I numeri che mancano nel contratto di governo Lega-M5s

Salvo alcuni su pensioni e reddito di cittadinanza non ci sono cifre. E quindi non si conoscono i costi. Parla Sabino Cassese

Professor Sabino Cassese, lei aveva scritto più di una volta, ben prima delle elezioni del 4 marzo, che vi sarebbe stato bisogno di un contratto di governo e che bisognava seguire l’esempio tedesco. Se ne pente, ora che è stato concordato tra Movimento 5 stelle e Lega il “Contratto per il governo del cambiamento”? 

Non ci voleva molto a capire che una formula elettorale in prevalenza proporzionale, con quattro forze politiche divise avrebbe richiesto governi di coalizione e che per reggere una coalizione sarebbe stato opportuno fare dall’inizio patti chiari. Altra questione è se questi patti siano chiari. Parliamone. Ma con il dovuto distacco: l’enfasi posta sul “contratto” dipende dalla necessità di diminuire le distanze tra avversari così fortemente contrapposti, ma anche dalla necessità di fare un esercizio retorico, per spiegare ai rispettivi elettorati una così forte oscillazione, dalla competizione, all’accordo. Pensi anche al ridimensionamento e alle limature, nonché ai silenzi nel passaggio dalla bozza che è circolata, a paragone con il testo finale.

 

Cominciamo dall’estensione del contratto.

Poco meno di 60 pagine, divise in 30 punti. Non esaurisce tutti gli impegni. Vi sono anche quelli di metodo, nel punto 1: completare il programma, cooperare, verificare i risultati, informarsi reciprocamente, non mettersi reciprocamente in minoranza su questioni di fondamentale importanza. Insomma, su quello che non c’è scritto vi è un impegno a discutere e concordare. C’è, poi, il Comitato di conciliazione, ridimensionato quanto alla composizione, rispetto alla bozza: si prevede che sia composto dalle parti, quindi distinguendo partiti da Parlamento e governo, e si rinvia la determinazione della composizione a un separato accordo. Inoltre, sempre al punto 1, si prevedono accordi tra i presidenti dei gruppi parlamentari per guidare l’attività legislativa e accordi tra i contraenti per i rapporti con l’Unione europea.

 

E la durata?

Il punto 1 indica chiaramente che il contratto “è valido per la XVIII legislatura” e prevede una verifica dell’azione di governo a metà legislatura. Anche per la sua ampiezza, richiede almeno cinque anni. Richiamo la sua attenzione anche sulla portata: il contratto vale solo per il governo nazionale. A livello locale si fa salva la competizione tra i contraenti. Questo è un punto che provocherà problemi piuttosto presto.

 

Possiamo ora passare al metodo con il quale è stato scritto, allo stile?

Qui è importante il rapporto tra detto e non detto. Vi sono molti segni di cautela. Si parla spesso di un “nuovo percorso che si intende avviare” (ad esempio, al punto 11). C’è uno sforzo compromissorio: “Appartenenza all’Alleanza atlantica con gli Stati Uniti quale alleato privilegiato, con una apertura alla Russia” (punto 10). Non si parla di ritornare ai “tribunalini” (cioè alla geografia giudiziaria del passato, che era un vero scandalo), ma di una “rivisitazione della geografia giudiziaria” per riportare tribunali, procure e giudici di pace più vicino ai cittadini e alle imprese (punto 12). Anche su molti altri temi il testo è cauto: così su vaccinazioni, Ilva, Tav, equilibrio di bilancio, auto diesel.

 

Passiamo al contenuto: quale è secondo lei l’aspetto più criticabile? E quale quello più apprezzabile?

Comincio dal secondo. Le due forze politiche dette correntemente populiste che hanno stipulato il contratto sono un esempio di “single-issue parties”: debbono la loro fortuna alla capacità di intercettare alcune domande semplici dell’elettorato e alla abilità nell’inventarne altre, che hanno fatto presa. Ora si presentano alla ribalta del governo con un tentativo di fare un vero e proprio programma di governo. Insomma, hanno con una certa rapidità saputo passare da movimento a istituzione e con altrettanta rapidità da forze monotematiche a forze politiche “tout court”.

