(foto di Ansa)

compromessi per l'Eliseo

La mutazione di Marine Le Pen

Raphaël Llorca

Dalla rabbia alla cura, dal nero ai colori pastello, dalla voce arrogante ai sorrisi, e infine i gatti. La leader del Rassemblement national ha intercettato la stanchezza dei francesi e ha deciso di fare loro da terapista. Le idee, però, sono sempre le stesse

Questa campagna presidenziale sarà ricordata come quella che ha esteso la sfera di influenza dell’estrema destra come mai accaduto prima: ideologicamente, imponendo molti dei suoi temi; elettoralmente, aumentando i punteggi dei suoi candidati a livelli senza precedenti. Éric Zemmour, candidato del partito Reconquête!,  ha dato un aiuto insperato a Marine Le Pen. Le posizioni della candidata del Rassemblement national sembrano più moderate: quando Zemmour rifiuta di distinguere tra islam e islamismo, chi si preoccupa ancora della “preferenza nazionale” proposta da Le Pen? L’immagine di Le Pen si è ammorbidita: nell’ultimo barometro Elabe per Les Echos e Radio Classique, Marine Le Pen è la terza personalità preferita dai francesi – una posizione senza precedenti per un candidato di estrema destra: lo scorso settembre, era  all’undicesimo posto.

 

Sarebbe sbagliato, tuttavia, vedere questo solo come un controeffetto di Zemmour: Le Pen è stata pazientemente in grado di costruire una propria rappresentazione che ha svuotato i tradizionali argomenti contro la destra estrema. Quando altri candidati sarebbero stati presi dal panico per il crollo nei sondaggi, quando altri avrebbero deciso di ridisegnare la propria strategia,  Le Pen ha mantenuto tranquillamente la sua. Se dobbiamo guardare da vicino il suo approccio non è per avallare il successo della sua “de-demonizzazione”, ma piuttosto per capire meglio le ragioni della relativa indifferenza con cui Le Pen si avvicina lentamente all’Eliseo. E per restare in allerta rispetto ai pericoli della seduzione narrativa ed estetica dell’estrema destra. Le Pen ha perseguito una strategia d’immagine che è l’antitesi di quelle del 2012 e del 2017, passando dallo scontro al rassemblement, all’unità, dallo choc al soft, e cercando di entrare in sintonia con i tempi e i sentimenti dei francesi. 

 

Dallo choc al soft: un’estetica neutrale 

Nel 2022, Le Pen è partita dall’ipotesi che la campagna elettorale non sarebbe stata vinta né con il dégagisme (“lasciateli andare tutti”, dichiarava Mélenchon nel 2012) né nello sconvolgimento (la “rivoluzione” promessa da Macron nel 2017), ma nell’unità. Così è nata la sua volontà di condurre una campagna per l’unità, presentandosi come il “presidente della pace civile”, chiedendo la creazione di un “governo di unità nazionale” che vada “oltre le etichette, oltre la sinistra, oltre la destra”, e non esitando a moltiplicare gli slogan coerenti a questa impostazione (“Uniti per la Francia”, “Una Francia unita e forte”). Fu forse durante il dibattito con Gérald Darmanin, ministro dell’Interno, l’11 febbraio 2021 su France 2, che il grande pubblico si rese conto di questo cambiamento radicale di posizionamento. In quel momento, il ministro si era intestato la sua legge sul separatismo, allora in discussione all’Assemblea nazionale: aspettandosi di trovare la Marine Le Pen del dibattito del 2017, Darmanin apparve destabilizzato dalla sua posizione molto più moderata. Disse: “Non penso che lei sia abbastanza dura”, poi poco dopo: “Penso che Marine Le Pen sia un po’ traballante, un po’ morbida”. Simbolicamente, Le Pen ha guadagnato la rispettabilità dal suo avversario ideologico, in diretta davanti a 1,9 milioni di persone. 

 

