Un anno di terrore bielorusso

Il 9 agosto del 2020 si tennero le elezioni che Lukashenka pretende di aver vinto. Le manifestazioni, che erano iniziate prima del voto, si fecero più forti, più tenaci, pur rimanendo pacifiche. Ora stanno cambiando, ci sono i dubbi e paure, ma la voglia di democrazia non è scomparsa. La pericolosità del dittatore ormai va ben ben oltre i confini nazionali e va combattuta su tre fronti, in questo l'Ue ha un ruolo importante. I numeri, le immagini, le parole e i volti ei 365 giorni di proteste e di repressione

Il 9 agosto dello scorso anno, Aljaksandr Lukashenka si proclamava presidente della Bielorussia, senza attendere i risultati dello spoglio elettorale e ordinando la distruzione delle schede. Alcuni seggi che già avevano iniziato a contare i voti dissero che la rivale del dittatore, Svjatlana Tikhanovskaya, era in netto vantaggio. Lukashenka pretese di aver ottenuto l’80 per cento e i bielorussi che per mesi si erano organizzati nella speranza di mandare a casa l’uomo chi governa il paese dal 1994, iniziarono a riempire le strade delle principali città della nazione. Andarono sotto al palazzo del presidente per chiedere a Lukashenka elezioni libere e trasparenti. La risposta delle Forze di sicurezza fu tanto brutale quanto le manifestazioni furono pacifiche. Seguirono mesi di arresti, torture, persecuzioni, che vanno avanti ancora oggi. Gli oppositori sono stati costretti a lasciare la nazione, chi è rimasto è stato arrestato: Maria Kolesnikova, la flautista che aveva curato la campagna elettorale prima di Viktar Babaryka, poi di Tikhanovskaya è in prigione e rischia fino a dodici anni di carcere. 

 

 

 

Dall’inizio delle proteste sono state arrestate più di 35 mila persone, in carcere ci sono oltre 600 prigionieri politici. Le autorità hanno iniziato 4.600 procedimenti penali e tra i manifestanti sono morti, secondo i calcoli delle associazioni per i diritti umani, tra le 3 e le 8 persone. 

 

  

Negli ultimi mesi la pericolosità del regime di Lukashenka ha valicato i confini nazionali. Il 23 maggio, il dittatore ha costretto un aereo Ryanair che volava da Atene a Vilnius ad atterrare sul territorio bielorusso. L’aeroporto di Minsk aveva comunicato che a causa di un allarme bomba, l’aereo si sarebbe dovuto fermare e, per costringere il pilota ad atterrare, il regime mandò un Mig-29 ad affiancarlo. A bordo c’erano 170 passeggeri, tra loro il giornalista bielorusso Roman Protasevich, un dissidente che nei mesi passati aveva aiutato a organizzare le manifestazioni attraverso il canale Telegram Nexta. Protasevich venne arrestato assieme alla sua fidanzata. Fu un atto di pirateria internazionale che portò l’Unione europea a imporre sanzioni molto severe

 

 

In risposta alle sanzioni, negli ultimi mesi Lukashenka ha cercato di causare una crisi migratoria lasciando aperto il confine con la Lituania ai migranti, soprattutto iracheni. Dalle testimonianze raccolte dal governo di Vilnius, il dittatore avrebbe incentivato l’arrivo degli iracheni stringendo accordi con Baghdad. Lukashenka ha imparato l'aggressività e l'impunità da Turchia e Russia. 

 

 

Altri due fatti recenti che si sono svolti uno a Tokyo e l’altro a Kiev, dimostrano come la repressione del dittatore di Minsk abbia ormai trasceso i confini nazionali. Il primo agosto, Minsk ha cercato di costringere l’atleta Krystyna Timanovskaya a tornare in Bielorussia. La velocista aveva contestato la decisione dei suoi allenatori di iscriverla a sua insaputa alla staffetta 4 per 400. La velocista contestava la mancanza di un allenamento adeguato. Le è stato ordinato di tornare immediatamente a Minsk, ma l’atleta è riuscita a ottenere un visto umanitario per la Polonia. Pochi giorni dopo, in Ucraina, in un parco fuori Kiev, è stato trovato il corpo di un attivista bielorusso, Vitali Shishov. Gestiva una ong che aiutava i bielorussi a fuggire dal regime e il suo corpo è stato trovato impiccato a un albero. Le autorità ucraine stanno indagando per omicidio. 

 

Le proteste in Bielorussia non hanno la stessa forza dei mesi passati, le ragazze di Minsk che protestavano contro le elezioni rubate ora sono in prigione. L'inno della rivoluzione non lo canta più nessuno. Non si è affievolita la voglia di un’èra nuova per il paese, il desiderio di una Bielorussia senza Lukashenka, ma i manifestanti si stanno chiedendo come combattere senza violenza un regime che non teme violenza. 

 

  

La forza della protesta era il non avere un solo leader, di essere pura volontà di cambiamento, ma ora sono arrivati i dubbi non sugli obiettivi ma sulle modalità di portare avanti questa lotta. La leader dell’opposizione, Svjatlana Tikhanovskaya, che è stata costretta all’esilio e che dalla Lituania, uno dei paesi europei che più si è impegnato a contrastare il regime e sensibilizzare Bruxelles, cerca di portare avanti la sua battaglia. In un’intervista al Foglio aveva raccontato come se la immagina la sua Bielorussia senza Lukashenka: “Ci sono certi vecchi appartamenti da noi, li chiamiamo gli appartamenti della nonna, dove tutto è rimasto immobile dai tempi sovietici. I mobili vecchi, la moquette per terra, i tappeti sulle pareti. Vedi l’appartamento e vuoi ristrutturare tutto, buttare i materassi sfatti, i tavoli in formica, i centrini, i fiori finti. Sai che ci vorrà del tempo, fai fatica, ma immagini già quanto sarà bello iniziare a riarredare tutto di nuovo. Pregusti quanto tutto ti sembrerà luminoso, pulito, ordinato. Ecco, è questa la sensazione che provo a immaginare la Bielorussia senza Lukashenka".

 

 

"Pregusto il senso di libertà, di giustizia, di sicurezza, quando il regime non ci sarà più. E ora voglio fare tutto il possibile affinché il mio appartamento, la mia casa, la mia nazione, diventino, belli, confortevoli, vivibili. E sono sicura che senza la dittatura arrederemo il nostro paese in modo che in tanti vorranno venire da noi a investire, sarà tutto trasparente e onesto. E’ così che voglio vedere il mio paese, so che non succederà subito, ma sono sicura che tanti paesi ci verranno in soccorso. Ora – riprende Svjatlana Tikhanovskaya – ho la sensazione di essere in mezzo ai mobili vecchi, tutto è scuro, opprimente. Butteremo via tutto, una ristrutturazione di massa, e ricostruiremo la nostra Bielorussia”.