Giuseppe Conte, Boris Johnson e Donald Trump (foto LaPresse)

Lo stato d'emergenza ha minato l'equilibrio tra poteri costituzionali

Dal conflitto con le regioni alle competenze anti crisi: gli errori di Conte (che ha fatto meglio però di Johnson e Trump)

I presidenti delle regioni e delle province autonome del centrodestra hanno inviato una lettera a Giuseppe Conte, al presidente della Repubblica, alle Camere e al ministro Francesco Boccia denunciando “un accentramento dei poteri normativi in capo al governo, secondo lo schema decreto legge più decreto del presidente del Consiglio dei ministri attuativi che ha posto problemi di compatibilità con la Costituzione, sia con riferimento al coinvolgimento parlamentare, sia con riferimento al rispetto delle competenze regionali”. Il senatore Renzi, in Parlamento, ha osservato: “Non abbiamo mai avuto un quadro derogatorio così ampio, rispetto ai princìpi e alle libertà costituzionali, come in questo momento; nemmeno durante il terrorismo”. Il presidente Conte ha fatto invece notare, difendendosi, che “con la deliberazione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio scorso… è stato deliberato – per la durata di sei mesi – lo stato di emergenza di rilievo nazionale, dal quale discendono precise conseguenze giuridiche, come prevede il Codice di protezione civile, che… è una fonte di rango primario e di carattere generale”. Ha aggiunto: “A questa prima base di legittimazione, se ne è aggiunta un’altra, quella dei decreti legge n. 6 e n. 19 del 2020. In particolare, il decreto legge n. 19 ha offerto un’ampia e articolata copertura di legge, suscettibile, a mio avviso, di superare indenne ogni possibile vaglio di costituzionalità”. “La fonte primaria [può] disciplinare solo fino a una certa misura le risposte che l’ordinamento è chiamato a offrire per contrastare una situazione di carattere eccezionale, straordinario, che richiede inevitabilmente di preservare un certo grado di discrezionalità all’autorità amministrativa”. “Questo… impone necessariamente una maggiore tolleranza circa il grado di determinatezza delle norme primarie che legittimano la normativa secondaria”.

Come si vede, si tratta di un vero e proprio conflitto tra forze politiche sull’interpretazione della Costituzione, che coinvolge non solo maggioranza-opposizione, ma anche la maggioranza nel suo interno (oltre all’intervento di Renzi, bisogna ricordare la proposta Ceccanti di “parlamentarizzare i dpcm”, sottoponendoli all’esame preventivo del Parlamento, e la lettera scritta da 50 deputati al presidente della Camera dei deputati il 27 aprile). Il primo problema è proprio quello della delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio, che ha fatto ricorso al decreto legislativo n. 1 del 2018 sulla protezione civile, riguardante calamità che richiedono mezzi e poteri straordinari per limitati e predefiniti periodi. Si pongono due domande: la pandemia ha un tempo predefinito o predefinibile? Le ordinanze di protezione civile giustificate dagli articoli 7.1 c) e dall’articolo 24.1 della norma del 2018 sulla protezione civile possono incidere sui diritti fondamentali costituzionalmente garantiti? Più in generale, aver dato la responsabilità alla protezione civile, invece che al ministero della Salute, ha portato in secondo piano la sanità territoriale, che avrebbe potuto agire fin dall’inizio da filtro (ce ne accorgiamo solo ora), e i piani di prevenzione di strutture ministeriali che avevano esperienza di precedenti epidemie ed avrebbero potuto interessarsi per tempo di unità di pneumologia, reparti di terapia intensiva e unità di rianimazione.

 

Ma Conte ha fatto riferimento anche al decreto legge 25 marzo n. 19 (efficace per 30 giorni reiterabili), che dovrebbe esser convertito in legge in settimana. Su questa base è stato emanato il dpcm della cosiddetta fase 2 (4 maggio-17 maggio) del 26 aprile.

