Matteo Renzi al question time presso la Camera dei Deputati (foto LaPresse)

Perché i magistrati vogliono fermare Renzi

Annalisa Chirico

“C’è il rischio di una democrazia autoritaria”. Il magistrato Morosini, consigliere del Csm, Md, vuota il sacco con il Foglio e spiega da dove nasce lo scontro tra il presidente del Consiglio e le procure.

Roma. “Dottoressa, mi scusi, il dottor Morosini l’ha vista passare nel corridoio e vorrebbe salutarla”. Ah, il dottor Morosini, che piacere. Roma, piazza dell’Indipendenza, sede del Consiglio superiore della magistratura. La cronista si dirige verso l’uscita, il portone di Palazzo dei marescialli è già alle sue spalle quando un giovane assistente la invita a raggiungere Piergiorgio Morosini, consigliere del Csm in quota Magistratura democratica. Morosini è uomo affabile e garbato, da gip a Palermo ha rinviato a giudizio gli imputati nel processo sulla presunta trattativa stato-mafia. “Buongiorno, dottore”, la cronista si accomoda sul divanetto del suo ufficio. Innanzitutto, come sta? “Che vuole che le dica, non vedo l’ora di tornare in trincea. Qui è tutto politica. La politica entra da tutte le parti: le correnti, i membri laici (quelli eletti dal Parlamento, dovrebbe vedere come sono compatti in tempi nazareni…), dall’esterno, da tutte le parti”.  Così avete concluso una bella infornata di nomine, immagino le pressioni. “Da tutte le parti. Persone sponsorizzate da politici, liberi professionisti, imprenditori.

 

Mi tocca assistere alla scelta di candidati che per competenze e curriculum non meriterebbero quel posto”. Dottore, lei dovrebbe ribellarsi. “Io, a fine mandato, me ne torno in Sicilia a fare il gip. Adoro il mare e la qualità della vita in Sicilia”. Sì, bella la Trinacria, ma diciamolo: il processo sulla presunta trattativa non sta andando a gonfie vele. “Va a rilento, è vero, la sentenza di primo grado è prevista per la fine del prossimo anno. I pm non hanno osato abbastanza”. Ah, dovevano osare di più? “Certi filoni dell’inchiesta non sono stati approfonditi a sufficienza. Io resto del parere che la trattativa c’è stata”. Torniamo al Csm: l’ex procuratore capo di Bolzano, Cuno Tarfusser, oggi giudice a L’Aja, ha lamentato di essere stato “dimenticato”: lui si è candidato ma nessuno l’ha audito. “Tarfusser non ci voleva venire in Italia, ha ancora da fare in Olanda. Si è trattato di sua negligenza: lo hanno convocato per un giorno ma non poteva. E comunque vi scandalizzate per questa storia che è nulla rispetto a quello che accade qui dentro”.

 


Piergiorgio Morosini è consigliere del Csm in quota Magistratura democratica (foto LaPresse)


 

Il colloquio sta assumendo i contorni di una seduta psicoterapeutica, Morosini ha le maniche della camicia arrotolate, chi scrive apre il taccuino e comincia ad appuntare. Eccoci, la ascolto. “La prossima settimana si dovrebbe risolvere la partita di Milano. Lì si rischia di designare al vertice della procura il capo di gabinetto del ministero della Giustizia, si rende conto? Non sarebbe un bel segnale per l’indipendenza della magistratura. Il dottor Melillo lavora a stretto contatto con il ministro Orlando. L’alternativa è Francesco Greco, magistrato simbolo di competenza indiscussa”. Ecco, un’altra figura simbolo di Tangentopoli insieme al neopresidente dell’Anm Piercamillo Davigo: non sarà troppo? “Condivido ogni parola di Davigo, c’è solo una parte mancante nel suo discorso: anche noi magistrati dobbiamo fare autocritica. Pensi allo scandalo Saguto a Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. C’è una questione morale anche dentro la magistratura”. All’interno del Csm ve ne state occupando? “Qui si parla solo di nomine. E’ tutto politica, gliel’ho detto. Ora io sto lavorando a un parere che il Csm presenterà al Parlamento contro l’emendamento Ferranti che intende sopprimere il tribunale dei minori. Sono contrario perché è un settore delicato che necessita di una formazione specialistica”.

 

Beh, si sta occupando di una questione concreta, è contento? “Il parere sarà ignorato. Decide il Parlamento, mica noi”. Di solito in democrazia decide chi è eletto. “Bisogna guardarsi bene dal rischio di una democrazia autoritaria. Un rapporto equilibrato tra Parlamento e organi di garanzia va preservato. Per questo al referendum costituzionale il prossimo ottobre bisogna votare no”. Md, la sua corrente, ha aderito ufficialmente al comitato di Pace e Rodotà. “Ho appena comunicato alla segreteria centrale le mie prime disponibilità”. Siete organizzati militarmente. “Ognuno trasmette le proprie date, certo. Io copro tre regioni: Lazio, Sicilia ed Emilia Romagna”. Complimenti. “Gireremo il paese in lungo e in largo. Ma alla fine vincerà Renzi. Vince sempre lui”. Vince chi convince, dottore, ma lei non si abbatta, magari alla fine vincete voi. “Se passa la riforma costituzionale, abbinata all’Italicum, il partito di maggioranza potrà decidere da solo i membri della Consulta e del Csm di nomina parlamentare. Renzi farà come Ronald Reagan, una bella infornata autoritaria di giudici della Suprema Corte allineati con il pensiero repubblicano su diritti civili, economia… Uno scenario preoccupante”.

