Biden ha un problema di credibilità con i giovani

Marco Bardazzi

I ragazzi americani sono un po’ delusi soprattutto sui temi ambientali. Ma il presidente ha sfoderato un’arma potente per conquistarli: ridurre i debiti contratti per studiare. Lo scoglio della Corte Suprema (conservatrice)   

C’è una fascia di elettori con la quale Joe Biden, fresco di candidatura per un secondo mandato alla Casa Bianca, ha un problema di credibilità: i giovani. Non è solo un tema di età, anche se il divario generazionale tra l’ex ragazzo nato durante la Seconda guerra mondiale e quelli nati nella Generazione Z con l’età per votare, è enorme. Le critiche e le perplessità delle giovani generazioni nei confronti dell’attuale Casa Bianca sono però soprattutto legate alle scelte politiche di Biden, in particolare quelle sull’ambiente. L’Amministrazione, nel primo mandato, ha deluso le aspettative di chi voleva una linea più decisa sulla lotta al cambiamento climatico. Ed è un tema che Biden potrebbe pagare alle urne nel 2024. 


Per questo i democratici hanno bisogno di guadagnare punti con i giovani e hanno a disposizione la battaglia giusta per farlo: ridurre l’enorme peso dei debiti con cui l’americano medio esce dall’università. Un tentativo di aiutare le giovani generazioni su cui il presidente sta scommettendo molto, ma che ora si deve confrontare con la Corte suprema a maggioranza conservatrice. 

 
Non è raro in America (lo è molto più in Europa) che si ricorra a bonus, condoni e tutele mirati a ventenni e trentenni. Era successo per esempio con l’Obamacare, la riforma sanitaria di Barack Obama, che tra le altre cose ha cercato di dare un minimo di copertura medica a decine di milioni di under 30 che ne erano totalmente sprovvisti e non potevano permettersela. Non è neppure un terreno dove si muovono solo i democratici. Donald Trump, in un assaggio della strategia che userà nella corsa alla Casa Bianca, ha già parlato di una campagna di bonus per le giovani famiglie per spingerle a fare figli e nei comizi urla che vuole “un nuovo baby boom”. 

 
Ma se sui bonus bebè potrebbe nascere una rara convergenza bipartisan, il tema dei debiti di studio spacca il paese lungo la consueta faglia ideologica. Un piano lanciato l’estate scorsa da Biden per cancellare o ridurre l’enorme peso di debiti con cui buona parte dei ragazzi americani si ritrova alla fine del college è diventato l’ennesimo terreno di scontro tra i difensori del libero mercato e i promotori di massicci interventi federali per smuovere l’economia. Vista la polarizzazione, il Congresso anche in questo caso non ha trovato la quadra e la questione è finita di fronte alla Corte suprema, a maggioranza conservatrice, che l’ha esaminata a febbraio e si pronuncerà entro la fine dell’anno giudiziario, a giugno. E’ un tema che scalda e i giovani sono scesi in piazza a Washington per cercare di far sentire la propria voce ai nove giudici della Corte. 

 
Tutto è cominciato lo scorso agosto, quando l’Amministrazione Biden ha annunciato un gigantesco “condono” che riguarda decine di milioni di americani. Il piano prevede di cancellare 10 mila dollari di debiti a chi ha redditi familiari inferiori ai 125 mila dollari e 20 mila dollari per studenti ed ex studenti con redditi più bassi. Fatti i conti, si tratta di un intervento che potrebbe costare alle casse federali tra i 400 e i 500 miliardi di dollari (non è un refuso: stiamo parlando di una manovra da mezzo “trilione”). Non è una mossa che riguarda gli studenti di Harvard o di Yale, perché la popolazione delle università della cosiddetta Ivy League prendono in prestito meno dell’1 per cento dei fondi federali disponibili per l’aiuto allo studio. Di solito chi frequenta i college e le università al top della graduatoria, o ha i soldi per farlo, o riesce a entrare grazie a consistenti borse di studio. Secondo le stime del dipartimento dell’Educazione, si tratta invece di un’iniziativa mirata alla classe media, visto che il 90 per cento di coloro che hanno preso prestiti proviene da famiglie che guadagnano meno di 75 mila dollari l’anno. 

