Il primo ministro svedese Stefan Lofven (foto LaPresse)

La borsa o la vita

Giulio Meotti

La Svezia è la sola a restare aperta. “Quanti sono i sacrificabili per non danneggiare l’economia?”

Roma. “La cura rischia di essere peggiore della malattia”, sembra dire al Financial Times Jacob Wallenberg, il “principe” della dinastia svedese a capo della banca Seb con investimenti nelle principali industrie del paese, da Ericsson a Saab. Se la crisi si protrarrà a lungo, la disoccupazione potrebbe colpire il 20-30 per cento, così come le economie potrebbero contrarsi altrettanto. “Non ci sarà alcun recupero”, dice Wallenberg. “Ci saranno disordini sociali. Ci sarà violenza. Ci saranno conseguenze socio-economiche, disoccupazione. I cittadini soffriranno drammaticamente”.

 

La Svezia, almeno fino a ieri, appare come l’unico paese che ha deciso di tenere aperto. “Business versus life” è il dibattito nel paese, dove ci sono 2.858 casi confermati di coronavirus e 77 morti. Si punta tutto su una previsione: la pandemia si calmerà a maggio e riprenderà in autunno. Il principale epidemiologo svedese, Anders Tegnell, ha negato che l’approccio del paese sia quello di costruire la famosa “immunità di gregge” nei confronti del virus, una tattica apparentemente perseguita in Gran Bretagna e Paesi Bassi fino a quando entrambi gli stati hanno cambiato rotta (ieri il premier inglese Boris Johnson è risultato positivo). Ma Tegnell ha ammesso al giornale Svenska Dagbladet che un obiettivo del genere non è “contraddittorio” con quella che ha descritto come la strategia principale del governo, che sarebbe quella di garantire “una lenta diffusione dell’infezione e che i servizi sanitari abbiano un carico di lavoro ragionevole”.

 

Gli operatori sanitari svedesi esprimono sempre più preoccupazione per il fatto che il governo potrebbe favorire la salute dell’economia rispetto a quella del pubblico. “Sono profondamente preoccupato”, ha detto all’emittente Svt Fredrik Elgh, professore di Virologia all’Università di Umeå. Un altro esperto, Joacim Rocklöv, professore di Epidemiologia e Sanità pubblica a Umeå, ha dichiarato: “Quante vite sono disposti a sacrificare per non rischiare un maggiore impatto sull’economia?”. Il Journal of the Swedish Medical Association ha pubblicato un documento sui pericoli della strategia, mentre il quotidiano Dagens Nyheter ha pubblicato un editoriale di Stefan Hanson, esperto in medicina internazionale, e Claudia Hanson, una epidemiologa: “Vediamo la situazione in Italia”, hanno scritto gli autori, “e siamo solo poche settimane indietro… Non possiamo arrenderci”.

 

Una “bolla finanziaria”?

 

Marcus Carlsson, un matematico della Lund University, è fra i più critici della politica del governo e ne ha descritto l’approccio come “un folle esperimento con dieci milioni di persone”. Tegnell e il premier Stefan Löfven “giocano alla roulette russa con la popolazione svedese”, ha detto Carlsson. Invece Johan Carlson, capo dell’Agenzia di sanità pubblica svedese, ha difeso l’approccio del governo, affermando che il paese “non può prendere misure draconiane che hanno un impatto limitato sull’epidemia ma eliminano le funzioni della società”.

 

Kerstin Hessius, un’importante gestore di fondi, è fra quelli che sostengono che il paese potrebbe scambiare un disastro con uno peggiore. Immediata la reazione di Leif Östling, ex amministratore delegato del colosso automobilistico Scania, che accusa gli svedesi di vivere in una “bolla finanziaria”: “Abbiamo una serie di princìpi etici nella nostra società che si basano su una visione umanistica”, ha detto Östling. “Non dobbiamo scendere a compromessi e diventare cinici”. Ma il punto è proprio questo. Non è che la Svezia tenta questo azzardo proprio perché ha rinunciato a quell’umanesimo evocato e ha invece abbracciato una forma di utilitarismo estremo?

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.