Il bluff di Niger, Mali e Burkina Faso

I golpisti del Sahel ostentano sicurezza ma non controllano nulla. Scappano pure i russi

Cecilia Sala

Il Niger contatta la Wagner, ma dalle giunte amiche nel Sahel Mosca non ha ancora visto l'oro che voleva in cambio della protezione, ed è costretta a fuggire dai jihadisti. Visti da vicino, gli ultimi golpe in Africa non sono un successo per nessuno, neanche per Putin

Persino la società Nordgold di Mosca, che era  in Burkina Faso anche per riscuotere in oro il supporto politico a uno degli ultimi golpe “filorussi” (citazione dei golpisti) in Sahel, ha messo in vendita le sue miniere perché il paese è troppo insicuro.  Neppure l’oro vale la pena di vivere nel terrore dei terroristi di Al Qaida che spadroneggiano, in un paese dove il governo ormai di fatto alleato del Cremlino controlla meno territorio dei vari ribelli jihadisti. In più per il manager russo della Nordgold, Georgy Smirnov, che a dicembre è volato da Mosca alla capitale del paese africano per trovare una soluzione, con la giunta militare di soldati ragazzini che inneggiano a Vladimir Putin non si riesce a dialogare e a lavorare seriamente, quindi alla fine lui se ne va. Visti da vicino, i golpe filorussi in Sahel non sembrano un successo per nessuno, neanche per Mosca. 

Le giunte militari  in Burkina Faso e Mali che si dichiarano amiche di Mosca non sono credibili quando minacciano di intervenire in difesa dei nuovi golpisti in Niger, proprio perché sono piene di nemici interni, devono continuamente guardarsi le spalle e i loro eserciti non hanno abbastanza uomini nemmeno per controllare il proprio territorio e garantirsi un futuro. Non si possono permettere di andare a difendere anche i golpisti di un altro paese. In Burkina Faso, nel 2022, ha preso il potere Ibrahim Traoré, un capitano dell’esercito col viso grassottello e glabro che a 34 anni è diventato il capo di stato più giovane del mondo: oggi non mette piede fuori dalla capitale perché è l’unica parte del paese che risponde davvero a lui, il resto è infestato dai jihadisti e considerato territorio conteso. Così come la giunta militare del Mali sa benissimo che  la zona del paese che arriva fino al confine con il Niger, nella regione di Ménaka, è ormai da mesi controllata dallo Stato islamico e non dal proprio debole governo centrale, e che i soldati maliani non possono attraversarla come sarebbe necessario per andare a difendere i colleghi del putsch a Niamey. 

Ieri i media russi hanno applaudito molto il nuovo decreto del golpista-ragazzino Traoré che vieta le esportazioni di uranio verso la Francia e gli Stati Uniti, che è soltanto un manifesto propagandistico perché il Burkina Faso non ha più nessuna miniera di uranio operativa, quindi da tempo non può esportare uranio verso nessuno. Dal golpe del settembre 2022 fino a pochi giorni fa, anche se la vicinanza con Mosca era già molto evidente, la giunta di Traoré ha evitato di dichiararsi nemica dell’occidente, ha cacciato i francesi ma, per esempio, nel paese c’è ancora un piccolo contingente di militari italiani. Poi i toni di Traoré sono cambiati dopo l’ultimo vertice dell’amicizia tra Russia e Africa di San Pietroburgo e dopo il colpo di stato in Niger di una settimana fa.

La propaganda social di Mosca in questi giorni sta dando grande spazio alle svolte filorusse in Sahel, alle manifestazioni contro l’ambasciata francese a Niamey e alle dichiarazioni dei leader della nuova alleanza di golpisti. Sui canali Telegram russi circola una card realizzata con l’intelligenza artificiale in cui si vede un Vladimir Putin nero con le collane da indigeno e la scritta in cirillico: “Ecco il peggior incubo dell’occidente. Il nuovo leader di tutta l’Africa”. L’entusiasmo e il successo però sono molto mediatici e poco concreti. Se in Burkina Faso, un paese che trabocca d’oro, i russi rinunciano a estrarlo perché è troppo pericoloso e perché la giunta militare amica non sa proteggere le società di Mosca, in Mali le cose non vanno meglio. Nel paese la presenza di mercenari della Wagner è comprovata, con circa 1.500 uomini, e dovrebbe essere ripagata con i proventi delle miniere d’oro. Il problema è che le miniere sicure (che non si trovano nelle aree controllate dai ribelli jihadisti) e accessibili sono sfruttate dalle multinazionali canadesi, e alla prova dei fatti la giunta militare non ha voluto rinunciare a quei proventi certi e i rischi finanziari di un cambio di gestione. Secondo fonti maliane, ieri un inviato della giunta golpista nigerina è arrivato nella capitale, Bamako, per chiedere di parlare con la Wagner, per ottenere un suo intervento di supporto anche in Niger. Le miniere d’oro nel sud del Niger sono molto piccole, quelle del nord sono ricche ma impossibili da raggiungere senza prima costruire infrastrutture molto complesse: per gli esperti i costi estrattivi supererebbero i guadagni per molti anni. Per Mosca, ottenere un vantaggio dal colpo di stato in Niger potrebbe essere ancora più difficile di quanto non sia già in Burkina Faso e in Mali.