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L'impatto che le ragazze lasciano sulla protesta per la libertà a Baghdad

Daniele Raineri

Molte giovani si sono prese un ruolo attivo nelle manifestazioni. In piazza si possono vedere studentesse di medicina curare i feriti. Che effetto avrà sui manifestanti una visione così insolita per un paese musulmano rigido e conservatore come l'Iraq?

Baghdad, dal nostro inviato. Le chance di successo della protesta irachena sono basse. C’è una sproporzione spaventosa fra i manifestanti disarmati di Baghdad e la macchina di repressione ben rodata delle milizie appoggiate dall’Iran. Ma questi due mesi e mezzo di sit-in in piazza sono un esperimento che va molto oltre la politica e il cambiamento più interessante riguarda le donne. L’Iraq è un paese musulmano rigido e conservatore, eppure in piazza si vedono molte giovani che si sono prese ruoli attivi. Alcune girano in camice bianco attorno alle cliniche di fortuna allestite sui marciapiedi (una tenda più qualche lettiga più qualche scatola di medicinali), altre sono negli edifici occupati assieme ai maschi, altre ancora sono nel sottopassaggio di Tahrir che con i suoi murales fa da manifesto della protesta. La metà di loro porta il velo sul capo, l’altra metà no. 

 

 

Sarà meglio intendersi per evitare equivoci: quando si scrive “molte giovani” s’intende “molte” se paragonate a zero, che sarebbe il numero naturale. La capitale è dominata dalla maggioranza sciita e viene da anni di violenza indicibile e di condizioni di sicurezza scarse e per questi motivi le donne finora erano state costrette a tenere un profilo bassissimo. L’Iraq non è il Libano oppure la Turchia, dove soprattutto nelle aree urbane è normale vedere donne nelle manifestazioni. Detto questo, è chiaro che questa protesta è anche un luogo di liberazione. Una delle scene più di rottura è a piazza Wathba, che da Tahrir dista circa un chilometro. Wathba in queste settimane è diventata il fronte degli scontri quotidiani con le forze di sicurezza irachene. Se Tahrir è presidiata dai manifestanti della prima ora, gli idealisti, a Wathba ci sono gli iracheni che si sono uniti alla protesta nella fase successiva e che arrivano dalle città del sud, come Nassiriya e Bassora, luoghi ancora più conservatori di Baghdad. Sono i giovani dei clan, con una mentalità tribale che li porta a fare cose spaventose e che vivono gli scontri come un rito di passaggio. Sono loro che giovedì 12 dicembre hanno linciato un ragazzo perché credevano che avesse sparato sulla folla. Ebbene, pure in mezzo a questa fazione – che non gode della fiducia di tutti – arrivano le volontarie in camice bianco che studiano medicina a Baghdad e che si occupano di loro iniziativa di curare i feriti. Nella maggior parte dei casi si tratta di fare cose semplici, come lavare gli occhi irritati dai candelotti lacrimogeni o soccorrere chi ha crisi di vomito e non respira più bene – se ci fossero feriti gravi sarebbero trasportati nelle cliniche nelle retrovie. “Sono venuta qui perché è una cosa che so fare ed è la cosa giusta da fare – dice una di loro al Foglio – è una decisione che ho preso io. E’ molto importante fornire cure mediche a chi tiene le piazze contro l’esercito e le milizie, perché quando i manifestanti vanno a chiedere cure mediche negli ospedali rischiano di essere arrestati. Le forze del governo vanno a controllare ogni giorno, si fanno dare i nomi, portano via la gente dai letti”. E infatti molte di queste donne preferiscono non dare il nome completo e tenere la faccia coperta davanti alla macchina fotografica, anche se non tutte. Ce ne sono alcune che sono molto fiere di andare in giro senza nascondersi. 

 

 

L’impatto sui manifestanti di Wathba è indelebile. Donne indipendenti che si prendono cura di te per il solo motivo che avete una causa libertaria in comune. Non c’è affiliazione religiosa, non ci sono ragioni di clan, non c’è un ordine che arriva da qualcuno. Chissà che quando torneranno nel sud non abbiano cambiato idea sul ruolo delle donne nell’Iraq più libero che vorrebbero.

 

Manca, o almeno non abbiamo visto, il pezzo più importante: ci sono donne anche nel misterioso comitato che prende le decisioni (come per esempio non tentare di sfondare le barricate della polizia che bloccano i ponti, perché darebbe al governo un pretesto per scatenare un’ondata di repressione ancora più brutale)? Non è dato saperlo. I leader di questa protesta irachena si tengono nascosti per non essere presi e puniti.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)