una scommessa pericolosa

Dieci ragioni per non credere alla “moderazione” di Marine e mandarla subito in pensione

Il magazine francese Franc Tireur ha pubblicato un dossier per spiegare agli indecisi perché non votare al secondo turno potrebbe essere un grande errore

Con il suo nuovo sorriso e la sua immagine levigata, Marine Le Pen è  riuscita a portare a buon fine la sua strategia di “dediabolizzazione”. Un imbroglio destinato a mascherare la sua vera natura, il suo entourage e il suo programma per arrivare al potere, sfuggire alla giustizia e riempire le casse del suo partito. Nel caso in cui arrivasse all’Eliseo, Marine Le Pen (forse) non governerebbe con McKinsey, ma (sicuramente) con dei consiglieri ombra di gran lunga più pericolosi provenienti dalla “Gud connexion”. Praticherebbe la preferenza identitaria (e non nazionale) a tutti i livelli e passerebbe il suo tempo a polarizzare i francesi. Uno stile che renderebbe felici sia gli islamisti sia i putiniani. Con Le Pen, la Francia non sarebbe più rispettata, ma vassallizzata e ridicolizzata sulla scena internazionale. Una crisi istituzionale, sociale e morale si aggiungerebbe alle turbolenze del mondo. Ecco di seguito dieci regioni per mandare definitivamente in pensione Marine Le Pen.

Ragione 1 – Trump in peggio

Con Trump, Marine Le Pen ha in comune quasi tutto (la ricchezza, la passione per le fake news, la sottomissione a Putin, il populismo, l’ottimizzazione fiscale…), ma il vero punto che li unisce è la pigrizia. Tutti lo sanno, giornalisti e collaboratori: Marine Le Pen non è una grande lavoratrice, e la sua leggendaria poltroneria è  contagiosa. Trump era un fannullone affetto da un disturbo dell’attenzione, che preferiva giocare a golf piuttosto che leggere degli appunti troppo lunghi; Marine Le Pen confonde in diretta i documenti, che non legge prima.

Ragione 2 – Il diavolo è nei dettagli

Marine Le Pen è caduta nella pentola dell’odio quando era piccola. Secondo le interviste date da sua madre al momento del divorzio, Jean-Marie Le Pen avrebbe cresciuto Marine e le sue sorelle in un clima razzista e antisemita, dove era vietato guardare in faccia la realtà dell’Olocausto e dove Hitler veniva chiamato “zio Dolfi”. Era l’epoca in cui il Front national non nascondeva né i suoi nazisti, né i suoi razzisti, è questo il suo ecosistema. E il suo  modello, anche quando cerca di nasconderlo, resta il padre.

Ragione 3 – Purghe e sbornie

Marine Le Pen ha tentato  di emanciparsi e di lavorare come avvocato, ma il suo studio non le garantiva il tenore di vita cui la sua gioventù dorata l’aveva abituata. Quando suo padre le propone di tornare al Fn come responsabile del servizio giuridico con uno stipendio di 30 mila franchi al mese (un sacco di soldi), non esita nemmeno per un istante. Marine Le Pen, la beniamina, non doveva diventare l’erede politica. Ma è andata così. La primogenita, Marie-Caroline, ha tradito. A metà degli anni Novanta, mentre il Fn conquista i suoi primi comuni, Bruno Mégret e il suo luogotenente Philippe Olivier, sposato con la figlia più grande del patriarca, vuole lisciare l’immagine del partito per puntare più in alto. Una fronda con Marine Le Pen in persona organizza la repressione a colpi di purghe. Curiosamente, quando diventa presidente del Fn, arrabbiata col padre e riconciliatasi con la sorella, Marine Le Pen applica  la stessa strategia di dediabolizzazione voluta da Mégret e Olivier, quest’ultimo divenuto uno dei suoi più stretti consiglieri. La facciata è una cosa, la sostanza è un’altra. Nonostante un nuovo sorriso e una comunicazione incentrata sull’amore per i gatti, la brutalità rimane. Alla minima contestazione interna, scatta la purga. E al minimo articolo che la infastidisce, Marine Le Pen attacca. Fatto che lascia immaginare il peggio, in materia di libertà di stampa, nel caso in cui andasse all’Eliseo.