Dopo la pandemia, Le Pen ha abbandonato la sua postura di scontro sistematico: piuttosto che indurire la sua immagine nei confronti di Emmanuel Macron, ha preso in prestito molti dei suoi codici simbolici ed estetici. Durante le regionali del 2021, Le Pen ha voluto condurre una campagna sorridente, incarnando il rinnovamento in uno “stato d’animo di gioia, ottimista e positivo”, rivendicando anche la benevolenza cara al macronismo delle origini. Durante il congresso di Perpignan, il colore blu storico del Fronte nazionale è cambiato: da un blu scuro, profondo, tendente al nero, che emanava molta forza di carattere, è diventato un blu chiaro, tendente al bianco, più conciliante, anche più inoffensivo. “Libertà, cara libertà”, dice il suo manifesto pubblicato alla fine dell’estate del 2021, riecheggiando di nuovo gli accenti della campagna di Macron nel 2017. Lei ha una giacca blu pastello – un colore sbiadito, o “colore borghese” – e uno sfondo verde, un colore insolito per un poster di estrema destra. Ancora più sfacciatamente, nel gennaio 2022, Le Pen ha girato un video al Louvre, proprio nel punto in cui Macron aveva festeggiato la sua vittoria al secondo turno cinque anni prima, per utilizzare meglio quel simbolo “chiudere la parentesi Macron”. Laddove Éric Zemmour ha cercato di incarnare il contrappunto politico ed estetico del macronismo, in una versione decisamente conflittuale, Le Pen ha costruito l’idea di alternanza dotandosi di un sistema di segni che mutua da ciò che Roland Barthes chiamava il “Neutro”, cioè forme che evitano e sospendono ogni forma di opposizione antagonista e conflittuale.

 

Come possiamo interpretare questa inversione estetica da parte di Marine Le Pen? Primo: è la conseguenza di una lettura politica del macronismo. “Noi incarniamo ciò che Macron non è. Ora rappresenta una visione molto autoritaria, molto verticale, molto arrogante del potere. E’ il candidato del pass sanitaire, dell’ecologia punitiva e della repressione dei gilet gialli”, ha spiegato Philippe Olivier, consigliere speciale di Le Pen. “Macron è il presidente del caos”, dice Le Pen. La sua analisi è la seguente: di fronte a un presidente considerato divisivo, i francesi cercano un candidato che incarni una forma di opposizione più pacifica. “Più le fratture si accentuano, più abbiamo bisogno di apparire come una forza unificatrice”, ha spiegato Jordan Bardella, allora vicepresidente del Rn. La lettura politica è esattamente l’opposto di quella di Éric Zemmour, che descrive il presidente uscente come un “manichino di plastica”, un “automa che vaga in un labirinto di specchi”, una “maschera senza volto” – il che giustificherebbe, secondo lui, un posizionamento radicale e ideologicamente coerente. Interrogata dall’influencer Magali Berdah, Marine Le Pen afferma docile: “Penso che l’inutile, gratuita brutalità sviluppata da Éric Zemmour allontanerà molte persone che vogliono semplicemente vivere in pace, in serenità, non essere attaccate ovunque, sempre, in strada, sulla rete, sul posto di lavoro, e anche in questo mondo che è diventato molto, molto brutale (...). Non voglio aggiungere rabbia alla rabbia del mondo”.

 

 

La campagna-terapia 

C’è una ragione ancora più profonda per spiegare questa nuova strategia d’immagine, che corrisponde non solo a una lettura politica ma anche a una lettura della società francese nel suo insieme. Fratturata, traumatizzata da una serie ininterrotta di crisi (gilet gialli, pandemia, guerra in Ucraina), la società aspetta non una terapia d’urto, che la porterebbe a crollare nervosamente, ma una terapia tout court, che le permetta di guarire le ferite, alleviare i sintomi, calmare le ansie, le paure e le preoccupazioni. A questo proposito, il successo della serie “En Thérapie” è abbastanza rivelatore: in sei settimane di trasmissione, è diventato il programma più visto nella storia di Arte, con più di 35 milioni di visualizzazioni. Trasmessa nel bel mezzo della pandemia, la serie mostra i dettagli delle sessioni di psicoanalisi di diversi personaggi confrontati con un altro choc traumatico: gli attentati. “En Thérapie è una serie eccezionale, che dimostra che parlare può guarire e che ascoltare è importante”, sottolinea Bruno Patino, il presidente di Arte. 

 

Marine Le Pen sta facendo una forma inedita di campagna-terapia, che non mira più a strumentalizzare le emozioni negative (come i populisti ci hanno abituato a fare) ma ad accompagnare emotivamente i sentimenti dei francesi. In primo luogo, mettendo in scena il proprio percorso di donna ammaccata: il suo difficile rapporto con il padre, il suo status di donna single e le difficoltà a trovare l’amore, le sue gravidanze difficili (tre figli in un anno), la nevrosi del dibattito fallito nel 2017. Per la prima volta in vent’anni di vita politica, Le Pen è tornata su ognuno dei suoi errori, mettendoli in scena. E’ stato particolarmente evidente durante il suo incontro a Reims, il 5 febbraio 2022. Alla fine del suo discorso, ha lasciato il leggio, è salita sul palco e ha detto: “E ora mi prenderò qualche minuto per parlarvi di me”. La sua infanzia, segnata dalla bomba nel palazzo dove viveva la famiglia Le Pen, i suoi figli, sacrificati sull’altare della politica (“capiranno un giorno che il tempo che non ho passato con loro l’ho passato per loro”), i suoi fallimenti politici... ha parlato di tutto. “L’incontro di Le Pen si trasforma in una psicanalisi” commenta la trasmissione Quotidien. “L’emozione prima della ragione per depoliticizzare ulteriormente questa campagna”, scrive Libération, a ragione. 

