(foto Ansa)

Guerra e fame. “Rischiamo una crisi alimentare globale”. Parla Martina (Fao)

Luciano Capone

"Covid, cambiamenti climatici e ora la guerra: siamo in una tempesta perfetta. I paesi in via di sviluppo dipendono da Russia e Ucraina per il cibo". Che fare? "Sbloccare subito l'export dai porti del Mar Nero", dice il vicedirettore della Fao

“Siamo in una tempesta perfetta. Gli effetti del Covid, i cambiamenti climatici e ora questa guerra stanno facendo diventare l’insicurezza alimentare uno dei problemi globali più importanti”. Le parole di Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, riecheggiano quelle del segretario generale dell’Onu António Guterres che ha spiegato come questa crisi attraverso l’aumento dei prezzi del cibo, dell’energia condizioni finanziarie più restrittive colpirà 1,7 miliardi di persone, prevalentemente nei paesi in via di sviluppo, molte delle quali già in condizioni di povertà. “Il messaggio del segretario generale Guterres è molto netto. Da tempo stiamo lavorando su questo tema. Un dato forse ci aiuta a capire l’entità della crisi: Russia e Ucraina sono due grandi paesi agricoli, da cui gran parte del mondo dipende per le materie prime. Almeno 50 paesi in via di sviluppo in Africa e Asia ricevevano più del 30% del grano da questi due paesi. E di questi 50, 26 ne ricevono più del 50%".

Sono anche paesi instabili politicamente. “Libano, Egitto, Libia, Somalia, Congo, Eritrea... Il Libano ha scorte di grano per un mese, l’Egitto per 5-6 mesi ma è un paese di 100 milioni di abitanti. E ci sono paesi più fragili. Se aggiungiamo che in alcuni contesti africani siamo alla terza stagione di siccità, ci rendiamo conto che la sicurezza alimentare è un evidente rischio globale. La guerra in Ucraina ha aggravato la situazione”.  Il Fmi taglia al ribasso la crescita per 143 paesi, pari l’86% del pil mondiale. Crisi economica e alimentare vuol dire tensioni politiche e crisi migratorie. “Il rischio è esattamente quello – dice l’ex ministro dell’Agricoltura Martina –. La guerra porta alla fame e la fame porta a ulteriori conflitti. Questa guerra poi ha peggiorato una dinamica di aumento dei prezzi alimentari preesistente, da ormai un anno e mezzo i nostri indici di rilevamento registrano un incrementi dei prezzi dei beni agricoli dovuto alla crisi energetica post Covid. A marzo i prezzi agricoli globali sono aumentati del 13% rispetto a febbraio e del 30% rispetto all’anno scorso”.

 

Ogni guerra produce distruzione, ma in questa pare che ci sia qualcosa in più. La Russia di Putin blocca l’export ucraino dal Mar Nero e bombarda i depositi di carburante. Sembra una strategia per distruggere il settore agricolo ucraino. “Il blocco dei porti del Mar Nero con le mancate uscite dei tradizionali rifornimenti agricoli che l’Ucraina da sempre garantiva è un problema serio. Rompe le connessioni con i paesi in via di sviluppo che ricevono grano, olio di semi di girasole, orzo, mais da un grande paese agricolo”. Sembra ci sia un tentativo, denunciato anche dal presidente Zelensky, di sabotare la stagione della semina. Seminare per l’Ucraina è diventata una specia di operazione militare speciale. “C’è un impressionante sovrapposizione del caldendario del conflitto con il calendario agricolo, che rende tutto più problematico. Se non si semina oggi non si raccoglie domani, e il rischio è di innescare una tendenza di medio-lungo periodo”, dice l’ex ministro dell’Agricoltura. “In alcune realtà meno compromesse dal conflitto si riesce a seminare ancora, in altre è tutto bloccato da 40 giorni. C’è una questione di rottura del sistema agricolo territoriale, le immagini dei trattori ucraini che trainano carri armati è l’immagina di un passaggio drammatico, che rende l’idea di un paese che vede rompersi una delle sue filiere fondamentali. Tra i nostri obiettivi fondamentali c’è quello di lavorare a un piano di ricostruzione agricola”.

 

Solo il 20% delle aziende agricole ucraine ha il carburante per la semina, ma oltre alla benzina mancano il 42% dei semi, il 40% di fertilizzanti. Il terreno disponibile per la coltivazione si ridurrà notevolmente e mancano gli agricoltori, dato che molti sono profughi o al fronte. “La Fao sta lavorando per la tenuta dei sistemi agricoli. Stiamo supportando gli agricoltori, anche con un aiuto diretto, per superare questa fase. Il rischio è che molti allevatori e agricoltori vendano tutto o che, interrompendo l’attività, poi non ripartano più perché hanno perso tutto. Bisogna preservare il tessuto produttivo agricolo, un pezzo dei nostri interventi è dedicato a questo”.

 

Quali sono le cose da fare per evitare che la tragedia dell’Ucraina non diventi un dramma alimentare globale? “La prima, tanto ovvia quanto importante, è fermare la guerra”. E’ il caso di pensare a qualche alternativa. “Innanzituto, mantenere aperti i flussi dei beni agricoli primari, sbloccare i porti e lasciare che quelle navi di grano possano partire: si deve fare di tutto per garantire che questi beni per la vita possano circolare. Poi bisogna evitare reazioni protezionistiche, perché scatta sempre l’istinto di intervenire col divieto di esportazione, penso al caso dell’Ungheria sul grano. La storia, anche quella recente, basti pensare alla crisi del 2006-07 quando si reagì alla crisi energetica con restizioni al commercio agricolo, ci insegna che il protezionismo anziché risolvere il problema lo acuisce. Il terzo grande fronte – conclude Martina – è quello della diversificazione degli approvvigionamenti, che noi europei consociamo bene per l’energia. Vale anche per beni primari come quelli agricoli e alimentari”.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali