Più soldati, più deterrenza con Russia e Cina. La nuova Nato in Europa

In Italia, settanta militari americani e un nuovo sistema antiaereo. La strategia dell'Alleanza

Giulia Pompili

Ci saranno 300 mila soldati a disposizione della Nato Response Force. Biden annuncia un quartier generale permanente americano in Polonia (il Fort Trump?). La Difesa europea alla prova delle minacce di Putin. Nel nuovo documento programmatico anche un riferimento alla Cina

Per rispondere alla “più grande minaccia alla sicurezza sin dalla Seconda guerra mondiale”, come il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha definito la guerra d’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, serviva un cambiamento radicale della struttura della Difesa della Nato. Il secondo giorno del Summit di Madrid, il più importante vertice degli ultimi decenni, al quale hanno partecipato tutti i capi di stato e di governo dei trenta paesi alleati, è stato quello in cui è stata svelata parte della capacità di deterrenza dell’Alleanza atlantica. Finlandia e Svezia sono stati ufficialmente invitati a unirsi alla Nato dal gruppo dei trenta, una formalità nel processo di adesione (tuttavia piuttosto lungo) che arriva poche ore dopo che la Turchia di Erdogan ha fatto cadere il veto sul loro ingresso. 


Tra le novità che sono state rese note, in realtà molte erano state già annunciate: ci saranno 300 mila soldati a disposizione della Nato Response Force, l’unità operativa in massimo cinque giorni, ma non si sa quanti di questi andranno ad aumentare i cinquemila già impiegati nella “Very High Readiness Joint Task Force”, brigata che può essere schierata ovunque nel mondo entro quarantotto ore dalla sua attivazione. Mercoledì a Madrid è arrivato il presidente americano Joe Biden, ed è stato lui ad annunciare i cambiamenti più importanti e che riguardano soprattutto la strategia americana di contributo alla Nato e di rafforzamento della Difesa europea. Per ironia della sorte, è stato Biden a informare della costituzione di quella che nel settembre del 2019 il presidente polacco Andrzej Duda, in visita a Washington dall’allora presidente Donald Trump, chiamò “Fort Trump”. Allora non se ne fece niente, e ovviamente la definizione serviva soltanto a compiacere il narcisismo di Trump. Ma Biden ha parlato di qualcosa di molto simile: ha detto che l’America dispiegherà nuove truppe di supporto sul campo in Polonia, compreso un quartier generale dell’esercito, e sarà la prima presenza militare americana in modo permanente sul fianco orientale dell’Europa. La Casa Bianca non ha comunicato il numero esatto degli uomini, ma ci saranno anche altre truppe dislocate nei paesi baltici, nel Regno Unito, in Germania, Romania, in Spagna e anche in Italia. 


Mercoledì mattina a Madrid è arrivato anche il presidente del Consiglio Mario Draghi, che parlando con i giornalisti ha detto che per quanto riguarda il territorio italiano “si tratta di settanta militari americani in più e un sistema di difesa antiaerea”. L’Italia farà la sua parte per rafforzare il confine est dell’Alleanza con la Russia. “Non c’è il rischio di un’escalation, ma bisogna esser pronti”, ha detto Draghi. 

 

 

Ci sono almeno due motivi per cui l’America è arrivata in aiuto della Nato – non si sa bene ancora se soltanto simbolicamente o con strutture concrete e operative: secondo quanto trapelato dal Summit di Madrid, uno dei problemi principali nella discussione collettiva è stato quello di raggiungere il numero di 300 mila soldati a disposizione dell’Alleanza (sono poco meno delle intere Forze armate italiane). L’altro problema riguarda la cosiddetta forward defense, la difesa avanzata della Nato, cioè l’istallazione di basi militari permanenti sul confine orientale con la Russia. Il Nato-Russia Founding Act, il documento firmato nel 1997 che guida i rapporti tra Mosca e l’Alleanza, rassicurava il Cremlino sul fatto che nessuna base permanente sarebbe stata istallata nei paesi ex sovietici o comunque a ridosso del confine russo. Secondo molti analisti, quell’accordo dovrebbe essere considerato nullo sin dal 2014, e la guerra iniziata il 24 febbraio scorso l’ha enormemente depotenziato. Secondo fonti ascoltate dal Foglio, però, la linea della cautela avrebbe prevalso (anche quella più economica) durante la discussione, ed è quindi l’America, e non la Nato, a mettere i suoi soldati a controllo dei confini. Per evitare fraintendimenti, azioni che possano essere valutate come provocatorie. 