 

Ogni psicoanalista deve aver seguito una terapia prima di poter esercitare. E’ in una seconda fase, una volta affrontate le nevrosi personali, che Le Pen ha potuto attenersi il più possibile ai sentimenti del popolo francese per accompagnarlo.  Nel settembre 2021, il sociologo Pierre Rosanvallon pubblicò “Les épreuves de la vie”, un’opera in cui chiedeva la rivalutazione della dimensione soggettiva nel mondo sociale. Gli individui erano sempre più plasmati da quelle che lui chiamava le “prove” della loro vita, cioè “l’esperienza della sofferenza, delle difficoltà, del confronto con un ostacolo che scuote nel profondo”. Sottolineava la necessità che i politici entrassero “in sintonia con il paesaggio emotivo del paese, che disegnassero un nuovo orizzonte di aspettative”. Quando il libro è stato pubblicato, Le Monde ha chiesto a diversi politici (Anne Hidalgo, Arnaud Montebourg, Valérie Pécresse e Le Pen) di reagire a questa “teoria dei processi”.

 

A questo proposito, è molto interessante rileggere la lettura che ne ha fatto Le Pen. Primo punto: ritorna sullo stato psicologico della società. “Come per le depressioni individuali”, scrive, “i francesi sembrano essere trascinati in un fatalismo anestetico, nonostante le difficoltà sopportate, nonostante le incertezze sul domani, nonostante la rivolta contro il disprezzo istituzionale”. In secondo luogo, osserva che è impossibile rispondere alla frammentazione della società con politiche tradizionali. “La teoria molto pertinente di Jérôme Fourquet sulla natura di arcipelago della società sembra, in pratica, avere difficoltà a trovare una risposta elettorale”. Se è impossibile riunire politicamente i diversi arcipelaghi francesi, forse è possibile riunirli emotivamente – da cui l’intuizione di fare della sua campagna una specie di specchio emotivo dei francesi. “La nostra società è diventata una società emotiva”, dice il sondaggista Stewart Chauxii. Riflette una nuova epoca, quella delle emozioni, che sono diventate decisive, persino strutturanti, per il modo in cui pensiamo al mondo di oggi e del futuro. 

 

Nella prima edizione del barometro “France-Emotions”, lanciato nel marzo 2021, la prima emozione citata dai francesi sulla pandemia  è stata la tristezza (36 per cento) e poi la disperazione (31). Le Pen ha così abbandonato la postura puramente di protesta (e tutto ciò che ne consegue: faccia tesa, voce aggressiva, dito indignato) per moltiplicare i sorrisi e le risate. Una volta descritto come “agghiacciante”, il suo sorriso è ora indossato come un segno di umanizzazione: non esita più a ridere ad alta voce, cosa che non faceva mai sul palco.  Nella seconda edizione del barometro “France-Emotions”, pubblicato nel dicembre 2021, è la stanchezza che emerge come l’emozione che meglio descrive lo stato d’animo dei francesi (57 per cento). Anche qui, Le Pen accompagnerà questo sentimento mostrando tutti i segni rassicuranti della cosiddetta “civilisation du cocon”, la teoria del bozzolo. A cominciare dai gatti, l’animale delle fusa, dell’intimità, star del web per coccole e carinerie. Con video TikTok e persino un account Instagram appositamente dedicato, Le Pen sottolinea la sua (vera) passione per i gatti: ne ha sei a casa, e ha anche approfittato del lockdown per prendere un diploma in allevamento di gatti. L’immaginario dei gatti non è una minaccia. Chi potrebbe sospettare di una donna che ama i gatti? Questo tratto, a lungo coltivato in modo dissonante in passato (urlare nelle riunioni e poi accarezzare i gatti), è pertinente ora con la strategia politica: il gatto che fa le fusa per meglio addormentare il fronte repubblicano. 

