(Foto di Ansa) 

Il problema del grano

Dove porta la crisi alimentare (e migratoria) scatenata dalla guerra in Ucraina

Mariarosa Maioli

Il conflitto ha bloccato l'esportazione dei cereali e provocato una reazione a catena dalle dimensioni paragonabili a quelle del secondo dopoguerra. Anche Draghi ha chiesto a Putin una soluzione rapida. Letture foglianti per orientarsi

La telefonata di Mario Draghi a Vladimir Putin è l'ultimo atto (per ora) della complessa crisi alimentare che l'Europa e non solo, sta affrontando: l'assedio russo ai danni dell'Ucraina non sta causando “solo” perdite umane, spese militari, rotture diplomatiche tra i vari paesi, ma anche e soprattutto una situazione paragonabile “solo a quella del secondo Dopoguerra” ha affermato Gian Carlo Cirri, vicedirettore del World food programme, al Foglio. L'Ucraina e la Russia sono state più volte definiti granai del continente in quanto rappresentano il 30 percento delle esportazioni mondiali di grano e orzo, il 18 percento di mais e circa l'80 percento di olio di girasole. Il blocco dei porti sul mar Nero conseguente all'occupazione di tutta la costa ucraina, di cui l'ultimo baluardo è stata l'acciaieria Azovstal, ha di fatto creato una reazione a catena: dal 27 febbraio da Odessa a Mariupol non sono uscite le navi già cariche di cereali, i silos hanno raggiunto il limite consentito per contenere le riserve e il raccolto di luglio sembra improbabile avvenga data la situazione del paese in guerra.

“C’è un impressionante sovrapposizione del calendario del conflitto con il calendario agricolo, che rende tutto più problematico. Se non si semina oggi non si raccoglie domani, e il rischio è di innescare una tendenza di medio-lungo periodo” ha affermato al Foglio il vicedirettore della Fao Maurizio Martina che ha indicato come la Fao stessa stia cercando di supportare i lavoratori. "Stiamo lavorando per la tenuta dei sistemi agricoli nonostante il rischio sia che molti allevatori e agricoltori vendano tutto o che, interrompendo l’attività, poi non ripartano più perché hanno perso tutto. Bisogna preservare il tessuto produttivo agricolo" ha continuato Martina, indicando anche i modi per poter uscire dalla situazione odierna: sbloccare i porti, evitare reazioni protezionistiche e diversificare gli approvvigionamenti. Dal blocco dell'export si è creato un effetto domino: la Bank of America ha osservato che “sulla scia delle interruzioni delle catene mondiali di approvvigionamento e dello choc dei prezzi dell’energia, l’impennata dei prezzi dei beni alimentari agricoli aumenterà ulteriormente l’accumulo di pressioni inflazionistiche globali”. Già adesso l'inflazione si sta facendo sentire ma secondo Alberto Retieni, ordinario di Chimica degli alimenti all’Università Federico II ed esperto delle dinamiche che muovono i mercati mondiali del grano e dei suoi derivati, per i paesi ricchi il tema della food security si traduce in una minore abbondanza di materie prime e nell'innalzamento dei prezzi, mentre per i paesi più poveri significa non avere cibo a sufficienza con conseguenti migrazioni e pressioni verso l'occidente.

 

Dopo la crisi alimentare seguirà quella umanitaria, una vera e propria “marcia verso la fame”: l'Ucraina ha fatto da detonatore di una situazione già fortemente compromessa dalla pandemia e dalla crisi climatica, a cui si deve aggiungere il blocco di forniture di gas da parte del Cremlino. Una faccenda intricata che tiene conto di varie tematiche, molto simile alla crisi finanziaria scoppiata nel 2008 quando però non esistevano i conflitti che vediamo oggi, come quello in Yemen, in Siria, in Etiopia, nel nord-est della Nigeria. Covid, gas e carestia sono tutti anelli di una catena che secondo il rappresentante del Wfp Gian Carlo Cirri, potrebbe causare un impatto simile a quello del secondo dopoguerra: la stima è che se il conflitto dovesse durare fino a fine anno, il numero di persone in pericolo alimentare potrebbe aumentare fino a 323 milioni. Eppure, le coneguenze del conflitto europeo si sono allargate fino all'altra parte del globo, rendendo la crisi alimentare globale: l’India, il secondo paese al mondo per produzione di grano dopo la Cina, ha annunciato un blocco delle esportazioni della maggior parte della sua produzione.

I rappresentanti del paese avevano rassicurato che si sarebbero adoperati a “nutrire il mondo” ma in questo scenario le scelte di ogni stato si concatenano con quelle degli altri ed è stato dopo vari provvidementi che l'India ha annunciato il blocco. Qualche giorno prima era stata  l’Indonesia aveva fermato l’esportazione dell’olio di palma, un altro prodotto fondamentale della catena produttiva, su cui il segretario del Dipartimento di alimentazione indiano, aveva annunciato che si trattasse di una stretta regolamentazione per “garantire la sicurezza alimentare indiana”. La Cina da parte sua si è adoperata per prendere le difese dell'India: il governo guidato da Xi Jinping ha infatto da tempo limitato le sue esportazioni per far fronte alla domanda interna.

E questo, come si diceva in precedenza, ha cambiato anche gli assetti geopolitici, o meglio, ha spinto alcuni paesi a cambiare strategie (come la volontà di Svezia e Norvegia a entrare il più velocemente possibile nella Nato) e ha rinforzato alcune alleanze come quella tra Siria e Russia: in particolar modo il presidente siriano Bashar al Assad ha estremo bisogno di finanziamenti dato che è uno dei paesi che più sta soffrendo la crisi del grano. Secondo l'Onu il 90 percento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e l'80 percento soffre della mancanza di cibo: per ridurre le spese, Assad ha tagliato sussidi per il pane, gasolio e, vorrebbe contenere il malcontento facendo della Siria il mercato di riferimento del grano sottratto dai russi agli ucraini. Come ha spiegato al Foglio Haid Haid, ricercatore associato del think tank britannico Chatham House, “il boicottaggio della Russia per via della guerra in Ucraina potrebbe spingere Mosca ad aumentare i suoi scambi commerciali con la Siria”; ma questo ha anche un altro risvolto, ovvero la sicurezza minata dal numero degli attentati contro Assad e i suoi funzionari delle ultime settimane. Attacchi rudimentali e senza effetto se non quello di esplicitare la rabbia nei confronti del dittatore e della situazione creatasi.

Sembra quindi che Vladimir Putin stia cercando un modo per raggirare le pesanti sanzioni impostegli dall'Ue portando la società occidentale al collasso: dalla carestia alle migrazioni che secondo l'Onu hanno portato a un numero di rifugiati pari all'un percento della popolazione mondiale (se fossero gli abitanti di un paese, questo sarebbe il quattordicesimo più popoloso del mondo). La cifra ha raggiunto questo record proprio a causa dell' ”operazione speciale” russa che ha aggiunto 8 milioni di sfollati ucraini all'interno del paese e 6,5 milioni di rifugiati dall’Ucraina.  Per non parlare dei 1,3 milioni di deportati verso la Russia (tra cui 223 mila bambini): secondo l’Onu, entro fine anno gli espatriati ucraini potrebbero arrivare a 8,3 milioni, su una popolazione che nei territori sotto il controllo del governo di Kyiv prima della guerra era di 37 milioni.

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