 

Lei è un irriducibile antiliberista. “Io sono per una sinistra sociale che pensi alle persone svantaggiate, ai pensionati, agli immigrati…”. Il Movimento per la giustizia, che con Md è confluito in Area, non ha aderito al comitato per il no. Continuate a vivere da separati in casa? “C’è freddezza ma Armando Spataro ha già detto sì, lui non si tira mai indietro”. Tornando al governo, al di là delle parole e dei toni del premier, qual è la riforma del governo che, a suo giudizio, ha inciso sulla professione? Morosini esita, volge lo sguardo al soffitto, si risistema sulla poltrona e poi prende fiato: “In realtà nessuna”. Sulla responsabilità civile dei magistrati Davigo ha detto: “L’unica conseguenza è che ora pago 30 euro l’anno in più per la mia polizza”. “In effetti – prosegue Morosini – anche io pago un po’ di più, bazzecole. Per il resto non mi pare che ci siano effetti rilevanti”. E se le dico “taglio delle ferie”? “Avevamo 45 giorni di pausa, che vuole che sia. Poi noi lavoriamo spesso pure da casa. In un periodo di sacrifici per tutti l’ho trovato, tutto sommato, uno sforzo accettabile”. Più che i fatti, vi disturbano le parole del governo. “E’ la forma che proprio non va. Le misure su responsabilità civile e ferie sono state presentate come una rivincita della politica nei confronti della magistratura, una logica retaggio del ventennio berlusconiano”.

 

Questi fiorentini peccano di arroganza? “Eh, no, il problema è che sono dei mestieranti, buoni a gestire il potere. Che discorso di prospettiva può fare uno come Luca Lotti? E vogliamo parlare della Boschi? Se uno la accosta ad altre personalità impegnate sul fronte delle riforme costituzionali, ad Augusto Barbera o a Giuliano Amato, vengono i brividi”. Eppure il governo rivendica di aver aumentato le pene per i corrotti e ha nominato un magistrato al vertice dell’Anticorruzione. “Lasci perdere. Per noi questo genere di commistioni inquina l’immagine di indipendenza della magistratura”. Raffaele Cantone si è attirato un po’ di umane invidie, non trova? “Lui, come Gratteri, è un uomo Mondadori. Non so se mi spiego”. Si spieghi si spieghi. “Quando firmi libri Mondadori, l’azienda ha interesse a trasformarti in un personaggio per vendere più copie. Ti invitano in tv, diventi un volto noto e poi la politica ti chiama”. Secondo lei, Cantone ce lo ritroviamo candidato? “E’ l’anti-Renzi perfetto, c’è da capire se avrà la stoffa del politico. Renzi, gli va riconosciuto, si è gettato senza rete contro l’apparato del suo partito, ha perso le primarie al primo tentativo, è un animale politico”. Lei era un elettore dei Ds, è un po’ nostalgico, lo ammetta. “Mi sento un esule in patria. Renzi ha i suoi voti, c’è poco da fare. Chi vuole che voti per Matteo Orfini o per Stefano Fassina?”.

 

Non lo chieda a me. “Un tempo la politica ruotava attorno a personalità come Enrico Berlinguer e Aldo Moro. Massimo D’Alema non spicca per simpatia ma rimane un fuoriclasse. Oggi nel Pd c’è un’enorme questione morale. Ha visto che è successo a Lodi?”. Un sindaco si ritrova dietro le sbarre per una gara da 5mila euro: non sarebbe meglio aspettare le condanne? “Mi conosce, sa come la penso. La carcerazione preventiva dovrebbe essere extrema ratio”. Eppure, quando il giorno successivo al nostro incontro il Pd porta il caso al Csm giudicando l’arresto una misura abnorme, Morosini, insieme agli altri eletti di Area, insorge in una nota: “Parole inaccettabili. Un’indebita interferenza sull’autonomia e la serenità dei magistrati”. Tornando alla nostra conversazione, Morosini rincara: “Il principale partito di governo è investito dalle inchieste, pure in Campania. Io vengo dall’Emilia Romagna dove le reti corruttive tra burocrazia amministrava e imprenditori sono state occupate da ‘ndranghetisti e camorristi”.

 

La moralità può essere monopolio di un partito o di una categoria professionale? “Non dico questo. Io ci metto dentro tutta la classe dirigente italiana, inclusi i magistrati”. La sensazione, dottor Morosini, al termine della nostra “seduta”, è che una parte della magistratura, certi magistrati, siano fortemente politicizzati. Anche questo è un pericolo per la democrazia. “Gliel’ho detto: qui tutto è politica. Io volevo questo incarico perché per uno come me, che ha sempre fatto politica associativa, è un coronamento. Ma non vedo l’ora di tornare a fare il giudice”. Intanto, nell’attesa, Morosini scalda i motori per il tour referendario. Lei, antiberlusconiano com’è, condurrà una battaglia fianco a fianco con Berlusconi. “Io lotto non con Berlusconi, ma per la Costituzione”.

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