 


L’altro grande cambiamento avvenuto mercoledì a Madrid è la pubblicazione del nuovo Strategic Concept, le undici pagine che descrivono il nuovo mondo visto dalla Nato, e i suoi obiettivi. Questa sera, durante una conferenza stampa, il segretario generale Stoltenberg ha tradito la frustrazione nella voce e nello sguardo quando qualcuno gli ha chiesto se i contenuti del documento non fossero la dimostrazione che l’occidente sta costruendo una “nuova Guerra fredda” e una divisione in blocchi del mondo. Stoltenberg ha ribaltato ancora una volta la domanda e ha ridato ordine alle cause-effetti: “Sono anni che tentiamo di lavorare con la Russia”, e tutti quegli sforzi sono stati completamente cancellati dalle azioni belliche di Putin. 

 


Al punto numero 13 dello Strategic Concept c’è poi il cambiamento più politico della nuova Nato: “Le ambizioni dichiarate della Repubblica popolare cinese e le sue politiche coercitive sono una sfida ai nostri interessi, alla nostra sicurezza e ai nostri valori”, si legge, ed è la prima volta sin dalla sua costituzione che l’Alleanza cita la Cina come uno dei problemi per la sicurezza globale. “Impiega un’ampia gamma di strumenti  politici, economici e militari per aumentare la sua impronta globale e proiettare la sua potenza, pur rimanendo poco trasparente sulla sua strategia, sulle sue intenzioni e sul suo sviluppo militare”. La Nato non è più soltanto geografica, di difesa di “ogni centimetro di territorio”, come ha ricordato oggi Biden: la guerra cambia, e cambiano anche i suoi strumenti. Anche se a migliaia di chilometri dai confini americani ed europei, la Cina può essere una minaccia, si legge nel documento, per le sue “operazioni ibride e cibernetiche malevole”, per la sua “retorica conflittuale e la sua disinformazione”, e per il suo tentativo di controllare settori tecnologici e industriali chiave, per poi usare questo potere in modo coercitivo. La Nato mette nero su bianco che sebbene la Cina “non è un nostro nemico”, l’alleanza strategica tra la Cina e la Russia è un problema gigantesco, che va affrontato. Anche la ministra degli Esteri di Londra, Liz Truss, ha detto oggi di ritenere “molto preoccupante” il fatto che la Cina stia facendo “dichiarazioni sulla Nato, sulla sovranità delle Isole Falkland e che si stia muovendo dalla sola sfera indo-pacifica”. La risposta del portavoce del ministro degli Esteri cinese, Zhao Lijian, durante la quotidiana conferenza stampa di mercoledì, è stata prevedibile. Per l’ennesima volta Pechino ha accusato l’America di aver causato la guerra in Ucraina, e la Nato di espandersi anche nella regione dell’Indo-Pacifico. “La Nato dovrebbe smettere di tracciare linee ideologiche, di fomentare il confronto politico o di cercare di iniziare una nuova Guerra fredda”, ha detto Zhao. “Dovrebbe abbandonare la mentalità della Guerra fredda e del gioco a somma zero e smettere di farsi dei nemici. La Nato ha già sconvolto l’Europa. Non dovrebbe cercare di destabilizzare l’Asia e il mondo”. Su un aspetto hanno ragione i funzionari cinesi: il clima freddissimo della tensione ideologica e politica era ovunque, tranne che a Madrid. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.