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Le bambole e gli iPhone: perché altri dazi faranno male a Trump

Eugenio Cau

Il presidente Usa ha detto che sta “preparando le carte” per imporre nuove tasse su ulteriori 325 miliardi di dollari di beni esportati dalla Cina. E stavolta a pagare potrebbero essere i consumatori

Milano. Il presidente americano, Donald Trump, due giorni fa ha aumentato i dazi dal 10 al 25 per cento su 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi, e ha detto che sta “preparando le carte” per imporre dazi del 25 per cento anche su ulteriori 325 miliardi di dollari di beni esportati dalla Cina dopo che Pechino ha ridotto notevolmente le concessioni promesse per porre fine alla guerra commerciale tra i due paesi. In tutto, contando i 50 miliardi di dollari di prodotti posti sotto tariffe nel 2018, i 200 a cui i dazi sono appena aumentati e i 325 miliardi in lavorazione, gli Stati Uniti potrebbero finire per imporre restrizioni alla totalità delle merci che arrivano dalla Cina, con conseguenze che forse nemmeno lo stesso Trump può sostenere.

 

C’è anzitutto una grossa obiezione da fare: nell’aumentare i dazi esistenti e prepararne di nuovi, l’Amministrazione americana è stata molto attenta a lasciarsi aperta una finestra di negoziazione. Ha detto infatti che l’aumento dei dazi vale soltanto per le navi cargo salpate a partire da oggi, non per quelle già salpate e questo significa che, prima che l’aumento dei dazi abbia effetto sulla gran parte delle merci, ci sono ancora tra le due e le quattro settimane – il tempo necessario per una nave per partire dalla Cina e arrivare negli Stati Uniti. Queste settimane potrebbero bastare per trovare un nuovo accordo e annullare parte dei dazi. Ma mentre Trump dice che queste misure faranno bene all’economia americana, il loro aumento potrebbe provocare danni consistenti a entrambi i paesi e, per la prima volta, farsi sentire direttamente dai consumatori.

 

Finora, i dazi hanno riguardato materie prime come l’acciaio, l’alluminio e la soia, oltre a beni di consumo come l’elettronica, le schede a circuiti e altri componenti dei computer, la mobilia, i materiali per i pavimenti e tutta una serie di componenti dell’industria automotive. Finché i dazi ammontavano al 10 per cento del costo del bene, i produttori cinesi e i loro clienti americani sono riusciti a dividere tra loro l’aumento del costo, evitando così di scaricarlo sul consumatore finale –  consumatore americano. Una ricerca della National Association for Business Economics di inizio anno ha mostrato come il 94 per cento degli esercenti americani non abbia aumentato i prezzi per via delle tariffe. Ma nel momento in cui i dazi andranno al 25 per cento, i produttori cinesi non potranno più sopportare i costi, specie in industrie con margini ridottissimi come quella elettronica. Questo può significare che gli americani dovranno pagare di più per comprare un computer o un’automobile.

 

Questo fenomeno diventerebbe enorme se l’Amministrazione espandesse di altri 325 miliardi la quantità di beni sotto dazi. Secondo un’analisi del Peterson Institute sarebbe coinvolto il cento per cento dei giocattoli e degli accessori sportivi importati dalla Cina, il 93 per cento delle calzature, il 91 per cento dell’abbigliamento e il 67 per cento dei prodotti elettronici. Contando che circa i tre quarti dei giocattoli dei bambini americani è made in China, e che l’industria lavora su margini bassissimi, questo significa che le Barbie, per esempio, finiranno per costare molto di più. Lo stesso varrà per le scarpe e vestiti: la American Apparel and Footwear Association ha calcolato che dazi del 25 per cento potrebbero comportare una spesa di 500 dollari all’anno a famiglia. Difficile dire quanto aumenterebbe il costo di prodotti come gli iPhone, ma i rischi sono così alti che Foxconn, l’azienda taiwanese che assembla gli smartphone di Apple, ha deciso che a partire da luglio avvierà la produzione di massa in India. Lo spostamento delle supply chain è una soluzione per molti produttori cinesi, almeno quelli che possono permetterselo.

L’Amministrazione americana può sostenere politicamente il fatto che i costi della guerra con la Cina si scarichino sui consumatori? Probabilmente no, e per questo molti dicono: Trump sta bluffando.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.