro potere dello stato. Il punto che è in discussione, accennato anche da Morosini nel colloquio avuto con la nostra Annalisa Chirico, è che la governabilità a cui lavora Renzi viene considerata dalla magistratura politicizzata un pericolo mortale, un problema per la democrazia e una ferita profonda per la Costituzione. La magistratura più politicizzata, speriamo solo con le parole e non con le sentenze, ha scelto di scendere in campo contro il governo per queste ragioni e la sintesi del pensiero che porta a opporsi con tutte le forze al progetto renziano sono state sintetizzate esattamente un mese fa da uno dei tanti magistrati che ha scelto di esporsi sul tema. Nel caso specifico, il pm in questione, Pasquale Profiti, non è solo un iscritto a Md ma è anche, da capo dei magistarti del Trentino, uno dei presidenti di regione dell’Anm. E forte di questo ruolo, il 5 maggio 2016, con parole che ricalcano in più passaggi quelle consegnate da Morosini alla nostra Chirico, ha spiegato, in un articolo pubblica sull’Adige, perché occorre fermare la riforma Renzi (e dunque Renzi). Un governo, citiamo tra virgolette, che si avvale “di una narrazione che enfatizza ogni dato positivo e trascura i segni negativi”. Un paese, citiamo tra virgolette, in cui “chi occupa posizioni di governo raramente può esibire indizi robusti di capacità di gestire un paese di oltre 60 milioni di abitanti”. Un contesto, quello italiano, con ministri non degni in cui l’Italia risulta essere “debolissima sulla credibilità che le decisioni siano prese nell’interesse del paese e non per la perpetuazione del proprio potere…  a solo titolo di esempio basterebbe citare i casi dei ministri di questo governo che si sono dimessi, ma anche di quelli che non si sono dimessi difendendo la propria onorabilità famigliare… e badiamo bene, non si tratta di onestà del singolo, ma di credibilità”.

 

Conclusione: “La cosiddetta governabilità, come valore assoluto, non solo non risolve nulla dei mali di una collettività, ma è pregiudizievole al suo sviluppo sociale ed economico, oltre che istituzionale… La governabilità inciderà pesantemente sul nostro già compromesso livello di legalità, nel senso di spontaneo adeguamento alle regole, in quanto ritenuto indispensabile per il buon vivere della comunità… . Le leggi elettorali, la costituzione, le opposizioni sono il dito a cui siamo invitati a guardare per non vedere la luna, il vero problema: l’incapacità dei governanti di suscitare fiducia in loro stessi”. Sintesi della questione: chi vota il referendum vota per un sistema che non consente di garantire un elevato livello di legalità e di conseguenza chi vita per il referendum altro non fa che contribuire a compromettere ulterioramente il livello di legalità del nostro paese. Le parole si possono infiocchettare in molti modi ma il pensiero di fondonon cambia: per evitare che il paese finisca nelle mano di un governo che vuole violare i principi cardini della democrazia bisogna lavorare insieme per fermare il progetto di questo governo. Il pensiero è questo ed essendo stato messo nero su bianco dai vertici di Md risulta complicato smentirlo se sei un magistrato iscritto a Md.