Gli interrogativi che il susseguirsi degli interventi pone sono molti. In primo luogo, una moltiplicazione della fase 2 (che si articola in “transizione iniziale”, “transizione avanzata”, “mantenimento della fase 2 B”, prima di passare alla fase 3 e alla fase 4), con possibilità di ritorni all’indietro. In secondo luogo, la presenza di divieti che è difficile classificare come limitazioni alla libertà di circolazione sulla base dell’articolo 16 della Costituzione: ad esempio, la possibilità di fare feste in abitazioni private. Il divieto di circolazione può riguardare anche le abitazioni private? Come possono essere controllate le feste? Terzo: il dpcm è stato emanato sentite le regioni attraverso il presidente della conferenza delle regioni e delle province autonome e dispone che le regioni stesse possono emanare solo norme più restrittive. Ma alcune regioni hanno già adottato misure meno restrittive (Veneto e Calabria). Quarto: perché consentire la vendita di fiori, l’attività assicurativa, quella professionale, e non la libertà di culto? Quinto: si può modificare il dpcm stesso con questionari precompilati (cosiddette Faq)? Infine, quando ci si rivolge alla intera cittadinanza, non si avrebbe un obbligo di particolare chiarezza (mentre invece chi ha scritto il dpcm pare essersi limitato a incollare richieste di questo e di quello, senza coordinare, preoccuparsi di usare parole del vocabolario di base, chiarire)? Per colmo di disordine, pare che il decreto legge debba al termine accorpare i dpcm, dando così una ulteriore spallata alla divisione dei poteri (atti amministrativi che vengono riprodotti in atto legislativo), con buona pace di Montesquieu. Ricordo quel che ha scritto qualche anno fa Carlotta Latini in un bel libro su Governare l’emergenza. Delega legislativa e pieni poteri in Italia tra Otto e Novecento (Milano, Giuffré, 2005), sottolineando che la concessione dei pieni poteri indica uno spostamento di poteri dal legislativo all’esecutivo.

 

Ma Conte ha osservato di essere sicuro della “copertura” legislativa data dal decreto legge n. 19 del 25 marzo.

Dovrebbe esaminare, per fare un confronto, il “Coronavirus Act” britannico: è lungo quasi 350 pagine.

 

Quello che ha maggiormente sconcertato è il contraddirsi dei poteri pubblici.

Questo dipende da un errore iniziale, di fondo, sul quale non è stato fornito alcun chiarimento. L’articolo 117.2, q) della Costituzione riserva allo Stato la profilassi internazionale. Non doveva, quindi, provvedere unitariamente lo Stato, agendo in sede nazionale, dando prova di unione, invece che di disunione, a nome della Repubblica, non lasciando fare alla confederazione delle regioni? Poi, l’articolo 6 a della legge 388 del 1978, che ha istituito il Servizio sanitario nazionale dispone che “sono di competenza dello Stato gli interventi contro le epidemie” e l’art. 32 che “il ministro della Salute può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di igiene e di sanità pubblica con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni”. In più sono sempre in vigore gli articoli da 253 in poi del testo unico delle leggi sanitarie, del 1934, nonché il vecchio regolamento sanitario. Non aver tenuto conto di questa normativa, specialmente di quella costituzionale, ha provocato l’attuale stato di disunione: la Costituzione dispone che l’Italia è “una e indivisibile”, prima di riconoscere e promuovere le autonomie (articolo 5). Un osservatore straniero che venisse oggi in Italia potrebbe affermare con sicurezza che siamo una nazione?

 

Si intrecciano due problemi, quello delle competenze statali e delle competenze regionali, e quello dei limiti degli interventi dei poteri pubblici, quando si tratta di libertà fondamentali.

Su ambedue i fronti il governo, agendo in solitaria, ha compiuto errori. Ho già indicato quello relativo al rapporto Stato-regioni. Sul fronte dei poteri statali verso i privati, l’errore è stato di non considerare uno per uno i diritti limitati, visto che così fa la Costituzione, che non ha seguito il cattivo esempio dell’articolo 48 della Costituzione di Weimar, e ha dettato per ognuno le precauzioni da prendere: necessità di previa legge, temporaneità, fini determinati (sanità, sicurezza, incolumità, ecc.), in alcuni casi (libertà personale) intervento del solo giudice. Inoltre, le sentenze della Corte costituzionale n. 8 del 1956 e n. 127 del 1995 – per citarne solo due – hanno chiarito che la legge deve definire nel contenuto e nelle modalità di esercizio i poteri amministrativi, ciò che i decreti legge non hanno fatto.

Ma l’urgenza non spiega tutto questo?

Non tutti i molti dpcm (l’ultimo ne cita dieci precedenti) erano urgenti: quello del 26 aprile si riferisce al periodo che cominciava il 4 maggio e due giorni per consultare il Parlamento si potevano trovare. Anche sotto la pressione dell’urgenza, la condotta avrebbe potuto essere più razionale e rispettosa della Costituzione. Così non è stato. L’esecutivo si è fatto criticare anche per le mosse giuste, come quella di ricorrere a esperti con la costituzione dei cinque comitati. Presa la strada sbagliata della protezione civile invece di quella della sanità, ha accentrato tutto nelle mani di una persona, escludendo (salvo la conversione in legge dei decreti legge e le informative) il Parlamento e persino il governo nella sua collegialità (salvo singoli ministri “sentiti” sui dpcm). Ha accavallato dpcm, ordinanze, regolamenti, circolari, Faq, confondendo le idee, invece di chiarirle. Ha confuso chiarezza e trasparenza con verbosità, più preoccupato di elencare quello che i cittadini non possono fare, che di organizzare quello che lo Stato deve fare (Zaia si è invece mosso in questa giusta direzione).