 
In America l’educazione universitaria ha costi significativi, spesso proibitivi. Una ricerca del centro studi CollegeBoard sulle rette annuali per i corsi “undergraduate” (quelli per una laurea di primo livello, non molto lontana dalle nostre triennali) stima che in un college pubblico, cioè quello più economico, un percorso di due anni costi circa 19 mila dollari l’anno tra retta, spese di vitto e alloggio nel campus, trasporti e materiale didattico. Se il corso è di quattro anni, il costo diventa 27 mila dollari l’anno. Se il college è in un altro stato, le spese complessive salgono a 45 mila dollari l’anno. Se l’università è privata, si sale in media a 57 mila dollari l’anno. I percorsi successivi come il bachelor, il master o il dottorato hanno costi annuali che vanno dai 20 ai 63 mila dollari l’anno, via via che si passa dal college statale dietro casa al campus dell’Ivy League. 


I fondi federali per lo studio sono generosi, ma si portano dietro pesanti tassi d’interesse. Chi non ha famiglie alle spalle che possono permettersi di coprire gran parte delle spese, già al secondo anno di studi si ritrova con dieci o ventimila dollari di debito sulle spalle da restituire negli anni a venire. C’è chi cerca di farci i conti facendo ogni tipo di lavoro e lavoretto durante gli anni del campus, ma quello del debito di studio resta un peso che accompagna e ha sempre accompagnato intere generazioni di americani. Si entra nel mondo del lavoro già pieni di debiti e se non si fa carriera velocemente, tutto diventa più difficile: comprare casa, sposarsi, mettere su famiglia o fare le vacanze. Il che aiuta a capire perché, per esempio, la copertura assicurativa medica o il risparmio finalizzato alla pensione vengono spesso trascurati, fino a quando non si arriva agli anni in cui ci si è disfatti del debito universitario. 


C’è chi esce dall’università con 20-30 mila dollari di debito, chi con più di centomila. Ma fino a poco tempo fa era un tema tabù, se ne parlava poco e con vergogna. Per i “boomers” o per la Generazione X, questo era un argomento di cui non si discuteva con gli altri, occorreva solo lavorare a testa bassa e ripagare il debito al più presto, magari per poter accendere un altro debito più “socialmente accettabile”, come il mutuo per la prima casa. I Millennials e adesso anche la prima ondata di laureati della Generazione Z hanno cambiato le carte in tavola, perché hanno cominciato a parlarne liberamente soprattutto sui social. 
Un caso significativo, che ha attirato anche i riflettori dei grandi media, è quello di Nika Booth, che a 41 anni viveva ancora con l’angoscia di avere sulle spalle 130 mila dollari di debiti di studio. Nel 2019 Nika ha deciso di rendere pubblica la propria situazione e lo ha fatto con un post su Instagram diventato ben presto un caso nazionale. Usando dei semplici post-it adesivi pubblicati come foto sul social, ha spiegato come ogni giorno gli interessi sul suo debito fossero 25 dollari e come alla fine del mese, quando pagava la rata di 762 dollari per il debito di studio, in realtà per effetto degli interessi erodeva solo poco più di otto dollari del suo debito complessivo. “Così è impossibile farcela, non ne uscirò mai”, ha commentato Nika e d’improvviso migliaia di persone nelle stesse condizioni sono venute allo scoperto, commentando i suoi post. Ne è nato un movimento che ora vive sul profilo Instagram @debtfreegonnabe gestito da Nika Booth, che è diventata un’attivista. 


