Jonathan Ive (a sinistra) assieme al Ceo di Apple, Tim Cook, nel 2018 (Foto LaPresse)

Il gran designer dell'iPhone fece la rivoluzione con Steve Jobs, e ora lascia Apple

Antonio Dini

Una storia di amicizia, vetro temperato e alluminio spazzolato

Milano. Con l’uscita di scena – consensuale e con tanto di attestazioni di stima – di Jonathan “Jony” Ive, si chiude  un’èra per Apple. Ive è una delle figure più importanti nella storia dell’azienda, uno dei cavalieri della tavola rotonda della Camelot tecnologica ricreata da Steve Jobs a partire dalla fine degli anni Novanta, dopo una fulminante partenza imprenditoriale nel 1976 e un rovinoso rallentamento dalla fine degli anni Ottanta. Ive è  la penna responsabile del design degli apparecchi di Apple a partire dall’iMac del 1997 (quello di plastica colorata), passando poi per tutto quello che di buono (e meno buono) l’azienda ha fatto: iPod, iPhone, iPad, e poi ancora decine di modelli di MacBook e Mac Pro, auricolari AirPods, Apple Watch.

 

Su tutto, l’idea di design industriale figlia di una delle coppie creative più insolite della storia del business: un imprenditore geniale ed esteta del minimalismo, Steve Jobs, e la sua metà creativa, silenziosa e ombrosa: Jony Ive. Nato in Gran Bretagna, cresciuto in una famiglia di mezzi modesti, Ive si era trasferito in California e aveva iniziato a lavorare per Apple a inizio anni Novanta, quando Jobs ancora non era tornato alla guida dell’azienda. Un lavoro di prestigio ma senza grandi risultati. Poi, indeciso se andarsene da una azienda troppo devota ai dettami del designer tedesco Dieter Rams, Ive accettò un ultimo colloquio con il mercuriale fondatore da poco rimontato in sella. La leggenda narra che il colloquio di mezz’ora durò tutto il giorno, perché tra i due fu amore a prima vista. Jobs e Ive scoprirono   di avere sensibilità e gusti identici, e nel ristorante aziendale del campus di Cupertino i pranzi a due negli anni diventarono la norma. A Ive venne affidata la responsabilità di disegnare tutti i nuovi prodotti, e il designer non si risparmiò, con un principio fondamentale, caro anche a Jobs: il design industriale non è come un prodotto è fatto ma come funziona.  

 

Proprio qui però sta la contraddizione più grande del lavoro di Ive, che oggi se ne va con un conto in banca che è valutato attorno ai 10 miliardi di dollari dopo aver firmato l’inaugurazione dell’Apple Park, geniale campus aziendale voluto da Steve Jobs fin dal 2004. Ive se ne va per aprire con l’amico creativo Marc Newson LoveFrom, un  atelier  multidisciplinare tramite il quale vuole continuare a collaborare con Apple. All’azienda lascia l’eredità di un centro ricerca e sviluppo popolato da una squadra nutrita di designer e numerosi vice tra i quali non pare emerga nessuna individualità. Ma soprattutto lascia una traccia che coinvolge tutto il mondo della tecnologia. Infatti, Apple per venti anni è stata il pesce pilota del settore: tutti, dai coreani ai cinesi fino agli stessi concorrenti americani, hanno copiato a man bassa per venti anni il design di Apple, le sue scelte, la sua filosofia. Siamo entrati non solo un’èra di minimalismo imperante, ma anche in un’èra di apparecchi sempre più sottili, lucidi e difficili da riparare. L’eredità  di questo approccio è tutta di Apple, che peraltro è impegnata in modo serio da tempo sul fronte del green e del riciclo, ma la responsabilità morale è di Ive, che come il suo capo e amico Steve Jobs ha avuto in odio tutto quello che è visibile e inutile: pulsanti, cerniere, leve, fregi, scanalature, persino saldature e – orrore – viti e bulloni.

 

Il rapporto tra Jobs e Ive è stato simbiotico e ha costituito metà del successo dell’azienda. L’altra metà deriva dalla capacità di esecuzione del vice di Jobs, Tim Cook, uomo d’ordine, che infatti alla morte del capo è stato da lui  voluto al comando. Tuttavia, dal 2011, quando Jobs è scomparso per un tumore, manca ad Apple la capacità di sintesi del fondatore (“Bisogna dire molti no per ogni sì”, ripeteva) necessaria a bilanciare non solo i prodotti, ma anche gli investimenti, le strategie, le operazioni commerciali. Oggi, con l’uscita di Ive, si apre un ciclo nuovo per Apple – che forse ha anche bisogno di un nuovo linguaggio di design per i suoi prodotti.

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