 

Non tergiversi: l’aspetto più criticabile?

Mancano numeri, salvo alcuni (parziali) nei punti su pensioni e reddito di cittadinanza. Non si conoscono quindi i costi. Potrebbe essere un “libro dei sogni”, se non fosse anche in più parti un “libro delle paure”. Lei ricorda che il piano Giolitti-Pieraccini venne chiamato “libro dei sogni”. Qui si aggiunge – ma ne parleremo più avanti – anche una sollecitazione delle paure. Ma torniamo ai costi. Nel punto 8 c’è una frase contorta a proposito del “recupero di risorse”, che fa riferimento ai tagli degli sprechi, alla gestione del debito, all’“appropriato e limitato ricorso al deficit”. Nello stesso punto si fa riferimento al già noto scorporo della spesa per investimenti dal calcolo del deficit. Nel punto 29 si parla del rifinanziamento del fondo sanitario nazionale recuperando risorse con una “efficace lotta agli sprechi e alle inefficienze”. Aggiunga che nel contratto non sono previste solo maggiori spese, ma anche minori entrate e che il nuovo governo deve anche trovare i fondi per evitare l’aumento dell’Iva, altrimenti automatico. Si stanno affacciando stime che vanno da 70 a circa 130 miliardi di maggiori spese. Due forze che si proclamano di governo non possono tacere sulla compatibilità finanziaria di ciò che propongono. E non possono dire, come ha dichiarato Di Maio il 18 maggio scorso, che “le entrate sono nei margini in Unione europea che dobbiamo andarci a riprendere per poter spendere i soldi”. Una frase che nasconde tre errori madornali. Non è l’Unione che gli potrà dare i “soldi”, ma sono i risparmiatori italiani (che pagherebbero due volte, sottoscrivendo titoli rischiosi e vedendo svanire le possibilità per il paese di agganciarsi alla ripresa). Il nuovo governo può anche richiedere di allentare i vincoli, ma non sa se ciò verrà concesso, e quindi vende la pelle dell’orso prima di averlo ammazzato. Infine, le due forze politiche stipulano un contratto per romperne un altro, o, meglio, molti altri, stipulati con 27 paesi europei. Sarebbe bene che tutti ricordassero che, anche prima della riforma richiesta dall’Unione europea, l’articolo 81 della Costituzione prevedeva che ogni provvedimento di spesa deve indicare la copertura, in vista dell’equilibrio del bilancio.

 

Entriamo dentro il contratto, esaminiamone i contenuti.

I punti sono 30, ma quelli che contano davvero sono 8, in cui sono racchiusi sogni e paure. Ha la pazienza di seguirmi?

 

Certamente.

Banca e credito (punto 5). Viene proposto di abbandonare la banca universale e di ritornare alla separazione tra credito commerciale e banca d’investimento (è un’idea che viene riaffacciata anche negli Stati Uniti), è prevista la costituzione di una banca d’investimento con garanzia e sotto controllo statale (così ripercorrendo la strada abbandonata della commistione pubblico-privato, causa di molti problemi), si affaccia l’idea di “rivedere radicalmente il bail in” e di “ridiscutere i parametri dei protocolli di rating di Basilea” (due proposte sia sbagliate, sia impossibili da realizzare: sbagliate perché si accollerebbero i costi delle crisi ai contribuenti invece che ai risparmiatori; impossibili da realizzare perché richiedono il consenso non solo dei paesi dell’Unione, ma anche di quelli che fanno parte dell’Accordo di Basilea).

 

Il secondo?

Flat tax (punto 11). Non “piatta”, perché con due aliquote: dovrebbe assicurare una “drastica riduzione del carico tributario”. Si propone poi “pace fiscale”, senza condoni, ma con pagamento di “saldo e stralcio dell’importo dovuto” in casi di difficoltà e eccezionali. Non si dimostra come compensare la diminuzione di gettito e neppure come distinguere tra discrezionalità dell’amministrazione finanziaria e “riscossione amica” (“la legge si applica ai nemici, si interpreta per gli amici”, secondo la nota frase attribuita a Giovanni Giolitti?).

