Angela Merkel ed Emmanuel Macron (Foto LaPresse)

Alleati serpenti

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Macron flirta con l’idea di Merkel in Europa ma poi inciampa sul liberalismo. Nuovi battesimi e cattiverie alle spalle

Se Angela Merkel volesse andare in Europa, se volesse guidare la Commissione europea, “la sosterrei” subito, ha detto Emmanuel Macron: “Abbiamo bisogno di leader forti, l’Europa ha bisogno di nuove facce, di facce solide, è necessario trovare personalità che incarnino questo spirito”. La cancelliera tedesca dice, con malcelato sollievo, di non volerne sapere, ha smentito più volte ambizioni europee, e così l’uscita del presidente francese è stata vissuta con grande risentimento dai tedeschi. Il decisionismo macroniano va giù di traverso a molti in Europa, in Germania soprattutto visto che dalla Germania viene il candidato “naturale” alla guida della Commissione: il bavarese Manfred Weber. 

 

Le speranze di Weber salgono e scendono a giorni alterni, ma quando c’è lo zampino di Macron precipitano al centro della terra: il presidente francese era contrario già prima delle europee al processo dello “Spitzenkandidat”, vogliamo cambiare l’Europa e ci facciamo guidare da oscuri politici senza elettori?, diceva, ma ora la faccenda è quasi esistenziale. Ma non è che Macron vuole un’Europa a sua immagine e somiglianza? Finché il presidente francese esporta il modello En Marche si può anche discutere, ma un Jupitér europeo dove lo si sistema? I terrorizzati guardano verso la Merkel, l’unica che può contenere il presidente ragazzo, ma se formalmente la cancelliera continua a sostenere la linea della sua famiglia politica d’appartenenza, il Ppe, e quindi Weber, molti dicono che non voglia arrivare allo scontro con Macron: al limite lo convincerà, è la sua qualità più affascinante, questa. Decide lei, ma fa credere agli altri di aver deciso loro: la moglie perfetta.

 

Diamoci un nome /1. Ieri il partito dei liberali europei ha infine deciso il suo nuovo nome: partiva come Alde e ora, dopo molte discussioni e un documento intitolato “21 parole per il 21esimo secolo”, si chiama “Renew Europe”. Delusi? Un pochino. Per due ragioni. La prima è che erano circolate formule molto più divertenti: un “no worries” liberatorio (con magari la canzone blairiana “Things can only get better” in sottofondo) e anche un “inspire.” e un “inspire europe.”, minuscoli e con il punto, per fare i moderni. La seconda, più grave, è che i francesi, quindi i macroniani, hanno fatto di tutto per evitare che nel nome del partito liberale europeo ci fosse la parola “liberale”. “Sono comunque francesi”, ci ha detto secca una fonte a Bruxelles, ma la decisione è nata dal fatto che il termine “liberalismo” è percepito in modo negativo, e se si può evitare di partire in salita, è meglio. Sarà, ma l’europeismo muscolare di Macron si pesta i piedi da solo se nasconde il concetto su cui si fonda la sua proposta, e la carriera del presidente.

 

Diamoci un nome /2. Anche i sovranisti capitanati da Matteo Salvini – e il presidente del gruppo sarà il leghista Marco Zanni – si sono battezzati nuovamente: non saranno più Europa delle Nazioni e delle Libertà ma un più semplice e diretto “Identità e Democrazia”. Con tutto quel che si dice delle democrazie illiberali e degli ossimori, questo nuovo nome ha un che di trolleggiante.

  

La capolista di En Marche alle europee, Nathalie Loiseau (Foto LaPresse)


 

Parlarsi alle spalle. La capolista dei macroniani, Nathalie Loiseau, potrebbe diventare presidente di Renew Europe. Ex direttrice dell’Ena, ex ministro per gli Affari europei, durante la campagna elettorale per le europee la sua mancanza di carisma e il tono professorale avevano causato non pochi disamori. Poteva peggiorare la sua situazione? Sì. In una serata brussellese, davanti a dodici giornalisti accreditati, la Loiseau si è abbandonata a dichiarazioni poco lusinghiere nei confronti dei compagni di partito europei. Una parola buona per tutti, anche per Jean Arthuis, altro eurodeputato macroniano: “È di un’intelligenza brillante, purtroppo è un uomo così acido”. L’acido Arthuis ha risposto che un esordio più promettente, la Loiseau, non avrebbe potuto farlo. Le affermazioni sono state riportate dal quotidiano belga le Soir, poi riprese dal Canard Enchaîné e tra un aggettivo e l’altro, l’eurodeputata francese è riuscita a inimicarsi gran parte di Renew Europe. Guy Verhofstadt? Un veterano che ha delle frustrazioni vecchie di almeno quindici anni. Oggi Verhofstadt, ancora presidente dell’Alde, è stato ricevuto da Donald Tusk assieme a lei: chissà che cosa si sono detti quando sono rimasti soli. Ai suoi rivali, gli altri nomi che circolano per la presidenza del gruppo, ha riservato insinuazioni e commenti. L’olandese Sophie in ’t Veld? “È da quindici anni che perde tutte le battaglie che porta avanti”. Lo svedese Fredrick Federley? “Eleggerlo vorrebbe dire consegnare le chiavi del gruppo alla destra tedesca”. Nicola Beer dell’Fdp? “Dall’alto del suo 5 per cento si comporta come una tedesca al Parlamento europeo”. Poi è toccato pure alla Merkel: “Il problema dell’Europa è la Merkel”, ha detto la Loiseau. Tra perdenti, acidi e tedeschi, è arrivato il turno di Manfred Weber, “un ectoplasma” che nella vita “non è riuscito in nulla”. Nathalie Loiseau ha detto che non è vero nulla, ha scritto una lettera in inglese a tutti gli interessati per smentire le dichiarazioni, ma i suoi colleghi non hanno commentato, a parte l’acido Arthuis. Difficile che abbiano creduto alle sue scuse.

 

La Hollywood dell’AfD. Ognuno ha la sua Hollywood, quella tedesca si chiama Görlitz, o “Görliwood”, è sul confine orientale e rischia di diventare il primo feudo dell’AfD. Al primo turno delle elezioni locali, Sebastian Wippel, candidato del partito di estrema destra, ha preso il 36,4 per cento ed è il favorito al ballottaggio di domenica prossima. Görlitz ha un’élite tutta sua, fatta di intellettuali, attori, produttori, registi – è stata lo sfondo di “Grand Budapest Hotel”, “Bastardi senza gloria”, “Monuments Man” – che hanno organizzato una campagna perché la città non finisca nelle mani dell’ultradestra. La città potrebbe snaturarsi, da centro della cinematografia si trasformerebbe nella fortezza dell’antieuropeismo. Tutte le agenzie di Hollywood si sono schierate dalla parte dei promotori della campagna che invitano i cittadini a “non lasciarsi trasportare dall’odio e dall’ostilità”. Ma la questione è anche economica: con un sindaco dell’AfD e con politiche di estrema destra, la città perderebbe la sua reputazione di città cosmopolita e con la reputazione se ne andrebbero anche gli investitori. Wippel ha risposto: “Görlitz non ha bisogno di suggerimenti dall’estero”.

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