Stefano Patuanelli (Ansa)

contro i falsi miti

Patuanelli apre all'import di mangimi Ogm. Perché la coltivazione no?

Roberto Defez

La guerra in Ucraina mostra i suoi effetti anche sull'agricoltura e per i mangimisti italiani resta solo un mese di autonomia, prima di dover abbattere gli animali. Così il ministro delle Politiche agricole chiede meno ideologia e pregiudizi

Si dice che “in tempo di tempesta, ogni anfratto diventa un porto sicuro”. Forse si è rifatto a questo detto il ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli nel chiedere meno ideologia nella scelta dei mangimi da importare, superando i pregiudizi verso il mais Ogm coltivato negli Stati Uniti. I mangimisti italiani avevano lanciato l’allarme per la carenza di mangimi che ci lasciano autonomia per un solo mese prima di dover iniziare ad abbattere gli animali. I problemi sono veri e antichi, ma vanno meglio precisati. 

 

Importiamo massicciamente da Russia e Ucraina mais, soia e grano. Tra poche settimane si chiuderà la finestra per poter seminare tutte queste derrate in Ucraina, ma non ci sono semi, non ci sono trattori e non c’è gasolio per farli camminare, quindi non solo scarseggiano già ora queste materie prime, ma mancheranno anche in futuro stante lo stato di guerra. A peggiorare la situazione si annuncia un calo del 20 per cento dei raccolti in Argentina. Poi c’è il capitolo dei fertilizzanti dove il primo produttore mondiale è il Canada, ma al secondo e terzo posto troviamo Russia e Bielorussia: non a caso anche il prezzo dei fertilizzanti è già volato alle stelle. Bene fa il ministro Patuanelli a preoccuparsi di far cadere ideologie e pregiudizi, ma qui è il Pnrr che deve essere aggiornato visto che il mondo è cambiato, per la seconda volta il 21 febbraio. 

 

L’Italia era autosufficiente per la produzione di mais solo 18 anni fa, poi abbiamo deciso di non seguire l’evoluzione del miglioramento genetico del mais che con le varianti Bt consentiva di alzare le rese per ettaro e quasi annullare i trattamenti con insetticidi. Noi invece abbiamo scelto di usare vecchie tipologie di mais e continuare a transitare due volte l’anno con i trattori per irrorare le piante di mais con insetticidi che oltre a debellare gli insetti del mais (la piralide) uccidono anche farfalle, formiche e magari coccinelle. Le varietà Bt sono una collezione di centinaia di tipi di piante di mais geneticamente migliorate quasi tutte autorizzate per l’importazione in Europa e in Italia,  per il consumo sia animale sia umano. Noi importiamo mais Ogm dagli Stati Uniti dal 1996 e lo aggiungiamo all’altro componente essenziale della dieta animale, ossia la soia che è per oltre l’80 per cento Ogm.

 

L’Ucraina era il principale produttore di soia non-Ogm, ora sarà duro trovare sostituti. Da decenni in Italia quasi tutta la mangimistica è fatta con Ogm. Nessuno dei grandi consorzi di tutela usa mangimi no-Ogm: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele, e poi salumi, yogurt, latti, carni, polli e perfino pesce d’allevamento. Ciò che è vietato, non in Europa ma in Italia, è la coltivazione dello stesso mais Ogm che importiamo e i nostri allevatori trovano nei Consorzi Agrari. Se potessero coltivare mais Ogm (e meglio ancora le nuove varietà con multiple resistenze) potremmo ridurre le importazioni di mais dall’estero, sostenere i nostri imprenditori agricoli ed evitare di dilapidare un miliardo di euro l’anno per importare quel mais che oramai produciamo solo per metà dei nostri fabbisogni. Tra l’altro producendo un mais più sano dal punto di vista sanitario perché meno inquinato di micotossine. 

 

Sono tesi che come ricercatore del Cnr illustro da 16 anni in varie audizioni parlamentari e fa piacere sentire ora le parole del ministro che tenta di superare preconcetti e falsi miti. Il prezzo del mais alla borsa merci di Bologna è passato dai 330 euro la tonnellata della scorsa settimana ai 420 attuali (con o senza Ogm). Ma invece di importare queste derrate, perché non consentire agli agricoltori di coltivarsele? Sul sito setanet.it Saia e Verde ricostruiscono duemila anni di storia delle produzioni di cereali che ora produciamo con rese di sette volte più elevate di un secolo fa. Eravamo circa un miliardo di esseri umani e ora siamo quasi 8 miliardi: chi volesse tornare ai bei tempi andati metterebbe a rischio non solo la zootecnia, ma l’Homo sapiens stesso. 
 

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