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Ucraini e dissidenti: che significa oggi “terrorista” per Vladimir Putin

Micol Flammini

È iniziata una battaglia comunicativa tra Stato islamico e Cremlino. Il primo continua a rivendicare l’attentato al Crocus e il secondo gli offusca la responsabilità per addossarla a Kyiv

In Russia è stato dichiarato il lutto nazionale dopo l’attentato al Crocus City Hall, l’auditorium alla periferia di Mosca in cui hanno fatto irruzione quattro terroristi sparando e accoltellando   civili disarmati e poi appiccando l’incendio che ha distrutto la struttura. Per il paese sono stati affissi grandissimi manifesti neri con la foto di una candela e sotto la scritta “skorbim”, “in lutto”. Kirill Martynov, direttore di Novaja Gazeta Europe, ha notato che per le strade delle città russe sono apparsi anche dei nuovi cartelli pubblicitari, recenti, che invitano ad arruolarsi nell’esercito di Mosca con uno slogan inedito: “prisoedinjat’sja k SVOim”, “unisciti al tuo”, dove “tuo” sta per “tuo esercito” e viene scritto mettendo in caratteri maiuscoli la sigla Svo, la stessa che si usa in russo per riferirsi all’“operazione militare speciale”.

 

Martynov non vive più in Russia, ha visto questi cartelli del lutto e quelli della guerra contro Kyiv comparire vicini in alcune foto che ritraggono angoli della città e, accostati, sono sembrati il monito delle future intenzioni del capo del Cremlino. Vladimir Putin ha usato spesso il terrorismo per giustificare la sua politica, ieri ha ammesso che si tratta di un attacco di estremisti islamici, ma ha ribadito che per lui si tratta di un’operazione larga a guida Ucraina e c’è la possibilità  che gli attacchi contro Kyiv cresceranno di numero e intensità – i bombardamenti erano aumentati già prima dell’attentato –  e che il Cremlino ne approfitti per annunciare una nuova mobilitazione. Le televisioni russe si sono riempite delle immagini di torture e sevizie contro i terroristi, il trattamento riservato dagli agenti russi  è stato documentato con ostentazione per dare l’idea che le forze dell’ordine  sono forti nonostante non siano riuscite a prevenire l’attentato né a intervenire tempestivamente: hanno impiegato un’ora ad arrivare.  

 

Margarita Simonyan, la direttrice di Rt, ne ha approfittato per dire che la pena di morte in alcuni casi andrebbe reintrodotta e alcuni cittadini, tra coloro che si sono messi in fila per commemorare le vittime davanti a quel che resta del Crocus, non hanno avuto reticenza nel dire  alle telecamere che sono d’accordo: non c’è pena che sia abbastanza per un terrorista. Negli anni della sua presidenza, Vladimir Putin ha dato significati sempre diversi alla parola “terrorismo”. Ogni suo mandato è stato presentato come una lotta esistenziale contro “i terroristi”. All’inizio erano i ceceni, poi è diventata la battaglia mondiale contro il terrorismo islamico, ora sono gli ucraini e gli oppositori politici  i terroristi contro i quali combatte Putin.  Il sito Mediazona ha riportato che nel 2023 le condanne per terrorismo sono state più di centotrenta e la maggior parte ha riguardato attivisti contro la guerra in Ucraina.

 

Il termine terrorismo è addomesticabile a seconda delle necessità interne e il concetto di “organizzazione estremista” è diventato elastico tanto da essere esteso ai dissidenti, alle fondazioni come quella creata da Alexei Navalny, e anche l’oppositore è stato condannato per estremismo in uno dei tanti processi che ha subìto anno dopo anno e che non facevano che allungare la sua detenzione. Per il capo del Cremlino, agli albori della sua carriera politica, la lotta delle lotte era quella per proteggere i suoi cittadini dagli estremisti della Cecenia e adesso, anche se lo Stato islamico ha rivendicato più e più volte l’attentato al Crocus, dove i morti sono stati più di centoquaranta, Putin  ha perso ogni interesse per la lotta esistenziale contro l’estremismo islamista e il termine terrorista viene usato per parlare di attivisti contrari alla guerra, oppositori politici e ucraini. La Russia ha fatto di tutto per dimostrare il coinvolgimento di Kyiv nell’attentato, ha mostrato in televisione video prodotti con l’intelligenza artificiale, ha descritto il viaggio in auto dei terroristi come una corsa verso l’Ucraina, quando i quattro, che probabilmente non avevano neppure sperato di uscire vivi dall’attentato, erano a bordo di una Renault bianca con una targa bielorussa e forse era quello il confine che avrebbero provato a varcare dalla regione russa di Bryansk, sicuramente meno militarizzato rispetto a quello che divide Russia e Ucraina dove, oltre ai soldati, ci sono anche chilometri di territorio minato. 

 

Tra il Cremlino e lo Stato islamico è iniziata anche una battaglia comunicativa che è un paradosso. Per l’organizzazione terrorista, quella del Crocus è stata una campagna di successo, plateale con un numero di morti molto alto, con una grande facilità di azione che  quindi è intenzionata a rivendicare con orgoglio mentre Vladimir Putin e i suoi uomini continuano ad annebbiare la sua responsabilità parlando della collaborazione tra gli attentatori e Kyiv. Lo Stato islamico prosegue nel pubblicare video, prova di conoscere i terroristi, mostra dettagli dell’operazione, rilancia video inediti girati dai quattro durante l’attacco, ma probabilmente per la prima volta nella sua storia si trova davanti un presidente che fa di tutto per deresponsabilizzarlo e che non accetta di vederlo come una minaccia perché vuole che i suoi cittadini odino e temano Kyiv più del terrorismo islamico. Terrorista per Putin è il nemico del regime. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.