Tutti i pericoli del populismo
Di destra o di sinistra, mette a rischio la democrazia e i diritti. Una verifica empirica
Politologi, giornalisti e anche molti politici sono preoccupati dalla stabilità delle democrazie liberali più di quanto non lo siano stati negli ultimi decenni. Secondo la pubblicistica sulla “crisi della democrazia”, il mondo vive una recessione democratica che rischia di mettere in pericolo le conquiste liberali degli ultimi decenni; stiamo assistendo in tempo reale a ciò che accade quando delle democrazie apparentemente stabili attraversano un processo di decadenza e decomposizione; e potrebbero anche affrontare la minaccia di un nuovo tipo di fascismo.
Ci sono dei buoni motivi per preoccuparsi. Negli ultimi 12 anni, i paesi che si sono allontanati dalla democrazia liberale sono stati maggiori di quelli che vi si sono avvicinati. In tutto l’occidente, i populisti hanno assunto un grande potere in un arco di tempo sorprendentemente breve. E in molti dei paesi in cui i populisti sono andati al governo, dall’Ungheria alla Turchia, hanno inflitto danni molto seri alle istituzioni che sostengono la democrazia. La narrazione convenzionale – ovvero che l’ascesa del populismo autoritario pone un ostacolo nuovo e molto pericoloso alla stabilità delle democrazie liberali – è sostenuta da molti esempi.
Allo stesso tempo, ci sono delle ragioni importanti, sia empiriche che teoriche, per essere scettici sulla crisi della democrazia. Empiricamente, non è chiaro se l’ascesa del populismo abbia finora indebolito la democrazia nel lungo termine o su una scala globale. Malgrado la recessione democratica, ad esempio, il numero complessivo di democrazie non è lontano dal suo livello massimo. Nel 2007, spesso visto come l’anno apice della democrazia, l’organizzazione non governativa americana Freedom House aveva classificato come “liberi” il 48 per cento dei paesi. Nel 2017 ne ha contato un numero pari al 45 per cento. […]
Due pretese fondamentali: le élite lavorano contro gli interessi del “popolo”; i populisti sono la voce del popolo e nulla dovrebbe ostacolarli
La difficoltà teorica è più profonda. Forse il populismo è una condizione anziché un difetto – un segno di resistenza democratica e non di decadenza democratica? Secondo questo punto di vista, le democrazie liberali sono sempre state incomplete. Fino a poco tempo fa, hanno escluso molte minoranze da una partecipazione completa al sistema politico ed economico. Hanno distribuito troppo potere nelle mani di un’élite economica e sociale. E hanno costruito un sistema economico che consegna la maggior parte dei benefici della globalizzazione a un numero ristretto di miliardari e grandi aziende. Il populismo, secondo gli attivisti come Steve Bannon e gli accademici come Chantal Mouffe, è una correzione necessaria a questi problemi: nel lungo termine si rivolgerà ai bisogni popolari, limiterà il potere spropositato delle élite politiche e finanziarie, e potrebbe rendere i sistemi politici più democratici.
In modo implicito o esplicito, entrambe le teorie si reggono su alcune assunzioni empiriche. Secondo coloro che credono nella crisi della democrazia, i governi populisti sono la causa di un deterioramento delle istituzioni. Invece, chi pensa che il momento attuale sia meno drammatico, e potrebbe addirittura presentare una grande opportunità per migliorare la democrazia, vede un impatto positivo del populismo sul sistema politico, attraverso nuovi canali di partecipazione politica.
Questo studio cerca di fornire una base empirica per affrontare il dibattito, attraverso un nuovo database globale sui governi populisti. Partendo dalle ultime ricerche teoriche ed empiriche, valuteremo l’impatto di un leader populista al governo sul sistema democratico del suo paese. I risultati sono allo stesso tempo sorprendenti e preoccupanti. I governi populisti – che siano di destra o di sinistra – hanno un impatto altamente negativo sui sistemi politici e creano un rischio sostanziale di erosione democratica.
