Così la guerra dei dazi peserà sull'economia dell'Unione europea

Mariarosaria Marchesano

Indici piatti o negativi su tutte le Borse. Secondo l'analisi di Carmignac, ben il 20 per cento del prodotto interno lordo dell'Ue dipende da esportazioni verso paesi extra comunitari

Milano. La guerra commerciale tra America e Cina resta la vera incognita per gli investitori che non riescono a prevedere il futuro dell'andamento dell'economia europea. Dopo la batosta subita dai mercati del Vecchio Continente lunedì scorso, come effetto dell'annuncio del presidente Donald Trump di voler applicare nuovi rincari sui beni provenienti dalla Cina, gli indici dei principali listini sono sostanzialmente piatti o negativi, segno evidente di incertezza. Secondo un'analisi del gruppo finanziario Carmignac le difficoltà percepite dagli operatori finanziari sono per lo più legate all'impossibilità di avere un orizzonte chiaro su come si evolverà il quadro congiunturale nei prossimi mesi. L'Unione europea è la prima potenza commerciale del mondo – con scambi che rappresentano il 15 per cento del totale – ma di riflesso la salute della sua economia è strettamente correlata ai paesi extracomunitari. Ben il 20 per cento del suo pil, stima Carmignac, proviene da esportazioni verso l'esterno.

 

Insomma, l'economia europea è estremamente aperta verso l'esterno e questo, paradossalmente, la rende più vulnerabile rispetto a un conflitto commerciale tra due potenze di cui non si vede la fine. "Occorre considerare che la Cina è il maggiore partner commerciale dell’Ue, subito dopo gli Stati Uniti, ma riuscire a decifrare la reale dinamica economica cinese è oltremodo difficile", dice Didier Saint-Georges, direttore e membro del comitato investimenti di Carmignac.

 

Secondo le statistiche ufficiali, la crescita economica del paese asiatico si attesterebbe stabilmente intorno al 6,4 per cento da quattro anni. "In realtà non è così e l’analisi dei dati incrociati con le statistiche economiche, più trasparenti, dei partner commerciali rivela invece che la Cina ha subito un netto rallentamento nel 2015, seguito da una vivace ripresa nel 2016 e da una nuova frenata nel 2018". Ma che cosa può sperare l’Europa dalla dinamica instauratasi in Cina nel 2019 e quali saranno le ricadute sui mercati azionari?

 

Secondo Carmignac, il rallentamento economico del paese asiatico, probabilmente simile a quello del 2015 ma aggravato dalla minaccia di sanzioni commerciali dagli Stati Uniti, è stato in qualche modo compensato dagli stimoli fiscali e monetari che il governo di Pechino è riuscito a mettere in campo contribuendo alla crescita del mercato azionario interno e innescando un effetto trascinamento positivo sugli altri mercati. Tale effetto, però, rischia di essere "modesto" e i suoi benefici per gli esportatori europei marginali, tanto più se gli accordi commerciali tra la Cina e gli Stati Uniti favoriranno, come è prevedibile, le importazioni provenienti dagli Stati Uniti.

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