La soluzione europea per i prigionieri dell'Isis fa sembrare Guantanamo un club di costituzionalisti

Daniele Raineri

Qualche anno fa l'Europa considerava la situazione della base militare a Cuba una sospensione inaccettabile della legalità. Ora vuole far liquidare i foreign fighters all'Iraq

In Olanda il partito Vvd del premier Mark Rutte che fa parte della maggioranza discute la questione dei combattenti europei che sono andati in Siria e Iraq per arruolarsi nello Stato islamico e arriva a questa conclusione: non c’è problema se saranno giudicati in un tribunale in Iraq e condannati a morte. L’opposizione inorridisce, se accettassimo allora l’Olanda dovrebbe rivedere tutti i suoi trattati europei e internazionali, ma gli eventi sul campo incalzano. Per molti mesi i governi europei hanno fatto finta di nulla, come se i grandi campi curdi nel nord della Siria in cui i detenuti dello Stato islamico sono rinchiusi a migliaia non esistessero. Ora gli scontri fra curdi e milizie filoturche mettono in pericolo la tenuta di questo arrangiamento, ci sono state già evasioni e almeno un centinaio di combattenti dello Stato islamico è fuggito, una donna belga è stata appena trovata in Turchia (quindi è riuscita a superare il confine militarizzato) e c’è da trovare una soluzione (a Trump non potrebbe importare di meno la faccenda, come ha già detto). I governi europei sono costretti a uscire dal bozzolo dell’ipocrisia, devono prendere una decisione. L’aria di superiorità giuridica e morale dell’Europa, che da decenni critica con forza la pena di morte, sostiene il diritto al giusto processo di ciascun condannato, critica Guantanamo – su questo torniamo più avanti – e rifiuta l’estradizione in caso di possibile pena capitale, è in crisi. Sette paesi starebbero già trattando con l’Iraq perché smaltisca come scorie radioattive i combattenti dello Stato islamico con passaporto europeo. Francia, Gran Bretagna, Belgio, Svezia, Danimarca e appunto l’Olanda di Mark Rutte. Come si sa, i processi ai membri dello Stato islamico in Iraq durano dieci minuti, offrono zero garanzie giuridiche e finiscono nella maggioranza dei casi con una condanna a morte – come è già successo a undici francesi ma la pena non è stata ancora eseguita. L’Iraq vorrebbe per ogni combattente europeo che accetta di giudicare un prezzo di alcuni milioni di dollari. In pratica, i governi europei potrebbero trasferire dalle prigioni siriane a quelle dell’Iraq i combattenti con passaporto europeo, che poi sarebbero giudicati secondo una legge irachena che punisce la mera appartenenza allo Stato islamico e quindi non richiede molte prove a carico (i giudici europei dovrebbero invece individuare un reato, per esempio un’uccisione, e poi trovare prove a carico).

 

Nel 2003 in Europa c’erano voci molto critiche contro l’Amministrazione americana per la questione di Guantanamo, il carcere dove erano rinchiusi circa settecento prigionieri catturati in Afghanistan e Pakistan con l’accusa di fare parte di al Qaida – e venti avevano passaporto europeo. Erano considerati troppo pericolosi per essere lasciati in libertà ma allo stesso tempo non si potevano applicare le regole di guerra o della lotta al crimine e si era deciso che fossero giudicati da tribunali militari. La base militare a Cuba era stata scelta perché dal punto di vista legale non è suolo americano e quindi secondo l’Amministrazione Bush il corso ordinario delle cose dopo gli attacchi traumatici dell’11 settembre poteva essere sospeso. Europarlamentari, governi, stampa e ong in Europa consideravano la situazione una sospensione inaccettabile della legalità. Sono passati diciassette anni. Il numero di prigionieri a Guantanamo è sceso a circa quaranta. Rispetto agli europei catturati nel 2002, il numero di europei catturati con lo Stato islamico è di cinquecento volte più alto. E i loro governi hanno abbandonato le critiche del passato e vogliono liquidare la questione con una scelta che fa sembrare Guantanamo un club di costituzionalisti.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)