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Non serve una nuova legge sul “carcere per i grandi evasori”

Enrico Zanetti

Quello della maggiore punibilità per chi evade il fisco è un tema ricorrente sin dal lontano 1982. Eppure la normativa attualmente in vigore è più che sufficiente

Archiviate insieme al precedente governo le generiche proposte di “pace fiscale”, il baricentro delle parole d’ordine della politica si sta spostando in queste ultime settimane verso la non meno generica promessa di “carcere per i grandi evasori”. E’ un tema ricorrente sin dal lontano 1982 che solitamente si accompagna non tanto al tipo di colore politico del governo e della sua maggioranza, quanto piuttosto alla crescente consapevolezza di quel governo e quella maggioranza politica della necessità di varare di lì a poco scelte impopolari sul versante fiscale.

 

Accadde infatti anche nell’estate del 2011 con un governo e una maggioranza politica completamente diversi da quella attuale. In verità, risulta sempre difficile capire cosa si intenda davvero fare, dietro a questa dichiarazione d’intenti, posto che il “carcere per i grandi evasori” è già da molto tempo parte integrante del nostro ordinamento giuridico. Il decreto legislativo n. 74 del 2000 prevede pene da 1,5 a 6 anni di reclusione per frode fiscale e da 1 a 3 anni per dichiarazione infedele “non fraudolenta”, oltre ovviamente a sanzioni pecuniarie salatissime che vanno dal 135 al 270 per cento per la frode fiscale e dal 90 al 180 per cento per la “semplice” dichiarazione infedele. Nel caso di frode mediante fatture false, la reclusione non è nemmeno limitata ai “grandi evasori”, perché scatta anche per un euro, mentre nel caso di frode mediante altri artifici scatta oltre 30 mila euro ed in quello di dichiarazione infedele “non fraudolenta” scatta oltre 150 mila euro (quindi, se è di “grandi evasori” che si intende parlare, c’è già in ogni caso). A ciò si aggiunga che, a decorrere dal 2015, è stato introdotto anche il reato di autoriciclaggio (art. 648-ter1 c.p.), tale per cui è prevista la pena della reclusione da 2 a 8 anni per chi impiega, sostituisce o trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro proveniente, tra le altre cose, da reati di frode fiscale (se deriva da reati di dichiarazione infedele “non fraduolenta” la pena è da 1 a 4 anni).

 

E d’altro canto, se così non fosse, sarebbe da chiedersi come mai capita sovente di leggere sui giornali di arresti, singoli o di più persone in concorso tra loro, compiuti meritoriamente dalla Finanza a fronte della scoperta di frodi fiscali più o meno complesse e ramificate, a dimostrazione di quanto sia privo di reale fondamento il luogo comune secondo cui in Italia “nessuno va in carcere per evasione fiscale”. Vero è, questo sì, che è più facile finire in carcere durante le indagini e prima dei processi che restarvi dopo la sentenza definitiva, ma questo è un tema di sistema che riguarda l’amministrazione della giustizia con riguardo alla generalità dei reati e che va affrontato su questo piano, più che un tema specifico di diritto penale tributario.

 

Né invocare ulteriori inasprimenti “mirati” delle pene pare francamente condivisibile, al netto di ipotizzabili ritocchi “non stravolgenti”, in assenza di una eventuale volontà politica di più ampia revisione dei minimi e massimi edittali delle pene previste anche per altre tipologie di reato che destano non meno allarme sociale.

 

Anche volendo considerare l’evasione alla stregua di un vero e proprio furto (pur nella oggettiva difficoltà della piena equiparazione concettuale tra un comportamento di sottrazione di cosa appartenente a patrimonio altrui con una di mancata estromissione di cosa appartenente a patrimonio proprio), non si può infatti prescindere dalla constatazione che le pene previste per il furto “semplice” vanno da un minimo di 0,5 a un massimo di 3 anni (art. 624 c.p.) e salgono da un minimo di 4 a un massimo di 7 anni nel caso più grave di furto che si consuma presso l’abitazione del derubato (art. 625 c.p.).

 

Tenuto conto che, come è logico che sia, queste pene reclusive si accompagnano a sanzioni pecuniarie risibili rispetto a quelle enormemente più elevate che accompagano le pene reclusive applicabili ai reati di frode ed evasione “semplice”, si fatica francamente a non vedere un ragionevole equilibrio tra le diverse fattispecie, al netto, naturalmente, di eventuali furori ideologici. 

 

Questo articolo è stato pubblicato su Eutekne.info

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