foto Cecilia Fabiano/LaPresse

Il Covid-19 è un problema di spazi. La rivoluzione della mobilità nelle grandi città

Giovanni Battistuzzi

Adeguare in tempi rapidi i servizi di trasporto pubblico è impossibile. Khan chiude alle auto parte del centro di Londra. Tutte le capitali europee (e New York e Bogotà) ridisegnano la rete viaria puntando su bici e pedonalizzazioni. E così aiutano anche l'economia

In sintesi, è tutta una questione di volumi. Sono i volumi a essere cambiati e le nuove norme che saranno adottate per permetterci di ritornare a una vita meno segnata dalle restrizioni antipandemiche, devono partire necessariamente da questa mutazione che, per quanto potrebbe essere solo transitoria, probabilmente ci accompagnerà per diverso tempo. Volumi da intendere non solo nel significato fisico di estensione di un corpo, ma anche in quello dinamico di quantità complessiva di cose dello stesso genere in un determinato tempo e in un determinato spazio. 

 

Uno studio commissionato dallo stato del Brandeburgo e dalla municipalità di Berlino a un’equipe di urbanisti, economisti e medici delle principali università del Land – e consultato in esclusiva dal Foglio –, ha segnalato che il ritorno a uno stato di normalità post Covid-19, dovrà inevitabilmente tenere conto dell’aumento del “volume umano” dovuto allo spazio sociale di sicurezza per evitare il proliferare di nuovi contagi, che necessariamente si ripercuoterà sui volumi di flusso della vita quotidiana. 

 

Questo cambiamento, secondo i ricercatori, avrà ripercussioni soprattutto su due settori delle nostre città: quello dei trasporti pubblici e quello della ristorazione.

 

Secondo lo studio, che prende in considerazione la città di Berlino e il suo “hinterland”, un adeguamento dei mezzi pubblici per garantire un servizio uguale a quello precedente alla pandemia sarebbe troppo lungo e troppo costoso. Per adattare la flotta di autobus, tram e treni metropolitani alle nuove esigenze ci vorrebbe – tra bandi, produzione e acquisto – almeno un anno (più probabilmente diciotto mesi) e ciò provocherebbe in ogni caso un aumento dei tempi di percorrenza che andrebbe dal 20 al 60 per cento a seconda della distanza percorsa. È per questo che i ricercatori hanno sconsigliato al Land e alla municipalità questa strada, sottolineando l’esigenza di una “revisione del modello di mobilità”. Lo studio sottolinea infatti, la necessità “di una facilitazione del movimento tramite mezzi di locomozione non impattanti”, dove “non impattanti” non si riferisce alla sostenibilità ambientale, ma a forme di trasporto “che non creino intoppi nella mobilità di superficie”, per consentire a tutte le persone “la possibilità di muoversi rispettando le nuove distanze sociali”. Biciclette, monopattini, pattini, segway eccetera, rappresentano per i ricercatori “una necessaria alternativa alle automobili”, in quanto permettono a un numero maggiore di persone di muoversi occupando lo stesso volume stradale.

 

Un’analisi questa condivisa nella maggior parte delle grandi città europee e mondiali.

  

Venerdì il sindaco di Londra Sadiq Khan in sintonia con il Transport for London, l’azienda di trasporti della capitale inglese, ha annunciato la decisione di limitare grandi parti del centro di Londra (le strade principali tra London Bridge e Shoreditch, Euston e Waterloo, e Old Street e Holborn) alle auto private. Una pedonalizzazione su grande scala che per il primo cittadino è necessaria perché, nell’impossibilità di adeguare velocemente il numero e la frequenza dei mezzi, “dobbiamo mantenere il più basso possibile il numero di persone che utilizzano i trasporti pubblici. E facendo questo non possiamo permetterci di fare in modo che chi prima si muoveva con metro e bus ora inizi a spostarsi in auto: le nostre strade non riuscirebbero a smaltire un significativo aumento di traffico, la città si paralizzerebbe”.

 

Da Parigi a Bogotà, da New York a Vienna le amministrazioni cittadine si sono mosse tutte in questa direzione. Il ministro della mobilità, dei lavori pubblici e della sicurezza stradale della regione di Bruxelles, Elke Van den Brandt, ha dichiarato alla Deutsche Welle che “la fine del lockdown impone grandi sfide e per affrontarle sono necessarie decisioni radicali”. Secondo Van den Brandt, la politica ha il compito “di analizzare la situazione e prendere decisioni che vadano nell’interesse generale dei cittadini. La necessità ora è quella di ripartire e farlo garantendo la sicurezza. E per garantirla c’è un solo modo, facilitare il distanziamento tra le persone, obbiettivo difficile in presenza di strade colme di traffico”.

 

Per il sindaco di Parigi Anne Hidalgo il Covid-19 sta solo accelerando la necessaria trasformazione delle nostre città. La prima cittadina della capitale francese ha dato il via a un piano di modifica della viabilità che prevede 450 chilometri di corsie ciclabili, alcune “al momento temporanee”, e la creazione di nuovi parcheggi – oltre duemila posti che saranno gratuiti se in possesso dell’abbonamento del trasporto pubblico o se in possesso di bicicletta o trotinette – nell'aree urbane esterne per facilitare la multimodalità di trasporto. Inoltre ha annunciato di essere al lavoro per estendere le zone pedonali della città. Una strategia condivisa con il governo guidato da Édouard Philippe, che ha stanziato 20 milioni di euro per incentivare i cittadini all’acquisto di biciclette. Qualcosa di simile è stato applicato anche in Italia con l'inserimento nel decreto Rilancio del cosiddetto Bonus bici che concede a chi acquista una nuova bicicletta un rimborso del 60 per cento sino a 500 euro.

 

A New York e a Barcellona, la decisione di aumentare le zone a traffico zero (sebbene non sia stata ancora approvata) è stata presa anche per agevolare la ripresa economica di ristoranti e bar. Nella sola Barcellona, l’adeguamento alle misure anti-Covid e l’aumento della distanza tra i tavoli avrebbero fatto perdere circa il 35 per cento del numero dei coperti, mettendo così a rischio chiusura il 40 per cento delle attività (che producono circa il 15 per cento del pil cittadino). Se i muri non si possono allargare, l’esterno invece può essere utilizzato. E questo utilizzo non può essere fatto a discapito dei passanti. La pedonalizzazione è diventata così una risorsa necessaria per non aggravare la crisi di un settore fiorente dell’economia catalana. 

 

A Siviglia questa scelta è stata presa già da qualche anno. L’aumento delle pedonalizzazioni, la diminuzione del numero di auto in città (sia per numero che per volume di traffico) ha provocato una crescita dell’economia cittadina di circa il 9 per cento. 

 

Milano ha già intrapreso questa strada, tanto da essere inserita dal World Economics Forum tra gli esempi da seguire. Roma sta iniziando con qualche ritardo a percorrerla. Nuove corsie ciclabili sono state già realizzate e altri cantieri sono prossimi all’apertura. A mancare al momento è un programma di pedonalizzazione che, paradossalmente, commercianti e ristoratori stanno iniziando a invocare. Proprio chi un tempo si era dimostrato contrario alle pedonalizzazioni e le aveva additate come pericolo per una contrazione degli affari, ora si dimostra non solo più possibilista, ma addirittura le invoca. È successo in Germania, in Francia, in Spagna, perfino a New York. Sono cambiati i tempi e forse quel report del 2016 della European Cyclists’ Federation, che sottolineava i benefici per il commercio delle zone pedonali, ora inizierà a girare di più.

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