Il giudice Piergiorgio Morosini (foto LaPresse)

Il vaso di Pandora della giustizia

Claudio Cerasa
Il colloquio pubblicato ieri sul nostro giornale tra Annalisa Chirico e Piergiorgio Morosini, giudice del Csm in quota Magistratura Democratica, ha scatenato molte reazioni sulle quali vale forse la pena soffermarsi per provare a capire qualcosa di più sui rapporti tra la politica di governo e il mondo della magistratura.

Il colloquio pubblicato ieri sul nostro giornale tra Annalisa Chirico e Piergiorgio Morosini, giudice del Csm in quota Magistratura Democratica, ha scatenato molte reazioni sulle quali vale forse la pena soffermarsi per provare a capire qualcosa di più sui rapporti tra la politica di governo e il mondo della magistratura. Il succo del pensiero di Morosini era sintetizzato in un titolo che il giudice ha smentito (il giudice ha smentito anche l’intervista ma non il colloquio, e ha confermato di aver parlato con la nostra Chirico) ma che a nostro avviso fotografa bene la linea politica e culturale di una delle correnti più importanti della magistratura di cui Morosini fa parte (Md). Titolo: “Perché Renzi va fermato”. Sottotesto: “Bisogna guardarsi bene dal rischio di una democrazia autoritaria… Per questo il prossimo ottobre al referendum bisogna votare no”. Sulle parole di Morosini sono intervenuti il ministro della Giustizia Orlando, il presidente della Cassazione Giovanni Canzio, il responsabile giustizia del Pd David Ermini e il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, per esprimere la propria disapprovazione e chiedere spiegazioni al giudice di Md.

 

Legnini, giustamente, ha detto che è “inopportuno” che un giudice del Csm partecipi a una campagna referendaria. A ben vedere però il pensiero di Morosini non è un caso isolato ma, lo diciamo per i distratti, è la posizione ufficiale di Md. E la volontà esplicita di voler fermare il governo sulla riforma costituzionale, riforma la cui bocciatura implicherebbe la caduta di questo governo, è stata messa nero su bianco alcuni mesi fa, a gennaio, quando Md si è iscritta ufficialmente al comitato del no. “Magistratura democratica – recita un comunicato di Md del 12 gennaio 2016 – aderisce al Comitato per il NO nel referendum costituzionale sulla legge di riforma Renzi-Boschi. La riforma, in sinergia con la legge elettorale ormai nota come ‘Italicum’, non ammoderna la macchina dello stato; a nostro avviso ne determina, al contrario, una pericolosa involuzione. Si introduce una concezione semplicistica e formale della democrazia, in base alla quale chi vince prende tutto, e si rinuncia alla soluzione della crisi di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, riducendo sempre più la partecipazione a una sorta di delega in bianco nei confronti di un vertice meno vincolato a controlli sufficientemente autorevoli ed efficaci”.

 

La volontà da parte di Md di combattere esplicitamente e alla luce del sole le riforme del governo Renzi, in particolare quella che più lo rappresenta, non è dunque una novità. Ma l’occasione delle parole di Morosini, giudice tra l’altro molto rispettabile, ci permette di mettere a fuoco ancora una volta l’anomalia di un paese come l’Italia in cui, a causa di un sistema sclerotizzato delle correnti, si fa fatica a veder garantito un principio cruciale della nostra democrazia: la separazione dei poteri. Senza separazione non solo non c’è vera democrazia ma non avremo mai la certezza di avere una giustizia al di sopra di ogni sospetto.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.