 

L’opposizione non è stata di ausilio. Salvini, ha dichiarato al Corriere della Sera del 25 aprile che la Lega aveva presentato 204 emendamenti al “Cura Italia”, “tutte cose concordate una per una con commercianti, agricoltori, medici, sindacati”. Insomma, la sagra del corporativismo.

Questo è il capitolo della comunicazione che è stata carente: molte prediche generiche e piene di buoni sentimenti, non documenti con dati sicuri, resi pubblici. E’ mancato anche un immediato chiarimento quando ha preso a circolare l’idea sbagliata che potessero esser disposti limiti in ragione dell’età. E’ questa la trasparenza?

 

Nel dibattito parlamentare è stato lamentato uno strisciante presidenzialismo. Non dimentichiamo che quando si discuteva di riforme costituzionali è stata anche affacciata la proposta di una elezione diretta del primo ministro. C’è da preoccuparsi?

La mia è una diagnosi diversa. Il neodiritto di Palazzo Chigi non nasconde tentativi autoritari. L’attuale presidente del Consiglio dei ministri è persona prudente, non estremista. E’ consapevole della necessità di muoversi con cautela. Conosce la differenza tra “stulti” e “sapientes”. Nasce in una cittadina che ha dato altri natali importanti. Viene dalla severa scuola privatistica romana, che ha prodotto molte grandi menti analitiche. Ha pratica di avvocatura e sa negoziare, quindi sa anche esser paziente. Dell’avvocato ha anche una certa verbosità, che confonde con trasparenza. E’ stato viziato da questo biennio, che l’ha spinto sul proscenio, facendogli balenare la possibilità di fare il prim’attore (anche per il “mondo gnomo” di una parte della classe politica attuale). Questo periodo critico di passaggio gli ha fatto balenare l’idea di poter entrare nella storia (non a caso uno dei sostantivi che adopera più spesso è “storia” e uno dei politici che gli sono cari è Churchill). Vorrei ricordargli un bel passaggio dell’Uomo senza qualità di Robert Musil: “Il cammino della storia non è quello di una palla di biliardo che una volta partita segue una certa traiettoria, ma somiglia al cammino di una nuvola, a quello di chi va bighellonando per le strade, e qui è sviato da un’ombra, là da un gruppo di persone… e giunge infine in un luogo che non conosceva e dove non desiderava andare”. Le circostanze lo portano a interessarsi quotidianamente degli interventi di breve termine, invece di dedicarsi a definire gli obiettivi di medio e lungo termine, quali possono trarsi degli eventi in corso e dalla resilienza del Servizio sanitario nazionale. L’occasione gli suggerisce di moltiplicare le presenze nello spazio pubblico, invece di curare l’attuazione dei provvedimenti economici, che è carente. In questo modo, rinuncerebbe alla ricerca di facile popolarità, ma si assicurerebbe minori tensioni con l’opposizione e potrebbe promuovere, invece di invocare soltanto la coesione tra le forze politiche. Non ha ancora appreso che, in politica, le cose urgenti prendono sempre il sopravvento su quelle importanti, ed è quindi consigliabile ristabilire l’ordine di priorità.

 

Quindi Conte non s’è preso pieni poteri o non ambisce a prenderli?

Do un altro giudizio della situazione. Ritengo che aver affidato la risposta all’epidemia alla protezione civile invece che alla sanità abbia provocato conseguenze dannose, alle quali ora si sta cercando di porre riparo. Penso che sia stata scelta una interpretazione errata alla funzione del decreto legge, inteso come una porta aperta, che consente tutto e dà spazio a dpcm, ordinanze, circolari, Faq, scavalcando lo stesso governo come organo collegiale. Penso che si sia voluto, con dpcm, regolare troppo, finendo per regolare troppo poco. Non penso che si sia rispettato l’equilibrio tra poteri costituzionali, come affermato dal presidente del Consiglio nell’intervista alla Stampa del 3 aprile scorso, altrimenti non vi sarebbero l’insofferenza e le critiche di parlamentari di opposizione e della maggioranza. Ritengo che l’accentramento su Palazzo Chigi, invece che sul governo nella sua collegialità, sia un precedente di cui altri domani potrebbe valersi (andrebbe sempre ricordato, al proposito, il contenuto di una lettera scritta da Einaudi al Guardasigilli, perché la facesse vedere a De Gasperi). Non vedo mire autoritarie, e anche nelle continue oscillazioni di Palazzo Chigi rispetto alle regioni, vedo una condotta più ragionevole di quella dei Bolsonaro, Trump e Johnson.

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