 

Un altro elemento di rassicurazione e di sostegno alla stanchezza: Le Pen moltiplica le interviste al chiuso, comodamente seduta sul divano, in ambienti caldi, con luce ovattata – dal programma “Ambition intime” alla propria serie di interviste su YouTube “M - Le décryptage”, al microfono di Hugo Décrypte o Magali Berdah. Qualche tocco kitsch a volte completa l’allestimento (una batteria, un albero di Natale), come per disattivare definitivamente ogni minaccia. In questo mondo di morbidezza, Le Pen sta sviluppando una specie di politica del bozzolo, che mira a far dimenticare la durezza del suo programma politico. 
L’ultimo esempio: all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, un sondaggio ha mostrato che il 79 per cento dei francesi era favorevole all’accoglienza dei rifugiati ucraini. Contrariamente a Éric Zemmour, che è ideologicamente testardo, Le Pen ha colto questo slancio di solidarietà, dichiarando che “la Francia era onorata” di accogliere i rifugiati ucraini. E questo, anche se qualche mese fa il Rn aveva lanciato una petizione per dire “no all’accoglienza massiccia di rifugiati afghani”. Questo episodio della campagna dimostra che, per Le Pen, la sintonia emotiva è ormai considerata più importante della coerenza ideologica. 

 

Scongiurare la seduzione

Nella conferenza al Collège de France dedicata alle finzioni politiche, lo storico Patrick Boucheron ha introdotto così le sue riflessioni: “Ciò che attrae della tirannia è il suo potere fittizio. Non solo la sua capacità di parlare e far parlare, ma anche la sua capacità di generare un’energia narrativa”. Tutto il lavoro dello storico consiste precisamente nel “cercare un modo per contrastarlo”. Durante questa campagna presidenziale, l’estrema destra di Marine Le Pen ha potuto dispiegare una precisa “energia narrativa”. Questo nostro lavoro, alla fine, consiste nel cercare il modo di contrastarlo da qui al secondo turno. 

 

Uno dei principali effetti della campagna di Zemmour è quello di aver allargato la cosiddetta “finestra di Overton”, cioè lo spettro di ciò che è dicibile e accettabile nel dibattito pubblico, imponendo espressioni che prima erano confinate in sfere marginali dell’estrema destra (la “grande sostituzione”). Zemmour è andato così lontano nel fare proposte radicali che per contrasto le proposte di Le Pen appaiono moderate. Ma non lo sono. Nelle settimane che ci separano dal secondo turno, dobbiamo lavorare per chiudere questa finestra di Overton, per mettere fine all’indifferenza verso il programma di Le Pen – per esempio, spiegando come l’idea di “preferenza nazionale”, il suo referendum proposto sull’immigrazione o il divieto del velo nella sfera pubblica siano divisivi. Lungi dal riunire le persone, frammentano e contraddicono il nostro ideale repubblicano.

 

In secondo luogo, se Le Pen si è costruita come un “imprenditore emotivo”, deve essere smentita la sua pretesa di essere l’unica a capire veramente quello che i francesi stanno passando e provando. Per non lasciare all’estrema destra il monopolio della lettura emotiva della società, dobbiamo condurre la battaglia delle emozioni, cioè dobbiamo entrare in sintonia con i sentimenti emotivi dei francesi, dando voce alla loro rabbia, alle loro angosce e alle loro speranze. Sulle macro preoccupazioni dei francesi, certo, ma anche su argomenti apparentemente più banali. In particolare, dato che ci stiamo evolvendo in un “regime iconopolitico di potere”, sono spesso alcune immagini suggestive che possono far oscillare un voto, nella segretezza della cabina elettorale. Di conseguenza, è necessario produrre quelle che potremmo chiamare “immagini emotive”, cioè immagini che rimangono impresse nella testa delle persone a causa della loro potente carica emotiva. 

 

Infine, se la demonizzazione non funziona più, c’è spazio di manovra per attaccare l’estrema destra, rendendo scomoda l’idea della sua vittoria. Scomoda, prima di tutto, moralmente. Se molti elettori di  Le Pen preferiscono evitare il radicalismo di Zemmour, in realtà queste sono due facce della stessa medaglia. Potete immaginare un governo Le Pen senza zemmouriani? Politicamente, sarebbe obbligata, in caso di vittoria, a fare loro molto spazio, anche ad affidare a Éric Zemmour l’incarico di primo ministro. Poi, materialmente, sarebbe scomodo. Poiché il cittadino si comporta sempre più come un consumatore, rivolgiamoci al consumatore proiettandolo in una Francia che oscillerebbe verso l’estrema destra. L’idea è di mostrare gli effetti concreti, nella vita quotidiana, del programma presentato da Le Pen: al di là della sua retorica sull’unità, in realtà le sue misure rovinerebbero l’aspirazione della maggioranza alla tranquillità e al conforto.


 

Raphaël Llorca, dottorando in Filosofia del linguaggio, è esperto associato della Fondazione Jean-Jaurès. Ha pubblicato presso lo stesso editore “La marque Macron”, finalista del Prix du livre politique 2021.

 

Questo articolo fa parte di “Le dossier Le Pen. Idéologie,  image, électorat”, pubblicato dalla Fondazione Jean-Jaurès questa settimana.