l'ennesimo attacco

I missili russi ci ricordano che l'arma più straordinaria è il morale ucraino

Paola Peduzzi

Quanto diamo per scontata “la reale volontà  di difendersi” degli ucraini. La determinazione e lo slancio di un popolo che sta difendendo tutti noi

Poi la Russia fa l’ennesimo attacco con i missili contro l’Ucraina (è il tredicesimo soltanto nel mese di maggio), gli ucraini non riescono a intercettarli tutti, alcuni cadono e colpiscono obiettivi civili, un ospedale, una clinica veterinaria, le strade attorno, e ci ricordiamo cos’è la guerra, cos’è questa guerra, quanto possono sembrare lunari e talvolta offensivi i nostri discorsi geopolitici, analitici, speculativi agli ucraini che da 458 giorni subiscono il terrorismo russo: due morti a Dnipro ieri, ventitré a Kherson a inizio mese, cinque a metà del mese, e la conta non è esaustiva.

 

Un giorno sì e uno no, a maggio, gli ucraini si sono svegliati sotto i missili, mentre noi discutevamo dei droni sul Cremlino, della sciagurata sfrontatezza degli ucraini che, montati dagli imperialisti russofobi occidentali, ora pensano addirittura di poter colpire la casa di Vladimir Putin e di avere pure ragione; mentre noi accoglievamo Volodymyr Zelensky commentando il simbolo sulla sua felpa per poter dire che questo presidente ebreo che parla(va) meglio il russo dell’ucraino è un nazista; mentre noi ci illanguidivamo  per le aperture della Cina, un regime che nei suoi comunicati non cita nemmeno la guerra, figurarsi che pace potrà mai avere in mente, e intanto ci allarmavamo per la decisione americana di dare il via libera alla “jet coalition” ripostando malevoli il video in cui Joe Biden, trecento e più giorni fa, diceva che mandare aerei sarebbe stato pericoloso; mentre noi ci allarmavamo perché gli ucraini continuano a fare operazioni dentro ai confini russi avvalendosi di brigate improvvisate di personaggi discutibili, nazisti!, come se davvero fosse plausibile che gli ucraini dovessero selezionare per operazioni tanto dimostrative quanto a rischio di morte dei sinceri democratici; mentre noi calcolavamo i metri conquistati e persi di Bakhmut, una città che aveva 70 mila abitanti, le miniere di sale e il vino frizzante e che oggi è rasa al suolo, dissanguata, incenerita, vuota.  Sullo Spectator, Mark Galeotti, che ha scritto venticinque libri sulla Russia, analizza “la prossima mossa dell’Ucraina”, e sul finale dell’articolo scrive: “Quel che è davvero imponderabile, e lo è stato lungo tutta la guerra, è il morale. I soldati ucraini hanno dimostrato una determinazione e uno slancio invidiabili, quel che un militare britannico ha definito ‘una reale volontà di combattere’”. 

 

I russi no, scrive Galeotti, i russi il morale ce l’hanno basso, “hanno ancora molta potenza di fuoco a lungo raggio e una superiorità aerea, ma nulla di questo servirà se i soldati non combatteranno, se romperanno le file e scapperanno, soprattutto perché il panico, sui campi di battaglia, è contagioso”. Il fattore umano è decisivo, per chi attacca, per chi si difende, per chi resiste. Sull’Atlantic, il fotografo Paolo Pellegrin ha pubblicato alcune immagini scattate in Ucraina, la vita quotidiana: ci sono i soldati nei centri di recupero mentale e fisico che dovranno tornare sul campo, ci sono le fidanzate che arrivano con i sorrisi dai loro uomini devastati, ci sono i pavimenti  pieni di calcinacci e librerie sfondate dopo molto tempo dagli attacchi, ci sono le file per il pane, gli anziani in ginocchio sul ciglio della strada mentre passa il carro funebre di un soldato. 

 

A ben vedere di “imponderabile” c’è il morale dei russi, non quello degli ucraini, che resta alto sotto le bombe e sul campo di battaglia, che non può permettersi la stanchezza e la voglia di svagarsi che abbiamo noi, perché quando Zelensky ripete che il suo popolo sta difendendo tutti noi, sta dicendo: se il suo popolo perde il morale, smette di difendersi, di postare fiori al posto dei crateri delle bombe perché è la sopravvivenza che conta, non la distruzione, l’Ucraina non esiste più. Per noi è un guaio, ma dopo, prima c’è l’ipocrisia solenne con cui trattiamo Zelensky – che gira per le nostre capitali e i vertici internazionali ripetendo grazie grazie grazie come se gli facessimo l’elemosina, che deve giustificare ogni richiesta, che deve dimostrare di essere all’altezza delle armi che riceve, dei soldi che riceve, perché pretendiamo da lui e dagli ucraini degli standard di correttezza e rettitudine che non chiediamo a nessuno e che se i nostri leader li chiedessero a noi faremmo la rivoluzione – e con cui diamo per scontato che gli ucraini sono forti, determinati, coraggiosi, come se non fosse questa l’arma più straordinaria che abbiamo contro il terrorismo russo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi