Timanovskaya è salva, ma la Bielorussia è ormai impoverita in tutto

Micol Flammini

Dallo sport alla sanità, pur di rimanere in piedi Lukashenka è pronto a eliminare il meglio del suo paese, e alle Olimpiadi è rimasto quasi senza atleti
 

Krystyna Timanovskaya è in salvo, ha ottenuto un visto umanitario dalla Polonia e nei prossimi giorni dovrebbe lasciare Tokyo per raggiungere Varsavia, come hanno fatto tanti oppositori bielorussi prima di lei. Timanovskaya è un’atleta, ha partecipato alla batteria per i cento metri e avrebbe dovuto correre ieri nelle batterie dei duecento. Ma non è accaduto, perché aveva contestato la decisione dei suoi allenatori di iscriverla alla staffetta 4 per 400, a sua insaputa, senza un allenamento adeguato. Lo aveva fatto pubblicamente, avanzando una critica sportiva, ma che il regime, che non ammette critiche, ha preso per politica. Perché in Bielorussa ormai tutto è politico, tutto deve funzionare per tenere in piedi Lukashenka che da un anno è il presidente illegittimo della nazione. Ma perché il suo potere vada avanti, il dittatore ha costruito una fortezza, che va dal governo, alle forze di sicurezza, fino allo sport. Dopo le critiche, il regime ha ordinato di riportare a Minsk Timanovskaya, sono stati i suoi allenatori a comunicarglielo, a dirle che non c’era nulla da fare, che le sue condizioni emotive non erano buone e sarebbe dovuta tornare immediatamente a casa e, se si fosse opposta e avesse reso la decisione pubblica avrebbe finito col suicidarsi.  Ma Timanovskaya non è stata visitata da nessun medico che potesse accertare il suo stato di salute mentale, era chiaro che si trattasse di una decisione presa dal regime, si è rifiutata di partire e   ha deciso di rendere pubblico il suo caso, che si somma a una lunga fila di pericolosi sequestri, soprusi e violenze perpetrati da Minsk. Grazie alla polizia di Tokyo e al Cio, il Comitato olimpico internazionale, l’atleta non è partita e ha potuto chiedere asilo alla Polonia. 

 

C’è una foto che risale al 17 agosto dello scorso anno. Le elezioni in Bielorussia c’erano state da poco più di una settimana, alle proteste contro l’elezione rubata, Lukashenka aveva risposto mandando le forze speciali, gli omon, a picchiare i manifestanti per strade e a torturali, dopo gli arresti nelle carceri: una situazione che va avanti ancora oggi. Timanovskaya, assieme ad altri atleti, aveva postato su Instagram una foto per protestare contro la violenza della polizia. Lei, in prima fila, reggeva un cartello: “Fai sport e non la guerra”. In Bielorussia hanno protestato tutte le categorie, i medici, gli operai, gli insegnanti, gli studenti, gli attori, gli ingegneri, i contadini, e anche gli atleti. Mancano i medici per vaccinare contro il Covid e per curare dal Covid, mancano gli operai per le fabbriche, gli insegnanti per insegnare, qualcuno è fuggito, qualcuno è in prigione e la stessa sorte è toccata agli atleti, con il risultato di impoverire anche la squadra olimpica in vista dei Giochi di Tokyo 2020. 

 

 

Ad agosto dello scorso anno, gli sportivi in piazza contro Lukashenka hanno creato una nuova associazione, l’Unione libera degli atleti, un movimento contro il dittatore che aveva come obiettivo principale quello di sensibilizzare il Cio riguardo a quello che stava accadendo in Bielorussia e anche riguardo alle irregolarità a cui era sottoposto il Comitato olimpico nazionale (Noc), che in violazione alla Carta olimpica, era presieduto proprio da Lukashenka. Tra i leader di questa associazione di atleti c’era la cestista Yelena Leuchanka, che è poi stata arrestata all’aeroporto di Minsk a fine settembre e condannata a quindici giorni di detenzione per aver organizzato proteste non autorizzate. La pressione degli atleti in questi mesi hanno spinto il Cio a guardare con attenzione quel che accadeva nel mondo dello sport bielorusso, dove, in seguito alle critiche, Lukashenka ha ben pensato di orchestrare una seconda elezione farlocca, questa volta per scegliere il nuovo capo del Comitato olimpico bielorusso. E’ stato scelto suo figlio Viktar, ma il Cio ancora oggi non lo riconosce come presidente e aveva approfittato dell’occasione per dire che il Noc non aveva fatto abbastanza per proteggere i suoi atleti dalla discriminazione politica. Questo è stato il secondo schiaffo da parte del Cio al regime di Minsk, il primo era stato ben più doloroso: aveva bandito il dittatore e suo figlio da tutte le attività del Comitato olimpico internazionale e anche dai giochi olimpici. 

 

Quando Timanosvkaya ha chiesto l’intervento del Cio, il comitato era ben preparato sul dossier bielorusso, aveva già tracciato le sue linee rosse e ha evitato che un altro cittadino bielorusso, dopo Roman Protosevich, venisse sequestrato dal regime. Il marito e i figli dell’atleta sono riusciti a fuggire ieri, ora sono in Ucraina e aspettano di raggiungerla. In questi mesi è stato lui ad allenarla, e nella prima intervista dopo la fuga da Minsk ha accusato la squadra olimpica di non avere personale all’altezza: l’allenatore ufficiale di Krystyna si trova in Austria da mesi. Mantenere in piedi un regime comporta lo svilimento delle qualità di un paese, ed è quello che sta accadendo anche allo sport bielorusso, come agli altri settori.
 

Intanto, in Bielorussia, dopo la notizia che l’atleta era ormai all’ambasciata polacca a Tokyo, le forze speciali si sono dirette verso casa dei suoi genitori. Hanno detto a sua madre che Krystyna si è ormai venduta ai servizi stranieri ed è una minaccia per il paese. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.