Sebastian Kurz (foto LaPresse)

Un “populismo buono” di nome Kurz

Giuliano Ferrara

In Europa forse c’è un modello per un mezzo male minore al posto del peggio

Gli austriaci sono notoriamente riusciti a codificare per il mondo che Mozart era dei loro e Hitler era tedesco, il che è falso o discutibile. Geniale dissimulazione delle origini, importante per gli sviluppi. Quindi bisogna fare attenzione. Ma un’inchiesta accurata di Laure Mandeville per il Figaro raccontava ieri il caso Kurz (il cancelliere austriaco): è possibile un populismo buono tra virgolette? Il giovanissimo Sebastian Kurz, preso il potere tra i popolari di Vienna, dopo un anno e più di governo con i “paranazi” del Fpö, quelli che furono seguaci di Jörg Haider, è riuscito a tenere insieme la campagna antislamista, la chiusura delle frontiere a nuova immigrazione, la centralità austriaca nelle relazioni europee malgrado un contatto ideologico con il gruppo di Visegrád e un serio tono istituzionale nella vita civile, nonostante i ministeri più importanti affidati all’alleato di governo riottoso alla Ue, scalciante assai ma, ecco il caso, ora forse in via di normalizzazione politica.

 

Si sa che varie ondate migratorie hanno scalfito statisticamente, in modo rilevante, la purezza originaria austriaca. Si sa il peso dell’islam dai tempi dell’assedio di Vienna, secoli. Si sa che le politiche di integrazione in un paese opulento e allegramente marziale sono culminate in una crisi nel tempo, il 2015, dell’apertura merkeliana all’accoglienza dei siriani. Si sa che tra nazionalismo e antisemitismo, l’alleato di Kurz, specie nelle classi dirigenti regionali e in Carinzia, assume spesso le vesti di un kommando ideologico pericoloso. Ma la bolsonarizzazione o trumpizzazione o brexitizzazione o salvinizzazione dell’Austria non si è realizzata, il modello di governo e di comportamenti è lontano dai toni di rissa bullistica che si notano altrove, quando si parli di economia, e vabbè, in certi luoghi non si scherza troppo con le banche e l’establishment, eppure anche di politica estera e di sicurezza.

  

Kurz ha stranamente qualcosa della Merkel, e magari perfino di Macron, suo pari o quasi anagrafico, pur essendo salito al potere su una piattaforma di rabbia e frustrazione del ceto medio fattosi identitario, e pur essendo alleato di quei cosi che sappiamo. Ha tenuto con onore e perizia, anche senza raggiungere grandi risultati sul trattato di Dublino e altri coordinamenti europei in materia di immigrazione, la presidenza semestrale dell’Unione. E’ capace di dialogo, ha le sue impuntature ma il gioco duro si vede e non si vede, emerge anche l’altro aspetto, una cultura di stato e un senso della realtà che non minacciano isolamento: il suo capolavoro tattico è stato addirittura il voto a Strasburgo a favore delle sanzioni alla Polonia sulla questione dei diritti civili conculcati.

  

La questione della possibilità di politiche di destra conservatrice non ottuse, con relative garanzie per il blocco sociale riottoso agli estremi approdi della globalizzazione, ma senza svellere i fondamenti della convivenza civile, come invece tende ad accadere in Italia, è ovviamente pregnante anche per noi. E’ ipotesi controfattuale e per assurdo, ma se il Truce fosse andato al potere in alleanza con il Cav., che non sarà un profeta dell’accoglienza ma dice che non si devono necessariamente far marcire in mare 47 immigrati appena naufragati e riscattati dalle acque del Mediterraneo, avrebbe probabilmente trasformato la sua cavalcata demagogica in un compromesso tra bullismo e arte politica e civile. La concorrenza e il do ut des con i grillozzi, che lo costringono a tradire entro certi limiti le radici nordiste, produttiviste e buongoverniste della Lega al nord, travolgendo tutto in una gara di mascheramenti e insipienze al cui centro sta il repulisti al grido di onestà e il clientelismo di massa del sussidio, ecco il punto, spinge il Truce a essere molto sé stesso, il sé stesso di felpa & ruspa che abbiamo imparato a conoscere, con conseguenze allarmanti.

  

Kurz, a parte il costume nazionale austriaco, il controllo dei nervi, la sublimazione in politica e non in buonsenso parolaio del narcisismo, non ha avuto bisogno di stare alle regole involutive di certe gare di rutti. La differenza tra il caso Truce e il caso Kurz, radicale, sta nella relazione, da un lato, con dei nazisti tra virgolette normalizzabili tra virgolette, dall’altro con una pletora di scassapagliari che si pretende rousseauiana, di sinistra e antisistema con la sottocultura dadaista-ligure di un Freccero. Ci devono pensare anche quelli che nella vecchia destra e nel vecchio centro berlusconiano non sanno mai se e come accodarsi o ribellarsi all’andazzo. Un modello per un mezzo male minore al posto del peggio in Europa forse c’è, se proprio dobbiamo sopportare il peso di questi tempi malandrini.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.