(Foto LaPresse)

Grana contro dazi

Daniele Bonecchi

Il formaggio italiano più venduto al mondo e i numeri negativi della guerra commerciale

Le dichiarazioni di guerra sono cose impegnative, ma anche qui la determinazione non manca: “Siamo pronti a manifestare davanti agli insediamenti militari americani in Italia di Montichiari, Ghedi, Longare e Vicenza, realtà che sono proprio nel cuore pulsante di casa nostra, la casa del Grana Padano, per cercare di fronteggiare la decisione del Wto, l’organizzazione mondiale del commercio, che ha autorizzato gli Stati Uniti a porre dazi su prodotti dell’Unione europea per compensare il danno subito da Boeing per i finanziamenti europei ad Airbus”, azzarda Stefano Berni, il direttore generale del Consorzio Grana Padano, il prodotto dop più consumato del mondo con circa 5 milioni di forme annue. Il Consorzio si è fatto promotore di una allarmata missiva ai ministri Teresa Bellanova (Politiche agricole e alimentari) e Stefano Patuanelli (Sviluppo economico). Nella lettera viene denunciato che “tale danno si trasferirebbe sulle 4.000 stalle il cui latte è destinato alla produzione di Grana Padano e sulle altre aziende il cui prezzo del latte è, da sempre, condizionato dall’andamento del Grana Padano. Questo danno indiretto al latte italiano non sarebbe inferiore ai 150 milioni di euro all’anno”. Berni stesso sembra però circoscrivere il danno: “L’aumento del 25 per cento (rispetto al rischio paventato del 100 per cento, ndr), implica un aumento di 3,25 euro su ogni forma, portando il valore complessivo del dazio a 5,25. Si tratta di un incremento indubbiamente pesante, ma al di sotto di quello temuto con le stime dei giorni scorsi di 13 euro per ogni forma”.

 

Per le stalle e per i casari di qualità il danno sarebbe comunque grave. E una prima risposta, sanguigna in stile col personaggio, è arrivata dal ministro delle Politiche agricole: “La Commissione europea deve stigmatizzare un attacco di questo genere al sistema delle nostre indicazioni geografiche. I produttori americani vogliono ribaltare la realtà, vogliono far passare per nomi comuni le nostre denominazioni per poi venderle anche in Europa. Se il loro progetto è vendere il Parmesan o la finta mozzarella in Europa, dobbiamo dire chiaro che non succederà mai… Usassero diciture americane per i loro prodotti, ma giù le mani dai nostri nomi”, ha detto Teresa Bellanova.

 

Ma guerre e un pizzico di retorica a parte, il problema dei dazi investe pesantemente l’insieme del food prodotto in Lombardia e non solo. La Camera di commercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza ha calcolato che i dazi rappresentano un danno per otto imprese italiane su dieci nel settore food (indagine realizzata il 3 e 4 ottobre da Promos Italia). Anche se sette imprese su dieci restano comunque ottimiste e guardano all’Europa come mercato trainante. Gli alimentari, con un export verso gli Stati Uniti di oltre un miliardo in sei mesi, pesano il 5 per cento sull’export nazionale, +13 per cento. L’Italia nei primi sei mesi del 2019 ha esportato negli Usa per 22 miliardi, oltre un miliardo e mezzo in più rispetto allo stesso periodo del 2018. E prima in classifica è Milano, che con le sue imprese supera i 2 miliardi e mezzo di euro (+12,4 per cento). Bene anche le altre lombarde. In totale la Lombardia supera i 5 miliardi di euro (+10,2 per cento) e rappresenta oltre un quinto del totale italiano.

 

Ovviamente le guerre sui dazi presenti e potenziali pesano su ogni settore. I prodotti italiani più esportati negli Usa sono i macchinari, i prodotti farmaceutici, gli autoveicoli. I macchinari superano i 4 miliardi, i prodotti farmaceutici i 3 e gli autoveicoli i 2 miliardi. “Condivido e comprendo la preoccupazione delle imprese – spiega Giovanni Da Pozzo, presidente di Promos Italia – Nonostante i dazi non colpiscano tutti i prodotti agroalimentari made in Italy, si tratta comunque di un forte contraccolpo per l’export di settore verso gli Stati Uniti, che da anni, tra l’altro, già sconta il gravoso e irrisolto, problema dell’Italian sounding. E’ necessario – conclude Da Pozzo – avviare al più presto una trattativa a livello comunitario sia per tutelare le imprese del settore sia perché il rischio che Italia e Europa vadano incontro a una fase di recessione, dovuta a un ulteriore rallentamento dei mercati internazionali, è concreto”. Proprio da Bruxelles, nei giorni scorsi, Attilio Fontana ha l’ha definita “una brutta, bruttissima botta per il sistema agricolo e agroalimentare della Lombardia e più in generale dell’intero paese”.