Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz (Foto LaPresse)

Così Kurz ha imparato a tenere a bada i compagni di coalizione dell'Fpö (anche sui ratti)

Micol Flammini

Il cancelliere austriaco offre una risposta inedita nel controllo dell'estrema destra. Il ponte con l'est

Roma. Cosa pensi davvero Sebastian Kurz non lo sanno i suoi alleati, non lo sanno gli oppositori, non lo sa nemmeno la sua biografa, Barbara Tóth, che a lui, cancelliere austriaco di soli trentatré anni, ha dedicato un libro. Su questo dubbio, sul lasciare intendere senza mai confermare, Kurz ha costruito il suo equilibrio disinvolto tra i princìpi di una società chiusa come quella austriaca e i valori di una comunità aperta come quella europea. Nel 2017 si è preso il Partito popolare austriaco portandolo al governo con l’Fpö di Heinz-Christan Strache, l’estrema destra austriaca, euroscettica e razzista. Non tutti i popolari hanno condiviso questa decisione, andare al governo con un partito di ispirazione nazista è stata una scelta pericolosa, e in molti si domandano se Kurz si senta vicino all’estrema destra o se, avendola come compagna di coalizione, stia piuttosto cercando di controllarla e limitarla.

 

Tra le sue pose estetiche che, parlando di lui, lo scrittore Robert Menasse definì risultato di una “modernità slim-fit”, il cancelliere sta riuscendo a vincere la sua battaglia dentro al governo. Ammonisce i suoi compagni di coalizione, prende le distanze e condanna. Lo ha fatto l’ultima volta qualche giorno fa, quando in un giornale di partito pubblicato a Braunau am Inn, città natale di Hitler, è uscito un poemetto in cui i migranti vengono paragonati a ratti. I versi sono di Christian Schilcher, vicesindaco della città e esponente dell’Fpö. Kurz ha definito la poesia abominevole e razzista, Strache non ha risposto, Schilcher si è dimesso. Quando a settembre erano uscite le mail che il ministero dell’Interno, in mano all’Fpö, aveva mandato alla polizia per invitarla a limitare al minimo le informazioni da destinare alla “stampa critica”, il cancelliere era intervenuto subito per dire che qualsiasi limitazione al “giornalismo libero” era “inaccettabile”. Come non si è trattenuto quando, dopo l’attentato a Christchurch, in Nuova Zelanda, era emerso un legame finanziario tra l’attentatore e il Movimento identitario, gruppo di estrema destra austriaco: “Vienna sta lottando per sciogliere il Movimento”, aveva detto. 

 

Quando Kurz fu eletto, i principali esponenti del gruppo di Visegrád cercarono di avvicinarlo, con grande entusiasmo da parte di Strache. Ma Kurz chiarì da quale parte voleva stare. Per rispettare i parametri europei azzerò il deficit e qualche mese dopo, contro il sovranista dei sovranisti, Viktor Orbán, prese una decisione pesante: accolse la Ceu, l’università espulsa dall’Ungheria e finanziata da George Soros (Kurz ha anche votato a favore della procedura di infrazione europea contro l’Ungheria e per la sospensione di Orbán dal Partito popolare europeo). La coalizione nonostante tutto dura, l’Fpö rimane lì, mentre Kurz le ruba voti. Nella sua lotta contro l’immigrazione ha sottolineato di essere contrario ai flussi illegali, non di opporsi all’immigrazione in sé, ha infatti favorito l’arrivo di migranti regolari per sopperire alla mancanza di manodopera. Diversamente dai vari Orbán, Kaczynski o Salvini – in un’intervista in cui domandavano al cancelliere austriaco se avesse mai preso in considerazione un’alleanza europea con la Lega, lui rispose secco: “Impossibile” – Kurz non ha utilizzato la questione dell’immigrazione per fomentare i suoi elettori contro l’Ue, e si è proclamato europeista.

 

Con le sue sfumature e le sue ambiguità, il cancelliere è diventato un simbolo, “se la politica dominante vuole sopravvivere – aveva detto Alexander Stubb, ex premier finlandese – deve fare come Kurz”. Stubb si riferiva alla nuova generazione di leader conservatori che dallo spagnolo Pablo Casado al francese Laurent Wauquiez cercano un modello di rottura con la politica centrista di stampo merkeliano, finendo però, il più delle volte, a farsi risucchiare dagli istinti estremisti di una destra che per recuperare voti si sposta sempre più verso l’estremo. In Austria è successo il contrario. Prima che Kurz prendesse la leadership dei popolari, l’Fpö era il primo partito nei sondaggi. L’ex ministro degli Esteri ha relegato l’Fpö al terzo posto, invitandola poi a far parte del governo da una posizione subalterna.

  

Così Kurz, dopo diciotto mesi alla cancelleria – di cui sei alla presidenza a rotazione del Consiglio dell’Ue – ha preso una nazione che negli anni era diventata tra quelle che contavano meno e l’ha fatta tornare una voce influente, un ponte tra l’est e l’ovest dell’Unione europea. Complici anche i dati economici, la disoccupazione è scesa al 4,8 per cento e le stime di crescita sono aumentate del 2,8. Rispettando lo stato di diritto e rimanendo europeista ha provato a creare un antidoto alla democrazia illiberale di Orbán che gli euroscettici aspirano a importare. “Il suo – aveva detto Stubb – è un conservatorismo pragmatico. Kurz è la persona giusta per annientare l’orbanismo nel Ppe”.

Di più su questi argomenti: