Piercamillo Davigo (foto LaPresse)

La ballata di Davigo

Guido Vitiello

Il magistrato, insieme a Giovanni Floris, mette in scena l'elaborata pantomima del corteggiamento e del rifiuto tra un cavaliere e una dama ritrosa

L’intervista a Piercamillo Davigo è ormai un genere a sé stante, non meno codificato del ditirambo, del madrigale o del sonetto elisabettiano. Per l’esattezza, è un’evoluzione del genere aristocratico della danza corrente o courante, praticata in Francia già alla corte del Re Sole, un’elaborata pantomima del corteggiamento e del rifiuto tra un cavaliere e una dama ritrosa. La courante daviguienne si balla in due, per tradizione il martedì: chissà se stasera andrà in scena. Si svolge così: Floris – ah, che gagliardo nome da moschettiere, o da cavaliere di un ciclo epico medievale! – prega Davigo perché commenti qualche scandalo di cui tutti parlano, e che in teoria giustificherebbe la sua presenza come ospite semifisso in un talk-show di attualità. Davigo si schermisce, scuote il capo, dice che non intende aprir bocca su vicende processuali in corso.

 

L’ardimentoso Floris ci riprova, Davigo si ritrae ancora. Ma almeno, dottor Davigo, un’idea generale sulla vicenda se l’è fatta? Sì, ma non gliela dirò mai, neppure sotto tortura. E su questo garbuglio del Csm, una parolina ce la dice? Se lo scordi, sono membro della commissione disciplinare, mi ricusano in cinque minuti. La pantomima galante occupa almeno quattro quinti dell’intervista. A quel punto, buon senso vorrebbe che Floris, stremato, gli chiedesse: va bene, dottor Davigo, ma allora che cavolo ci è venuto a fare qui? Questo però non accade mai, perché lo schema della danza prevede che il magistrato, non potendo dir nulla di specifico, si butti sul generico (leggi: sul qualunquista). Ripropone così il suo repertorio più classico – i politici rubano ancora ma non si vergognano più, noi magistrati siamo meglio perché i nostri li puniamo, eccetera – ornato ogni volta con gli stessi trucchi retorici, gli stessi esempi, gli stessi aneddoti: il biglietto dell’autobus, il ceffone del babbo, le posate, il pedofilo. Una danza dell’ancien régime riportata in auge dal beniamino dei giacobini, chi l’avrebbe mai pensato?

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