A prima vista, i leader populisti sono così diversi tra di loro che non ha molto senso metterli nella stessa categoria. L’ex presidente del Venezuela Hugo Chávez, ad esempio, diceva di rappresentare i gruppi svantaggiati, prometteva di espandere lo stato sociale e di combattere le multinazionali. Al contrario, il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, promette di contenere la spesa sociale e di attrarre maggiori investimenti, ed è stato criticato per una serie di frasi sessiste, omofobe e razziste. Anche le identità delle minoranze sotto il mirino dei populisti possono differire, a seconda del paese e del movimento politico. Alcuni leader populisti, tipo Marine Le Pen in Francia, hanno preso di mira i musulmani, altri, come Recep Tayyip Erdogan in Turchia, hanno bersagliato le minoranze non-musulmane.
Malgrado queste differenze evidenti, i movimenti populisti hanno molto in comune: ad esempio, il disprezzo per le élite e una profonda sfiducia nelle istituzioni dell’establishment. Il primo rapporto di questa serie ha concluso che i populisti sono accomunati da due pretese fondamentali:
1. Le élite lavorano contro gli interessi del “popolo”
2. I populisti sono la voce del “popolo” e nulla dovrebbe ostacolarli
Tendono a rimanere al governo più a lungo degli altri. Uno su due ha cambiato la Costituzione e indebolito i vincoli al potere dell’esecutivo
Questa concezione del populismo racchiude il suo orientamento anti élite e la sua modalità di organizzazione politica, che prevede l’annientamento delle istituzioni politiche e della società civile in nome della volontà popolare. Usando questa definizione, abbiamo ideato il primo database del populismo, identificando 46 leader o partiti populisti al governo in 33 democrazie dal 1990 al 2018.
Questa banca dati ci consente di fornire una risposta empirica a una delle domande più urgenti dell’ascesa dei populisti: qual è il loro effetto sulle istituzioni politiche? L’assunzione chiave dei politologi convinti di aver individuato un pericolo per la democrazia è che i populisti tendono a erodere le regole e le norme dei sistemi politici esistenti al punto da recare un danno alla democrazia liberale. Al contrario, l’assunzione dei politologi che credono che sia esagerata l’idea di una minaccia alla democrazia, e che i populisti possano avere un effetto salutare sul sistema politico, è che i partiti dell’anti establishment possono controllare le élite antidemocratiche, e aprire la partecipazione politica ad alcuni gruppi che erano stati precedentemente marginalizzati. Quali di queste ipotesi contrastanti viene sostenuta dai dati?
La ricerca comparata sugli effetti del populismo è appena iniziata, anche perché fino a poco tempo fa il populismo è stato confinato ai movimenti di opposizione. Di conseguenza, non esiste ancora una comprensione globale e sistematica di ciò che avviene quando i populisti vanno al governo in un una serie di circostanze. Per rimediare a questo difetto, lo studio osserva il fenomeno populista in una prospettiva globale e valuta i modi in cui esso potrebbe alterare il funzionamento delle istituzioni democratiche. Lo studio esamina l’effetto del populismo su tre aspetti delle istituzione democratiche: la qualità della democrazia, i vincoli al potere dell’esecutivo e la partecipazione politica.
In passato, le democrazie sono cadute per via di un’insurrezione. Tra il 1960 e il 1990, quasi tre democrazie su quattro sono crollate a causa di un colpo di stato o di una guerra civile. Argentina, Brasile, Nigeria, Pakistan e Turchia hanno tutti avuto una crisi democratica attraverso l’uso della violenza, la coercizione e l’influenza di poteri non eletti. Recentemente, invece, le democrazie hanno sofferto per colpa di leader eletti democraticamente che hanno alimentato il malcontento verso lo status quo per smantellare i vincoli ai loro poteri. Dalla fine della Guerra fredda, questa è diventata la forma dominante di regressione democratica, e la metà dei casi è stata innescata da leader eletti democraticamente. Questa tendenza al collasso democratico dall’interno è ancora più chiara se si escludono i paesi più poveri e instabili. Tra gli stati con almeno 1.000 dollari di pil pro capite, quattro crisi democratiche su cinque dalla fine della Guerra fredda a oggi sono partite dall’interno. Tra queste, quasi due terzi sono state innescate da leader populisti.
