Nonostante la guerra, l'Ucraina riprende l'export di cereali

Redazione

L'accordo con la Romania per il porto di Costanza e l'uso dell'asse ferrovaria verso la Polonia permetteranno a Kyiv di vendere all'estero circa 600 mila tonnellate al mese di grano 

Russia e Ucraina rappresentano insieme, secondo l'Observatory of Economic Complexity (OEC), quasi il 30 per cento delle esportazioni globali di grano, il 14 per cento di mais, il 72 per cento di olio di girasole ed il 15 per cento di semi di girasole. Questi numeri così elevati hanno portato, inevitabilmente, instabilità e forti impennate dei prezzi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. 

 

Le cose però potrebbero migliorare. Qualche giorno fa il ministro dell’agricoltura di Kyiv, Roman Leshchenko, ha dato tre importanti notizie, come riporta in un articolo il Sole 24 ore: la prima è che nonostante l’infuriare della guerra i coltivatori ucraini hanno continuato l’opera di semina, coprendo il 72 per cento dei terreni sativi; la seconda è che c'è un modo per aggirare almeno in parte il blocco marittimo imposto dai russi nei porti di Mariupol e Odesa: l’accordo tra Ucraina e Romania, in base al quale al porto di Costanza (nella regione di Dobrugia) arrivano treni carichi di merci ucraine partite dai centri di stoccaggio di Kyiv; la terza è che la capitale ucraina ha cominciato a esportare commodities in Europa utilizzando la direttrice via ferro verso la Polonia. Secondo il direttore generale dell'Ukrainian Agribusiness Club, via ferrovia si potranno esportare 600 mila tonnellate al mese di grano. 


A questo punto, come ha denunciato lo United States Department of Argicoltural (Usda), il problema potrebbero essere le cosiddette bottlenecks nelle catene di approvvigionamento, che rischiano di far impennare i prezzi. A soffrirne di più sarebbero soprattutto i paesi del Nord Africa i quali hanno una forte dipendenza dalle importazioni dall’Ucraina e dalla Russia: circa cinquanta paesi di quel lembo di terra dipendono per più del 30 per cento dai due paesi in guerra, con picchi che riguardano Egitto, Congo, Somalia, Eritrea e Tunisia. Già nel 2019, la Fao stimava che il 9 per cento della popolazione mondiale fronteggiava insicurezze alimentari, oggi quel numero potrebbe essere molto più alto. 


In Italia a preoccupare non è la carenza dei prodotti, ma la siccità e i rincari delle materie prime: dai fertilizzanti (che sono fondamentali nella produzione di cereali, e per i quali il prezzo ha registrato un aumento del 100 per cento in dodici mesi) all’energia. Fattori che inevitabilmente si rifletteranno anche sul sistema industriale e sulla produzione nazionale. 

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