(foto LaPresse)

L'offerta ad Assange

Eugenio Cau

Trump ha davvero promesso la grazia al fondatore di Wikileaks? Intanto la dà alla “palude” che doveva drenare

Milano. Uno degli avvocati di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks che in questo momento si trova in detenzione nel Regno Unito e combatte contro l’estradizione in America, ha detto mercoledì durante un’udienza che il presidente americano Donald Trump nel 2017 fece un’offerta al suo cliente. L’offerta arrivò tramite Dana Rohrabacher, ex parlamentare trumpiano (ha perso il suo seggio alle elezioni di midterm del 2018) ed era: Assange fa in modo di scagionare la Russia dall’accusa di aver compiuto l’attacco hacker contro il Partito democratico americano che nel 2016 ha compromesso la campagna elettorale di Hillary Clinton (le famose email di Hillary) e in cambio Trump fa in modo di graziare Assange o comunque di offrire una soluzione a tutti i suoi guai con la giustizia. Il fondatore di Wikileaks è attualmente ricercato dagli Stati Uniti con 18 capi d’accusa per la pubblicazione di documenti riservati del dipartimento di stato americano nel 2010. Se condannato, potrebbe scontare un totale di 175 anni di prigione.

 

Scagionare i russi dagli attacchi al Partito democratico, specie in un periodo ancora infuocato come il 2017, era importante per Trump, perché avrebbe significato anche scagionare se stesso dall’accusa di collusione con il regime di Mosca per danneggiare la campagna elettorale di Hillary Clinton. Al tempo della presunta offerta Assange aveva già detto pubblicamente che l’intelligence russa non era la fonte che gli aveva consegnato le email di Hillary, ma è probabile che in questo caso gli siano state richieste prove più precise, capaci di escludere ogni dubbio. Fin dal gennaio del 2017 la comunità d’intelligence americana ha invece concluso “con un alto livello di sicurezza” che l’attacco hacker e la successiva diffusione delle email facevano parte di un piano della Russia per danneggiare Hillary Clinton e favorire Donald Trump.

 

La Casa Bianca ha negato che Trump abbia mai fatto proposte ad Assange per tramite di Rohrabacher. Anzi, Stephanie Grisham, la portavoce della Casa Bianca, ha detto che “il presidente conosce a malapena Rohrabacher, sa solo che è un ex deputato. Non ha mai parlato con lui di questo o di altri temi”. In realtà, Trump invitò Rohrabacher alla Casa Bianca nell’aprile del 2017 dopo averlo sentito parlare bene di lui in televisione. Rohrabacher, un trumpianissimo con posizioni esplicitamente filorusse che durante il suo periodo al Congresso era noto come “il deputato preferito di Putin”, ha detto di non aver mai parlato al presidente di Assange, ma ha detto che durante i suoi colloqui con il fondatore di Wikileaks ha sollevato la possibilità che in cambio di prove che scagionassero i russi avrebbe cercato di convincere il presidente a graziarlo.

 

La rivelazione dell’avvocato di Assange, a Londra, è arrivata mentre a Washington Trump annunciava i nomi delle persone a cui avrebbe concesso la grazia presidenziale. Sono tutti “white collar criminals”, cioè persone accusate non di crimini violenti ma di corruzione, abuso di potere, frode. Tra questi c’è Rod Blagojevich, l’ex governatore dell’Illinois condannato per estorsione, concussione e corruzione; Trump ha commutato la sua sentenza. C’è Edward DeBartolo, ex proprietario della squadra di football di San Francisco, condannato per una frode nel settore del gioco d’azzardo. E c’è Bernie Kerik, ex capo della polizia di New York condannato per aver preso una mazzetta da 250 mila dollari.

 

Come ha notato il giornale online Axios, questi personaggi sono praticamente la rappresentazione della “palude” che Trump aveva promesso di drenare durante la campagna elettorale, il fetido e corrotto ambiente washingtoniano degli affaristi e dei politicanti. C’è un’altra possibile grazia che sarebbe più in linea con quella presunta ad Assange: secondo il New York Times, Trump sta considerando la possibilità di commutare la sentenza di Roger Stone, il suo ex consigliere condannato ieri a tre anni di prigione perché avrebbe, tra le altre cose, mentito sotto giuramento e cercato di corrompere i testimoni per ostacolare l’inchiesta del Congresso sui collegamenti tra la campagna elettorale di Trump e le operazioni di influenza russa nel 2016.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.