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In lode dell'orologio matto

Guido Vitiello

Nel 2019 come nel 1993, Vittorio Sgarbi è stato uno dei pochi parlamentari a non votare "per compiacere al grido della folla". Che il Grande Orologiaio ce lo conservi

A segnare due volte l’ora giusta non è soltanto un orologio rotto, può essere anche un orologio matto. “Con una certa preoccupazione mi accingo a votare contro”, ha detto un deputato, “perché non riesco ad agire in stato di ricatto. Ricorderò questo come il giorno in cui il Parlamento vota, fingendo di orientarsi nella direzione del buonsenso e della saggezza, all’opposto di quello che pensano i singoli parlamentari nell’intimo (almeno la metà di essi)”. E ha aggiunto: “A questo atteggiamento non riesco ad accomodarmi e ritengo che agire in tale condizione sia fuori della regola democratica. Noi stiamo votando per compiacere al grido della folla”. Il deputato in questione si chiama Vittorio Sgarbi. Ma la data del discorso non è l’8 ottobre 2019, è il 13 ottobre 1993. In quel clima infame, la Camera stava per inscenare il primo atto di un lunghissimo, teatrale, estenuante suicidio rituale: l’abolizione dell’immunità parlamentare. Appena in cinque votarono contro, a fronte di 525 lemming entusiasti di correre al precipizio, e tra questi cinque il solo Sgarbi ebbe il coraggio di prendere la parola per difendere la scelta più impopolare, in quello che chiamò il “giorno della suprema ipocrisia”. Un quarto di secolo dopo, a Montecitorio, le proporzioni sono state quasi identiche: 553 contro 14 – e tra questi c’era di nuovo lui, Vittorio Sgarbi, l’orologio matto. Uno che ne fa cento e magari ne sbaglia novantotto. Ma se le due che indovina sono queste, che il Grande Orologiaio ce lo conservi.