Ragione 4 – Dove tutto marcisce

Il vecchio slogan “tutti marci” di  Jean-Marie Le Pen non va più di moda al Rassemblement national. E c’è un motivo. Nessuno si trova in una posizione peggiore della leader del partito  e dei suoi quadri per denunciare “la Repubblica dei disonesti”. Una sfilza di procedure affligge il suo partito. La più grave vale  a Marine Le Pen un’inchiesta per “appropriazione indebita” con altri 23 deputati europei e assistenti del partito. Il motivo: 6,8 milioni di euro tratti dalle casse del Parlamento europeo sarebbero stati utilizzati in maniera fraudolenta per remunerare alcuni quadri e piccoli impiegati del Rn.  Il processo si terrà il prossimo anno (…). La linea di difesa   consiste nel denunciare un accanimento dei giudici, se non addirittura un complotto ordito dal potere. Per tirarsi fuori dai guai, Le Pen accredita l’idea di un complottismo di stato e offre indicazioni sulla sua intenzione di sottomettere l’istituzione giudiziaria una volta arrivata all’Eliseo. 

Ragione 5 – Il Gud

Si può certamente pensare che le consulenze di McKinsey costino troppo care, ma i francesi che votano Le Pen conoscono i suoi consiglieri ombra? Non provengono dall’Ena né dal Polytechnique, ma dal Gud. La più radicale delle scuole di estrema destra, la più “nazional-socialista” che esista. I “ratti neri” (il loro simbolo) si riconoscono grazie alle loro giacche scure, alle loro croci celtiche, al  gusto per la violenza e alla  passione per il nazionalismo arabo per antisemitismo. Si potrebbe pensare che Marine Le Pen li abbia epurati. Ma ciò significa non conoscere il funzionamento del Rn. Da un lato, il partito di Le Pen vuole sedurre quelli che odiano prioritariamente gli arabi e i musulmani. Dall’altro, il partito continua a funzionare grazie a degli uomini che detestano anzitutto gli ebrei. La “Gud connexion” ha un ruolo chiave: quello delle finanze. Di chi parliamo? Degli uomini di Riwal, società di consulenza nel settore della comunicazione dal nome bretone, gestita da alcuni ex membri del Gud, tutti vicini ai regimi russo e siriano, o ad Alain Soral, per “antisionismo”: Frédéric Chatillon, Philippe Péninque, Axel Loustau, Jildaz Mahé O’Chinal e Nicolas Crochet. Se non sapete chi sono c’è un motivo. La presidente ve li nasconde. Sta attenta a non apparire mai accanto a loro. Eppure, sono suoi amici da trent’anni e  non hanno mai smesso di frequentarsi anche quando loro erano in disaccordo sulla  “dediabolizzazione”. 

Ragione 6 – Il cuore e il debito

Una foto che la ritrae mentre stringe la mano a Putin, piena di contenuta ammirazione, doveva figurare nel suo volantino elettorale e consacrare la sua “statura internazionale. Patatrac! Nonostante la tiratura di più di un milione di copie, il volantino è stato ritirato  all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Invasione a cui Marine Le Pen, fino alla vigilia, non ha voluto credere.  “Se state cercando di farmi dire che la Russia rappresenta, per i paesi europei, un pericolo militare, vi dico che state commettendo un errore di analisi”, dichiarava alla Bbc nel novembre 2017. Poiché la mente si lascia sempre abbindolare dal cuore, la ragione di Marine Le Pen è sottomessa al suo portafoglio e bisogna riconoscere che, anche se ha spesso cambiato idea (sull’Europa, sulla dediabolizzazione, sull’economia, etc.), ha mostrato una lodevole costanza nel difendere la Russia di Putin, di cui è debitrice, avvocato e ammiratrice Marine Le Pen è diventata debitrice di creditori russi vicini al Cremlino. Per uno strano tiro del destino, il prestito di 9 milioni di euro contratto presso una banca ceco-russa è passato di società in società, fino ad arrivare – ricorda Mediapart – tra le mani di una società aeronautica sotto sanzioni americane in quanto è diretta da ex militari vicini ai servizi segreti russi. Per pura coincidenza, dicono. Restano comunque 8 milioni da rimborsare e la rateizzazione del debito dipende dal volere dei suoi creditori e da una negoziazione.