 

Passiamo al terzo.

Immigrazione (punto 13). Occupa molto spazio e i contenuti sono noti: controllo dei flussi e ricollocamento, controllo nei paesi di origine o di transito, rimpatri dei circa 500 mila immigrati irregolari, centri regionali di permanenza temporanea finalizzati al rimpatrio, gestione pubblica dei centri di accoglienza, introduzione di nuovi reati che comportino l’allontanamento. Si tratta di misure che in parte richiedono l’accordo con altri paesi, in parte sono di difficile o impossibile realizzazione (ad esempio, come e dove rimpatriare mezzo milione di persone? Un ponte aereo? Con quali paesi?).

 

Il quarto?

La giustizia, alla quale è dedicato ampio spazio al punto 12. “Legittima difesa domiciliare”, inasprimento delle pene, abbandono della riforma penitenziaria, nuove carceri, più personale penitenziario, maggiore utilizzazione delle intercettazioni, ricorso agli agenti provocatori: insomma uno stato rigido, la sua potestà punitiva in primo piano. La pena ha solo un fine punitivo, non lo scopo della riabilitazione del condannato, come prescrive la Costituzione.

 

A questo fa riscontro uno stato più benevolo in altri punti.

Che sono il 17 e 19, relativi a pensioni e reddito di cittadinanza. Sulla prima, 100 come somma di età e anni di contribuzione. Sul secondo, 780 euro al mese per il reinserimento (quindi per chi abbia già lavorato), purché non rifiuti più di tre proposte di lavoro. Una cifra è indicata nel secondo caso, ma esigua, 2 miliardi, per i centri per l’impiego.

 

Veniamo agli ultimi due punti.

Che riguardano gli aspetti costituzionali (punto 20) e la sicurezza (punto 23). Sui primi, le segnalo che il M5s ha sottoscritto la frase per cui il principio della rappresentanza è “principio supremo”. Salvo prevedere l’abolizione del “quorum” per la validità dei referendum abrogativi e l’introduzione del referendum propositivo, nonché il “vincolo di mandato per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo” (la soppressione del divieto di vincolo di mandato è uno dei punti del “contratto” che richiede una modificazione costituzionale; questa a mio parere non è auspicabile, perché il divieto di mandato imperativo è diretto a preservare la collegialità del Parlamento, nel quale non possono esservi ”burattini” guidati dagli elettori, ma debbono sedere persone che si formano un convincimento attraverso la discussione). Condito con la riduzione dei deputati a 400 e dei senatori a 200 e con l’affermazione per cui la Costituzione dovrebbe sempre prevalere sul diritto europeo. Sono in ballo molti articoli della Costituzione (67, 75, 117, tra gli altri) ed è in ballo la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale solo i princìpi supremi della Costituzione prevalgono sul diritto europeo. Infine, il punto 23 prevede l’assegnazione di più fondi alle forze dell’ordine, così come un altro punto più risorse per le Forze armate.

 

Il rapporto con l’Unione europea.

Ho già in parte detto. C’è una singolare compresenza di richiesta di sovranità e di empiti comunitari (punto 29: attuazione dei Trattati, rafforzamento del Parlamento europeo, più rappresentanza europea delle regioni e più Europa sociale).

E tutto il resto?

Il contratto riguarda acqua, agricoltura, ambiente, cultura, disabilità, famiglia, sanità, sport, trasporti, turismo, università e ricerca e altri temi, che sono però meno qualificanti e comunque contengono proposte meno controverse.

Abbiamo passato in rassegna quello che c’è. Ma tra i 30 punti c’è qualcosa che manca, che avrebbe dovuto esserci, a suo avviso, e che manca?

Due capitoli sono assenti: l’industria e il mezzogiorno. A proposito di questo secondo, nel punto 25 c’è una frase misteriosa e sgrammaticata: “Tutte le scelte politiche previste dal contratto […] sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l’obiettivo di colmare il gap tra nord e sud”. E anche i poteri locali sembrano sullo sfondo, salvo ricordarsene al punto 4 a proposito delle zone terremotate, dove si prevede il coinvolgimento dei comuni e il conferimento di maggiori poteri ai sindaci.

