Perché moltiplicare i pagamenti elettronici è questione di civiltà

Renzo Rosati

Per rendere credibile il contrasto all’evasione fiscale, obbligare almeno i servizi aperti al pubblico ed i professionisti a dotarsi di pos ed accettare carte e bonifici

Roma. Presentatosi ieri all’Ecofin di Helsinki il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, del Pd, ha adottato una linea di europeismo convinto ma anche di prudenza nelle promesse. “La riduzione delle tasse si farà – ha detto – ma graduale, finanziandola con la lotta all’evasione”. Niente più annunci di impossibili flat tax; ma come si può rendere credibile il contrasto all’evasione fiscale?

 

Tra gli strumenti che il Mef ha detto di voler attuare c’è l’uso più esteso possibile dei pagamenti tracciati, cioè con bancomat e carte di credito, anche se a questa categoria appartengono anche i tradizionali assegni. Il centro studi Confindustria propone di abbinare la campagna della moneta elettronica a incentivi e disincentivi per i privati: commissione del 2 per cento per i prelievi di contante oltre i 1.500 euro, credito d’imposta egualmente del 2 per cento sulla successiva denuncia dei redditi per chi usa strumenti elettronici (carte, bancomat, bonifici). Con tutto il rispetto è un modo di affrontare con i guanti, e con diverse complicazioni, un problema che non si può più fingere di non vedere. L’Italia, paese che vive di commercio e turismo molto più del resto d’Europa, è ultima nell’Unione europea per numero di transazioni annue in moneta elettronica: 48 dietro alle 50 della Grecia, alle 104 della media, alle 300 della Finlandia, alle 250 dell’Olanda. Tutto questo ha poco a che fare con la libertà, legittima, di detenere contante, purché non lo si usi per evadere il fisco. In Austria e Germania si effettuano in contante l’85 e l’80 per cento delle transazioni, poco meno delle 86 italiane; però l’Italia è prima per evasione fiscale, l’Austria 12sima, la Germania 11sima.

 

A settembre 2017 il governo Gentiloni introdusse una riforma che, partendo dalla fatturazione elettronica (per ora obbligatoria solo negli scambi tra soggetti Iva) si proponeva di estendere l’uso di carte e bancomat. “Fosse per me non porrei nessun limite al contante”, disse a giugno 2018 Matteo Salvini; “No al regalo M5s-Pd alle banche” dice oggi Giorgia Meloni. Che sia semplice populismo o anche una strizzata d’occhio agli evasori non lo sapremo mai. Certo è che l’Italia non ha un gap solo con il resto d’Europa (gap parallelo a quello di un contrasto a tappeto all’evasione), ma anche al proprio interno: Basilicata, Campania, Molise, Calabria e Puglia sono le regioni che vantano il maggior numero di transazioni in contante (dal 75 al 68 per cento); all’altro opposto provincia di Trento, Toscana, Lazio, provincia di Bolzano, Veneto, dove la moneta elettronica supera di gran lunga le banconote.

 

A quanto pare il Mef ha intenzione di riconoscere deduzioni e detrazioni fiscali solo se pagate con moneta elettronica e bonifici, tagliando le commissioni su carte e bancomat. E’ un’ottima idea, ma non basta. Già oggi molti professionisti, a partire dai medici, hanno l’abitudine di maggiorare la parcella ai clienti che richiedono la fattura, magari millantando un’Iva che supererebbe la detrazione fiscale del 19 per cento. Ma queste prestazioni sanitarie sono esenti da Iva, a meno che non si tratti delle rette di degenza in cliniche non convenzionate. La stessa abitudine è diffusa tra gli avvocati e nelle agenzie immobiliari; in queste ultime l’Iva sulle provvigioni è del 22, detraibile per il 19. Oltre all’universo degli artigiani che lavorano per privati.

 

Arrivare dovunque è probabilmente impossibile, anche all’estero. Obbligare almeno i servizi aperti al pubblico ed i professionisti a dotarsi di pos ed accettare carte elettroniche e bonifici è, più che una possibilità, un dovere. Nei soli primi sei mesi 2019 la fatturazione elettronica ha prodotto 4 miliardi di gettito, il doppio del previsto. A fine anno saranno dunque 4 miliardi in più: si tratta, solo questo, del costo dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa effettuata nel 2013 dal governo Letta, o di un punto di Irpef sulle aliquote più basse.

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