Ragione 7 – “La nemica” sognata

Secondo un mito duro a sfatare, l’estrema destra – e dunque Marine Le Pen – sarebbe automaticamente più efficace in materia di lotta contro il terrorismo islamista. Ma la realtà è ben lontana da questa propaganda. Esaminando il programma della candidata del Rn in materia di lotta contro l’islamismo, si constata che la diagnosi è apparentemente meno caricaturale di quella di Éric Zemmour, ma comunque irrealistica e inefficace. “Bisogna espellere gli schedati ‘S’ stranieri”, martella dal 2017. Molto bene. Ma come si fa, a meno di non diventare una dittatura? (…). Proporre delle leggi irrealistiche, liberticide e discriminatorie in nome della lotta contro l’islamismo ha un unico effetto: alimentare e rafforzare la propaganda vittimista propinata dagli integralisti, che costituisce il  miglior carburante per reclutare. 

Ragione 8 – Laica dell’ultim’ora

 Marine Le Pen proviene da un partito che ha sempre militato, e anche molto di recente, contro la laicità. Il Front national del 2004 vedeva nella legge sul divieto di esibire simboli religiosi a scuola un testo ispirato da un “ideale totalitario giacobino e massonico”. Pochi mesi prima, nel novembre 2003, il partito frontista era l’unico a manifestare davanti all’Assemblea nazionale al grido di “no all’esclusione laicista!” (…). La stessa Marine Le Pen non era favorevole alla legge del 2004. E’ cambiata da allora? Indubbiamente ha capito l’interesse di sventolare la bandiera della laicità per sedurre i francesi. Senza comprenderne né la storia  né il senso.

Ragione 9 – Un  problema economico

Nel 2012, Marine Le Pen voleva uscire dall’euro, ma   si è detto che avrebbe rovinato i piccoli risparmiatori. Allora, vi ha rinunciato, alimentando allo stesso tempo la fantasia di una “Frexit” salvifica. Poi è arrivato il naufragio della Brexit. E così ha rinunciato anche a questa. Veniamo al budget. In materia economica, il programma del Rn assomiglia più ad “Alice nel paese delle meraviglie” che al “Discorso sul metodo”. Le sue promesse in termini di risparmio (16 miliardi in tutto) si reggono su spese gonfiate e su una chimera: il blocco totale dell’immigrazione, più utopistico che l’avvento di una società senza classi.

Ragione 10 – Lavoro, patria e padrone

“Stiamo ancora lavorando alla liberalizzazione sindacale”, ha confidato all’Opinion, lo scorso 10 marzo, un membro della sua campagna. Ufficialmente si tratta di lottare contro la “crisi dei sindacati”. In realtà, si tratta di rompere il monopolio dei sindacati storicamente vicini alla sinistra, a favore di nuovi organismi più identitari. Il punto 10, già enunciato nel programma del 2017, prevede che ognuno possa creare il suo sindacato e presentarsi fin dal primo turno alle elezioni professionali (…). Questa “liberalizzazione” permetterebbe di aggirare una decisione della giustizia del 1998 che ha vietato i sindacati Front national, orientati verso la preferenza nazionale. E’ la porta aperta a tutte le derive, a organismi politicizzati, a sindacati comunitaristi. Se non addirittura al possibile ritorno delle organizzazioni sindacali o delle camere corporative (che raggruppano padroni e dipendenti) come accaduto con la carta del lavoro nel 1941.


Questo articolo è stato pubblicato sul numero 22 del settimanale francese Franc Tireur.
(traduzione di Mauro Zanon)

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