 

Quale immagine del paese è presente, secondo lei, in questo contratto?

Quella di un’Italia impaurita: immigrazione, difesa, forze dell’ordine, polizia locale, persino “videocamere nelle scuole” (punto 23), quindi più autoritaria, e di un’Italia meno moderna, più ripiegata su se stessa (che si accontenta del reddito di cittadinanza e di pensioni e rinuncia a dotarsi di infrastrutture tipiche di un paese moderno). Un’Italia più pre-moderna, più rurale, per qualche aspetto (penso all’attenzione per i disabili), più compassionevole. Comunque, un’Italia ferma. Lo stato, poi, esce dal “contratto” più pesante e con un volto arcigno. Il mercato, poi, è condannato, va rifuggito o piegato ad altre esigenze (come se il mercato non fossero milioni di consumatori, compresi quelli che hanno votato per le due forze politiche contraenti). Infine, il mondo non è declinato al futuro, non si parla di nuove tecnologie, del modo in cui vivremo tra cinque anni.

  

Che prevede? Che succederà, ora?

Innanzitutto, mi auguro che vengano dimenticati passaggi del contratto che suscitano o il riso, o serie preoccupazioni, o dubbi interpretativi. Il punto 3 fa riferimento a un nuovo tipo di sovranità, la “sovranità alimentare”. La trasformazione di debiti statali commerciali in debiti finanziari (mini Bot) finirebbe per incidere sul debito finanziario dello stato, e quindi preoccupa. Non si capisce come il conflitto di interessi possa esservi anche tra titolari di interessi pubblici. Perché nel contratto sono previsti due nuovi ministeri (disabilità e turismo), se si vogliono recuperare risorse dagli sprechi? Non bastano i ministeri esistenti? Che vuol dire, nel capitolo sul codice etico, che non può far parte del governo chi “sia in conflitto di interessi con la materia oggetto della delega”? In secondo luogo, mi auguro che le altre forze politiche (ma esistono?) e l’opinione pubblica (i giornali) non vadano a cercare farfalle sotto l’arco di Tito, studino, valutino, critichino, propongano, evitando atteggiamenti del tipo “so’ guaglioni” (quindi, vanno tollerati o perdonati, o non presi troppo sul serio, per la loro giovinezza). Non dimentichi che la crescita dell’Italia della paura, che ha alimentato la Lega, è anche dovuta al posto riservato nelle cronache ai crimini, all’enfatizzazione dei reati da parte di molti giornali, che non hanno invece dato spazio ai dati dell’Istat sulla diminuzione dei reati.

 

I prossimi passi?

Nel dibattito pubblico, siamo già alle interpretazioni del testo da parte dei firmatari, perché si dice, forzando il contratto, no Tav e no Ilva. Sul piano degli effetti, c’è da registrare l’aumento dello “spread” tra titoli italiani e tedeschi e il calo della Borsa di Milano. Sul piano delle procedure, le parti contraenti hanno seguito pratiche molto diverse di consultazione. La Lega ha sottoposto a consultazione i dieci punti per essa rilevanti, “per registrare l’aria che tira”, in “gazebo” nei quali non si richiede neppure la carta di identità e si permette quindi di votare più volte. Sono andate a votare 100 mila persone e non si conoscono gli esiti, ma pare che il Sì prevalga. Il M5s ha presentato un opuscolo, anche esso con i punti che stanno a cuore al Movimento, ha consultato tramite la piattaforma Rousseau i soli iscritti “certificati” e ha registrato 44.796 partecipanti, di cui 42.274 a favore. Siamo ben lontani dalla consultazione fatta dai socialdemocratici tedeschi, alla quale ha partecipato quasi mezzo milione iscritti. Questi numeri italiani sono molto insufficienti per parlare di democrazia. Non vede una grande distanza tra gli 11 milioni di voti, a nome dei quali parlano i dirigenti del M5s, e i meno di 50 mila iscritti certificati che si sono espressi? E possono i 100 mila che si sono recati ai “gazebo” parlare a nome dei quasi 6 milioni di votanti della Lega?

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