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C'è l'ascesa sovranista, ok. Poi c'è pure la resistenza degli europeisti

Paola Peduzzi

Chi non vuole sfasciare l’Europa ma rifondarla si sta organizzando. Altri piccoli segnali da comeback kid

Milano. Ieri è arrivato Frans Timmermans a Milano per la chiusura della campagna elettorale del Partito socialista europeo (Pse) assieme al Pd italiano, che del gruppo è un grosso contribuente, e aveva addosso l’euforia della sorpresa, di quell’attimo in cui ti accorgi che sì, la battaglia è dura, ma tu sei vivo. Incredulità e gioia si sono incontrate giovedì sera con gli exit poll in Olanda dove i laburisti dell’olandese Timmermans sono arrivati primi, i conservatori secondi, i cristianodemocratici terzi e i sovranisti quarti. Doppia sorpresa: i laburisti al primo posto, quando avevano registrato negli anni un collasso al limite dell’estinzione, e i sovranisti che, come in tutta Europa, hanno tenuto banco sui media e nei dibattiti, giù al quarto. Per Timmermans, che è lo Spitzenkandidat del Pse, sarebbe una vittoria personale molto importante (il suo nome più che come improbabile presidente della Commissione europea circola per l’Alto rappresentante per la Politica estera), ma l’euforia è contagiosa soprattutto dopo mesi in cui non si parla che delle alleanze, delle strategie e dell’assedio dei sovranisti, e così molti fantasticano già di riscosse e di ondate che si invertono.

   

Ogni entusiasmo è prematuro e viziato dalle illusioni, ma nelle ultime giornate di campagna elettorale per le europee che si concluderanno domani la resistenza europeista ha preso colore, vuoi perché qualche successo c’è già stato (la vittoria del Psoe in Spagna con Pedro Sánchez), vuoi perché alcuni sondaggi hanno premiato compagini chiaramente europeiste (come i liberaldemocratici britannici), vuoi perché un piccolo esperimento di coalizione progressista esiste davvero (in Polonia), vuoi perché Mr Europe, cioè Emmanuel Macron, ha deciso di mostrare la sua nota determinazione pur essendo ad alto rischio di sconfitta da parte di Marine Le Pen. Anne Applebaum, saggista ed editorialista, ha raccontato nel suo ultimo articolo sul Washington Post di aver incontrato il presidente francese e di aver discusso con lui e con altri intellettuali europei di come si costruisce la voce della maggioranza europeista – perché gli europeisti sono naturalmente maggioranza. Macron ha lavorato a una coalizione europeista a lungo, ma si è trovato di fronte a tante difficoltà perché l’europeismo è sì un valore comune, ma si declina in modi e temi diversi a seconda di chi parla: se sei conservatore, se sei socialdemocratico, se sei liberale e hai a cuore l’Europa ti unisci nella battaglia ideale ma ti perdi in quella concreta, che però è quella che sostanzia la rifondazione del progetto europeo. Secondo la Applebaum, Macron sa che questa è l’unica battaglia da combattere – un fronte europeista unito – ma è anche consapevole del fatto che ci vorrà tempo.

   

Segnali di resistenza però ci sono già, e non sono soltanto gli exit poll a rischio di errore dell’Olanda. C’è che i partiti nazionalisti che vogliono la “exit” dall’Unione europea sono ormai pochini, c’è che nonostante il martellamento mediatico l’immigrazione non è considerata la priorità dalla gran parte dei cittadini europei, c’è che alcuni partiti nazionalisti molto aggressivi, come quello danese ospite di Matteo Salvini a Milano, ha perso molto consenso, c’è che il voto moderato di sinistra si sta distribuendo verso partiti come quelli Verdi che chiedono più Europa. I segnali non bastano a determinare una svolta, figurarsi una strategia, e in agguato ci sono molti freni all’entusiasmo: la frammentazione del prossimo Parlamento europeo dovuta all’ascesa delle coalizioni sovraniste, la retorica trumpiana che punta a infragilire l’Ue come attore economico e politico, i legami stretti con il putinismo destabilizzante, forse anche un prossimo premier britannico superbrexiteer. Ma la resistenza sta prendendo una nuova forma politica, a Parigi c’è un leader che vuole modellarla, gioia e incredulità si sono già incontrate per un attimo: i comeback kid si riconoscono soltanto alla luce del giorno dopo.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi