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Chi lo dice alla Le Pen che Macron otterrà molto più di lei in Europa?

Paola Peduzzi

Il presidente ha un piano europeo e apre ai Verdi che in Francia sono andati bene dicendosi, guarda un po’, “né di destra né di sinistra”

Milano. La mappa elettorale della Francia dopo il voto europeo è marrone-arancione punteggiata di verde: il Rassemblement national di Marine Le Pen è il primo partito con uno scarto dello 0,9 per cento sulla République En Marche del presidente Emmanuel Macron, un pareggio di fatto, con un’unica sorpresa che è Europe écologie-Les Verts, il contributo francese all’onda verde europea. Il resto, che poi è la Francia tradizionale con la sua destra e la sua sinistra, è quasi scomparso. Macron voleva vincerle, queste europee, e non l’ha fatto, ma la Le Pen che gli chiede di sciogliere l’Assemblea nazionale perché non è più rappresentativa della Francia suona un tantino esagerata. Per di più, nonostante la voce grossa, la Le Pen ha preso meno voti rispetto al 2014, e l’unica cosa che può davvero festeggiare è l’aver relegato Jean-Luc Mélenchon, suo alter ego euroscettico all’estrema sinistra, a un consenso a una cifra.

 

Il Rassemblement national e la République En Marche avranno più o meno lo stesso numero di eurodeputati a Strasburgo, 22 vs 21, ma se e quando ci sarà la Brexit, nella redistribuzione dei seggi arriveranno entrambi a 23 seggi, cioè un pareggio vero. Con una grande differenza: la Le Pen non conterà granché nelle dinamiche europee, proverà a disarticolarle con Matteo Salvini (ammesso che i due riescano ad andare d’accordo: non è detto) e magari con l’inglese brexitaro Nigel Farage, ma non molto di più – anzi, magari qualcosa di meno se si guarda al livello di assenteismo registrato finora dagli eurodeputati sovranisti. Macron invece fa parte del gruppo principale per la formazione della nuova maggioranza al Parlamento europeo, la nuova Renaissance che si sta allargando, il palco perfetto dove continuare a interpretare il ruolo di Mr Europe. Il presidente ha già iniziato la sua nuova fase – anche prima del voto in realtà – invitando a cena a Parigi il premier spagnolo Pedro Sánchez, che guiderà la prima delegazione nazionale del Partito socialista europeo, che è una delle poche buone notizie per la sinistra continentale e che, dovendo formare un governo a Madrid magari con i macroniani spagnoli, Ciudadanos, è un ottimo interlocutore per tessere la trama politica della nuova legislatura europea. Durante la quale Macron vuole far pesare fin da subito una sua convinzione antica: il concetto di Spitzenkandidat non ha alcun senso di esistere, il presidente francese fa il tifo per ben altre figure rispetto a quelle proposte dalle due principali famiglie europee, manca ancora qualcuno che lo faccia sapere a Manfred Weber, il bavarese conservatore che, secondo questo processo, dovrebbe essere il prossimo presidente della Commissione e con sempre maggior certezza non lo sarà.

 

Macron vuole creare un centro di gravità attorno a sé e al suo progetto politico: una vittoria alle europee gli avrebbe consentito di farlo forse con maggiore rapidità e con maggior potere di persuasione, ma il pareggio con la Le Pen non compromette il suo piano. In Francia i risultati di questa iniziativa si vedono chiaramente: la sfida politica è ritornata a essere a due, ma al posto della sinistra (che ha preso poco più del 6 per cento dei voti) e dei gollisti (fermi al 9 per cento, “una discesa agli inferi”, secondo l’analisi del Monde), c’è Macron contro i nazionalisti, che è quel che prevede il modello En Marche “né di destra né di sinistra”, attrae moderati ed è contro l’estremismo. L’unico partito che è sopravvissuto a questi tre anni di terremoto macroniano è quello verde di Yannick Jadot, che ha fama di “combattente”, che durante la campagna elettorale ha escluso – non senza critiche interne anche aspre – un’alleanza con altri partiti di sinistra, e che aveva come unico slogan, guarda un po’, “né di destra né di sinistra”. L’interpretazione di questa espressione da parte di Jadot non si può definire macroniana in senso stretto, ma il leader ecologista è sempre stato chiaro su un punto: siamo per l’Europa e siamo contro gli estremisti. E’ anche per questo che ieri Sibeth Ndiaye, portavoce di Macron (molto più di una portavoce in realtà, si è spesa tantissimo in questa campagna elettorale), ha risposto in diretta tv alla domanda “lavorerete con i Verdi?” con un potente: “Mais bien sûr”, ma certamente, non soltanto a livello locale o francese, “ma anche a livello europeo”. Il gruppo in cui ci ritroveremo, ha detto la Ndiaye, “sarà una cerniera che farà da motore alla creazione di un’alleanza progressista e anche, perché no, assieme ai Verdi”. Questa è la grande differenza tra Macron e la Le Pen: il presidente, secondo per un soffio, è una cerniera europea che vuole unire sempre più partiti, leader e idee, mentre la leader del Rassemblement national è sì prima per un soffio ma è in quella parte del Parlamento di Strasburgo e dell’Europa in cui non si cuce granché, per ragioni ideologiche – si distrugge – e naturali – i sovranismi sono difficilmente aggregabili. E questa differenza rischia di pesare molto di più di quello scarto dello 0,9 per cento, un pareggio di fatto.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi