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Negli Stati Uniti

Come si spostano i soldi nel caos ideologico-politico del Gop americano

Giulio Silvano

I dibattiti sulle "culture wars" e la oramai figura compromessa dell'ex presidente repubblicano inducono Peter Thiel e molti gli altri big donors ad abbandonare Trump e a cercarne un sostituto. Nonostante la perdita di fondi, The Donald, non perde voti e risulterebbe vincente dai sondaggi

Il miliardario Peter Thiel, cofondatore di Paypal, ha deciso di smettere di sostenere i candidati del Partito repubblicano per il 2024. Dopo aver appoggiato Donald J. Trump nel 2016, Thiel ha fatto eleggere lo scorso novembre un suo candidato al Senato, l’ex bestsellerista J. D. Vance. Ma adesso il miliardario non ne può più delle “culture wars”. Secondo lui il partito non può concentrarsi su aborto e bagni per i transgender, dimenticando le più importanti questioni economiche. I dibattiti sul gender sono “una distrazione dai veri problemi”, ha detto. E Vance, che da millennial moderato si era appiccicato spudoratamente a Trump per ottenere il suo seggio, non ha commentato, ma è difficile che riesca a mantenere la sua posizione senza i soldi del suo sponsor e creatore. Il senatore dell’Ohio, che usa le guerre culturali per avere una voce su Fox News, appoggia la narrativa America First, andando in televisione a dire che “l’Ucraina è il paese più corrotto d’Europa”, convinto che un suo ingresso nell’Unione europea porterebbe solo a un’inutile escalation del conflitto. 

   

Thiel, che nelle midterm del 2022 è stato il sedicesimo più generoso donatore del Partito repubblicano, non è l’unico che sta modificando i giochi. Dopo i gravi fatti del 6 gennaio 2021 molti big donors hanno preso le distanze da Trump e dal suo tentativo di attuare un colpo di stato. Così i miliardari si sono messi alla ricerca di un candidato alternativo, qualcuno che possa vincere alle prossime elezioni senza avere nel curriculum le macchie sediziose e antidemocratiche dell’ex presidente. Lo sguardo si è rivolto verso la Florida, verso quel suo governatore che a 44 anni, dopo un mandato in Congresso, è riuscito a riconfermarsi alla guida del Sunshine State con quasi il 60 per cento dei voti. Per un po’ Ron DeSantis è sembrato il candidato ideale su cui riporre le speranze. C’è stata un’emorragia di donatori che hanno abbandonato Trump, come Kelcy Warren, che nel 2020 gli aveva dato 10 milioni, o l’immobiliarista Geoffry Palmer, che ne aveva donati 6, ma dopo un po’ si è interrotta. Perché da quando è sotto i riflettori presidenziali DeSantis sta perdendo hype, facendo  scelte che vengono viste come poco istituzionali e controproducenti, come la guerra alla Disney, l’ossessione per il wokismo e la censura sui libri a tema Lgbtq. 

   

Almeno è quello che pensano alcuni di questi donatori, come il miliardario Kenneth Griffin, ceo dell’hedge fund Citadel LLC. Griffin che fino a sei mesi fa era convinto di appoggiare DeSantis e ora sarebbe infastidito dalle dichiarazioni del governatore sulla guerra in Ucraina, definita “una disputa territoriale”. Griffin sarebbe pronto ad appoggiare, con le sue donazioni, chiunque possa battere Trump alle primarie dei repubblicani, dicono persone a lui vicine. Anche la posizione così rigida sull’aborto sembra infastidire alcuni miliardari: la nuova proposta di legge di DeSantis, per vietare l’interruzione di gravidanza dopo sei settimane, avrebbe spaventato un altro importante donatore, Thomas Peterffy, fondatore di Interactive Brokers, che inizialmente si diceva entusiasta del governatore. 
   

Non ci sono solo le prese di posizioni sui temi sociali ad allontanare i benefattori, ma anche il fatto che secondo i sondaggi c’è sempre più distanza tra Trump e DeSantis. L’ex presidente viene dato, in eventuali primarie di partito, al 49,3 per cento, mentre il governatore si fermerebbe al 26,2. Seguono l’ex vicepresidente Mike Pence con un 5,8 e l’ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley con il 4,3 (sondaggio di FiveThirtyEight). I coniugi miliardari Richard ed Elizabeth Uihlein, già sostenitori di Trump e poi di DeSantis per il governatorato, dopo aver visto i numeri hanno richiuso il portafogli, restando in stand by. 

   

Il governatore, che non ha ancora annunciato la sua candidatura alla presidenza, sta incontrando i vari big donors per indirizzarli sul suo super Pac, il comitato di raccolta fondi dal nome Never Back Down. Il più generoso nei suoi confronti è stato il tycoon degli hotel Robert Bigelow, ex trumpiano fissato con gli ufo e la parapsicologia, che avrebbe dato al Pac già 20 milioni. Anche Gregory Cook, magnate degli oli essenziali, e Dan Eberhart, ceo di un’azienda di servizi di perforazione, continuano ad appoggiarlo.

   

Ma la ricerca di un’alternativa a The Donald, all’uomo che ha messo in imbarazzo la tradizione democratica americana e il pacifico passaggio di potere, non sembra andare benissimo. E i guai giudiziari, inaugurati con l’arresto a Manhattan a inizio aprile con il caso Stormy Daniels, hanno visto un altro tipo di donatori risvegliarsi per far sentire il proprio appoggio. Si tratta di quella parte del popolo Maga, lo zoccolo duro di elettori, che proprio nei giorni successivi alla notizia dell’incriminazione ha voluto mandare un messaggio di sostegno finanziario attraverso il sito della campagna Trump2024. “Potrei mettermi in mezzo a Fifth Avenue e sparare a qualcuno e comunque non perderei voti”, aveva detto Trump nel 2016. La fedeltà di alcuni fan dimostra che non aveva tutti i torti, le incriminazioni sembrano aver ridato energia a una parte dei suoi supporter. Anche se Trump ha perso importanti big donors, continuano a essercene ancora alcuni della prima ora, come il pokerista Andy Beal, Timothy Mellon, dell’importante famiglia di banchieri, e Anthony Lomangino, re dello smaltimento di rifiuti. 

    

La confusione che va avanti da anni dentro al Partito repubblicano si rispecchia quindi anche nella raccolta fondi, tra chi vorrebbe poter aiutare un conservatore, qualcuno-che-non-sia-Trump, ad arrivare a Pennsylvania Avenue e chi invece è ancora convinto che l’ex presidente, con un’agenda primaverile piena di processi, possa essere l’unico vincitore contro un candidato democratico. Dall’altra parte Joe Biden ha finalmente annunciato la sua candidatura e una serie di mega donors l’ha subito sostenuto, mostrando che i democratici hanno chiaro il messaggio del presidente: “Difendere la democrazia” e “finire il lavoro iniziato”.

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