Le proteste davanti all'ambasciata americana a Baghdad (foto LaPresse)

Le ambasciate come ostaggi dell'Iran

Daniele Raineri

Il generale iraniano Suleimani ora si è impadronito della Zona verde e può ricattare mezzo Iraq. Goodbye americani

Roma. L’ambasciata americana in Iraq è la più grande del mondo nella sua categoria e si trova nel settore di massima sicurezza della Zona verde di Baghdad, che a sua volta è già un settore molto sorvegliato sulla riva del fiume Tigri nel centro della capitale irachena. Per accedervi è necessario passare come minimo attraverso due posti di controllo – e il secondo serve per fermare persone e veicoli che hanno l’autorizzazione a entrare nella Zona verde e che pure non possono arrivare dov’è l’ambasciata americana (chi scrive è passato per questa trafila due settimane fa e ha impiegato un’ora e mezza soltanto per arrivare al muro di cinta dell’ambasciata). Eppure martedì mattina centinaia di uomini delle milizie irachene filo Iran hanno attraversato il ponte 14 luglio, che passa sul Tigri in stile Brooklyn, si sono fatti aprire un cancello dai soldati di guardia, hanno marciato fino all’ambasciata americana, l’hanno assediata con lanci di bottiglie molotov e hanno fatto temere una replica di disastri già visti in passato. Come Teheran nel 1979, quando molti diplomatici americani furono presi in ostaggio, oppure Bengasi nel 2012, quando l’ambasciatore americano Chris Stevens fu ucciso dagli islamisti libici. Mescolati alla folla c’erano molti comandanti di spicco delle milizie filoiraniane, per esempio Qais al Khazali (in passato si è vantato che i suoi uomini durante la guerra avevano ucciso più soldati americani dello Stato islamico). Se l’ambasciata non fosse un edificio fortificato progettato per resistere agli assalti e se l’Amministrazione Trump non avesse deciso di mandare subito rinforzi – marines arrivati in volo da altre basi in medio oriente – e di fare pressione sul governo iracheno, non è detto che il disastro non sarebbe arrivato. Non è arrivato, ma resta il problema di uno stato, l’Iraq, dove il governo si dichiara alleato di Washington ma allo stesso tempo è dominato da milizie che non vedono l’ora di fare la guerra contro gli americani su ordine dell’Iran. Questa situazione produce scene surreali. Fra gli uomini che due giorni fa tentavano di sfasciare l’ingresso dell’ambasciata c’erano anche divise del corpo di guardia della Zona verde e divise di un’altra unità che fino a quattro giorni fa era impegnata a essere addestrata da militari americani.

 

 

Il sito della tv al Hurra rivela che sei giorni fa il generale iraniano Qassem Suleimani, che comanda le operazioni all’estero delle Guardie della rivoluzione, ha fatto in modo di far nominare un suo fedelissimo, il generale iracheno Tahseen al Aboudi – nome di battaglia Abu Muntazer al Husseini – a capo della sicurezza della Zona verde in modo da poter intimidire le missioni diplomatiche in Iraq a cominciare da quella americana. Ma nell’area finita sotto la sua competenza ci sono anche le sedi diplomatiche di Gran Bretagna e Arabia Saudita e soldati di molti paesi, incluso un contingente italiano. In pratica Suleimani si è assicurato il controllo fisico della zona più delicata del paese, saprà tutto di chi viene e chi va e potrà ordinare azioni di rappresaglia contro i governi stranieri all’interno dello stesso luogo cintato dove credevano di godere di un minimo di sicurezza. Ed è successo subito: dopo che domenica gli aerei americani hanno bombardato cinque basi di una milizia – Kataib Hezbollah – accusata di avere lanciato razzi contro una caserma della Coalizione, le milizie che prendono ordini da Suleimani hanno fatto la loro esibizione di forza nel settore in teoria più inaccessibile di un paese che vive in regime di massima sicurezza.

 

 

Molti media americani hanno scritto che ad assaltare l’ambasciata sono stati “manifestanti”, ma così si rischia di creare confusione con il movimento di protesta di piazza Tahrir, che a pochi chilometri chiede la rimozione dei politici troppo compromessi con l’Iran – quindi è nemico giurato di Suleimani. Il generale iraniano potrebbe essersi assicurato il controllo della Zona verde proprio per guidare meglio le prossime fasi della politica in Iraq e salvaguardare gli interessi di Teheran. Il secondo obiettivo è cacciare gli americani e sul medio termine sembra molto realizzabile. 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)