C’era anche lei a manifestare di fronte alla Corte suprema, quando è stato discusso il caso del condono da 500 miliardi di dollari che Biden ha promesso ai giovani americani. Sei stati guidati dai repubblicani hanno promosso una causa legale che è arrivata fino al massimo tribunale del paese, sostenendo che l’amministrazione democratica ha abusato dei propri poteri nel decidere il maxi condono. E l’umore dei sei giudici conservatori – su nove – durante l’udienza fa presagire che la Corte suprema sia poco disposta a lasciar passare l’iniziativa di Biden. “Voi vi rendete conto vero che stiamo parlando di mezzo trilione di dollari e di una questione che riguarda 43 milioni di americani?”, ha detto ai rappresentanti del governo il Chief Justice John Roberts, facendo capire insieme ai propri colleghi dell’ala conservatrice che per la Corte una decisione di questa portata non può essere presa dall’esecutivo, ma deve passare dal Congresso. 
Il primo a sospendere il pagamento dei debiti scolastici in realtà era stato Trump. Nel marzo del 2020, in piena pandemia da Covid, il presidente repubblicano aveva invocato per l’esecutivo poteri speciali legati a una legge del 2003, l’“Heroes Act”, voluta dall’Amministrazione di George W. Bush, e tra le altre cose aveva concesso agli studenti chiusi in casa in lockdown e lontani dai college di sospendere il rimborso dei finanziamenti federali. Biden, arrivato alla Casa Bianca, aveva confermato su questo la linea di Trump. Di proroga in proroga si è arrivati all’estate scorsa, quando l’Amministrazione ha annunciato il maxi condono, tra i festeggiamenti di milioni di studenti ed ex studenti. 


Il problema adesso è capire se Biden e il dipartimento dell’Educazione avessero o no il potere per farlo. L’Heroes Act prevede di sospendere o modificare le regole del sistema educativo in modo drastico di fronte a “una guerra, altre operazioni militari o un’emergenza nazionale”. La legge era stata pensata nel clima post 11 settembre avendo in mente un devastante attentato terroristico, ma la Casa Bianca adesso sostiene che il Covid può essere considerato a pieno diritto una “emergenza nazionale”, tale da dare poteri speciali al governo anche su questi temi. Le dimensioni dell’intervento sui debiti di studio, però, secondo i repubblicani e in apparenza anche secondo i giudici espressi da presidenti repubblicani, rendono una scelta di questo genere un abuso di potere dell’esecutivo (o una mossa propagandistica, mirata a creare consenso politico). E vogliono che tutto torni in Congresso, dove i repubblicani controllano la Camera e dove anche in Senato c’è sicuramente qualche democratico più conservatore che storce la bocca. Tutta l’ala del “fiscal conservatism” grida allo scandalo in primo luogo perché si favoriscono gli attuali studenti a discapito di chi, in passato, ha fatto sacrifici per restituire i soldi del debito. Ma soprattutto perché 400 o 500 miliardi di mancate entrate federali significano che a pagare il conto dovranno in qualche modo essere tutti gli americani, con le tasse. 


Biden non intende arretrare su un progetto che ha annunciato con enfasi lo scorso agosto e che ha già avuto un effetto non secondario per i democratici: li ha aiutati a non perdere le elezioni di midterm e a mantenere il controllo del Senato. E ora potrebbe aiutarli a presentarsi con una carta importante ai giovani elettori durante la campagna elettorale del prossimo anno. 
Ma ridurre tutto a un calcolo politico sarebbe ingeneroso e anche gli avversari del presidente riconoscono che è un tema su cui le giovani generazioni hanno bisogno di aiuto. “Quello che stiamo facendo – spiegò Biden nel presentare il progetto – significa che milioni di persone potranno finalmente cominciare a scalare la montagna di debiti che le schiaccia e a uscirne. Potranno finalmente cominciare a pensare a comprare una casa, a mettere su una famiglia, ad avviare un’impresa. E credetemi, quando questo avviene ne beneficia tutta l’economia”. 


I giudici supremi non possono seguire un ragionamento di questo tipo, ma potrebbero dare a Biden una scappatoia legale, perché hanno fatto capire ai sei stati che hanno avviato la causa che forse non hanno i requisiti per farsi promotori del ricorso, in quanto non risultano danneggiati. Sarebbe un compromesso che in molti accetterebbero volentieri, perché il problema è reale. Ma se dai giudici arrivasse una bocciatura piena, c’è già pronto un piano B: un nuovo programma federale a cui lavora la Casa Bianca per varare prestiti con tassi d’interesse ridotti al minimo. Un’arma perfetta per Biden da lanciare nella prossima campagna elettorale. 

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