la propaganda russa

Così il Burkina Faso è diventato il laboratorio di Putin in Africa

Antonio Pellegrino

Le armi sono solo una parte della strategia di infiltrazione del Cremlino, che negli ultimi due anni ha inviato truppe e consulenti militari  a Ouagadougou durante la fase più delicata dei colpi di stato. Tutte le organizzazioni che sostengono la tesi della Russia amica e caritatevole

Manifesti e graffiti inneggianti a Vladimir Putin, poster affissi per le strade di Ouagadougou che pubblicizzano corsi gratuiti per imparare il russo e iniziative pubbliche, dal mondo dello spettacolo allo sport, per celebrare ‘l’amicizia con la Russia’. Il Burkina Faso è uno dei paesi africani dove la guerra ibrida di Mosca ha raccolto i suoi maggiori successi. A metà marzo Ibrahim Traoré, militare burkinabè salito al potere dopo il golpe del settembre 2022, ha parlato del rapporto privilegiato tra la sua giunta e il Cremlino, rivendicando un’alleanza consolidata dai numerosi rifornimenti militari provenienti dalla Russia. Quest’ultima, a differenza di altri paesi, non pone vincoli all’acquisto di armamenti e questo, per Traoré, la rende un fornitore affidabile come lo sono Turchia, Iran e Cina, le nazioni a cui guarda il governo dopo che è stata ufficializzata l’uscita del Burkina Faso dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas).

 

  

Una politica che accomuna diversi stati del Sahel dal momento in cui le truppe europee hanno scelto di lasciare la regione (un esempio recente è quello del Niger che guarda agli stessi partner commerciali indicati dalla giunta di Traoré). Ma le armi sono solo una parte della strategia di infiltrazione mandata avanti da Putin che negli ultimi due anni ha inviato truppe e consulenti militari in Burkina Faso durante la fase più delicata dei colpi di stato, promettendo, una volta consolidato l’ultimo presidente golpista, numerosi finanziamenti per lo sviluppo energetico e aiuti umanitari per fronteggiare la situazione disperata del paese (ultimo in ordine cronologico, venticinquemila tonnellate di grano). Quest’immagine caritatevole e amica della Federazione russa è perorata da una serie di organizzazioni attive da tempo, spesso spacciate per associazioni spontanee della società civile e in altri casi dichiaratamente legate al governo di Mosca. Gli esempi non sono pochi: il programma radiofonico “Russian Time” che diffonde notizie sia in francese che in russo e funge da megafono per la propaganda putiniana, le associazioni sportive che organizzano tornei di sambo – un’arte marziale nata in Unione sovietica – e il centro culturale “Russian House” (Rossotrudnichestvo), emanazione diretta del ministero degli Esteri russo. Tra le varie sigle di questa galassia spicca African Initiative che si definisce “un’associazione di burkinabè e russi il cui obiettivo è rafforzare l’amicizia, la conoscenza reciproca, la pace e l’armonia tra la popolazione del Burkina Faso e della Russia”.

 

  

Il vero scopo di African Initiative si palesa sui suoi canali social dove si presenta sotto un’altra veste, quella di “agenzia stampa russa focalizzata sulle notizie legate al continente africano” e in particolare “sull’eredità neocoloniale subita dai paesi africani per decenni”. Dal 2018 la propaganda russa ha piantato le sue radici in Africa in particolare nel territorio del Sahel – sfruttando due cavalli di battaglia retorici: la promessa di difendere i governi locali dal terrorismo jihadista (la stessa premessa usata in Siria) e un presunto anti imperialismo che ha cavalcato il sentimento antifrancese della popolazione. È per questo che nel caso del Burkina Faso ogni cambio di regime è stato accompagnato da celebrazioni verso la Russia. La bugia della Russia liberatrice dell’Africa è una creazione di Evgeni Prigozhin, il defunto capo della brigata mercenaria Wagner: nelle ore successive al colpo di stato di Ibrahim Traoré, mentre una folla eterodiretta dalle varie associazioni sfilava sventolando bandiere russe, Prigozhin dichiarava trionfalmente che il popolo del Burkina Faso aveva deciso di liberarsi dal “giogo dei colonialisti, che derubavano la gente e praticavano i loro giochi ignobili, addestravano e sostenevano bande di banditi e causavano molto dolore alla popolazione locale” definendo Traoré “un figlio degno della sua patria”.

 

Putin e Traoré su un manifesto con lo slogan "Sostegno alla transizione" in una strada di un sobborgo della capitale burkinabé Ouagadougou (Getty Images)

 

Le operazioni sporche della Wagner sono state coperte da questa retorica, aiutata dal reclutamento di opinionisti ‘panafricani’ come Kémi Séba, attivista legato al duo Prigozhin-Dugin noto per la polemica sul franco Cfa, resa celebre in Italia durante la stagione sovranista. La morte del leader di Wagner non ha fermato il lavoro martellante della sua propaganda e a dimostrarlo è il capo della già citata African Initiative, Viktor Lukavenko, estremista di destra russo trasformato dal cuoco di Putin in "consulente specializzato in questioni africane". Questi elementi hanno portato Maxime Audinet, ricercatore francese specializzato in disinformazione russa, a parlare del Burkina Faso come il “laboratorio della presenza russa in Africa post Prigozhin”. Assistiamo oggi ai risultati di un’operazione che nel corso degli anni è stata ignorata e, in alcuni casi, applaudita.