I politologi Steven Levitsky e Daniel Ziblatt hanno mostrato che quando le democrazie muoiono dall’interno, come avviene al giorno d’oggi, lo fanno “in modo lento, attraverso processi invisibili”. Visto che queste tattiche sono graduali e non rivoluzionarie, e solitamente impiegano molto tempo per completarsi, oggi è molto più difficile stabilire quando muore una democrazia rispetto ai tempi in cui venivano usate le pistole e i carrarmati. Questa difficoltà è aggravata dal fatto che i populisti non nascondono l’intenzione di trasformare il sistema politico. La promessa di garantire maggiori benefici al “popolo” scredita coloro che si oppongono a questa strategia, e che vengono descritti dai populisti come una casta illegittima di élite che ha perso alle urne. Attraverso l’esaltazione del potere esecutivo come mezzo democratico per bilanciare il potere delle élite, i populisti mascherano delle riforme che danno loro il potere di scavalcare la volontà del popolo in caso di bisogno.
Il primo segno di una democrazia liberale si vede quando i leader rispettano i risultati elettorali e, in caso di sconfitta, se abbandonano le loro cariche attraverso delle elezioni libere e regolari. Questo è il motivo per cui i dati sulla longevità dei governi populisti sono particolarmente importanti. Il primo risultato è che, al contrario della narrazione popolare, i populisti tendono a rimanere al governo più a lungo degli altri.
Molti politologi, storici e giornalisti credono che la mancanza di esperienza politica dei populisti rende più difficile la loro permanenza al governo. Quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti nel novembre 2016, ad esempio, in molti prevedevano che non sarebbe durato per un intero mandato. Allo stesso modo, quando due partiti populisti, Lega e Movimento 5 stelle, hanno formato un coalizione ideologicamente eterogenea in Italia nel maggio 2018, molti esperti pensavano che il loro matrimonio di convenienza sarebbe durato poco. Ma Trump si trova ancora al governo, e la sua amministrazione è stata in grado di eseguire un cambiamento politico maggiore rispetto alle attese di molti. Anche la coalizione italiana, per ora, non mostra alcun segno di rottura.
Il malcontento verso la corruzione consente ai populisti di andare al potere, ma spesso finiscono per essere più corrotti degli altri
Secondo i dati, questo andamento è piuttosto normale. Infatti, i governi populisti tendono a rimanere in carica per più tempo rispetto ai non populisti. Usando il database Archigos sui leader politici, abbiamo osservato la durata media dei governi populisti in confronto agli altri. Il risultato è sorprendente: di media, i populisti restano al governo per il doppio del tempo (sei anni e mezzo contro tre anni). […]
Non è di per sé un segno di declino democratico che un leader liberamente eletto resti al governo per un periodo prolungato. Dopo tutto, la longevità di un leader potrebbe essere un segno del suo successo e della sua popolarità. Per capire se i populisti restano al governo per ragioni benigne o preoccupanti, è necessario osservare la situazione quando lasciano il governo dopo elezioni libere e regolari. Anche qui il risultato è preoccupante: i governi populisti non sono solo più propensi a restare al governo per un periodo prolungato; hanno anche una tendenza a lasciare il governo in condizioni drammatiche.
I leader populisti sono andati al governo in 47 occasioni tra il 1990 e il 2014, e si sono dimessi dopo aver perso le elezioni solo in otto casi (il 17 per cento). Altrettanti leader se ne sono andati dopo aver raggiunto la scadenza del proprio mandato. Un numero maggiore di politici si è dimesso o ha subìto una procedura di impeachment. I capi di stato o di governo populisti se ne sono andati in condizioni così drammatiche solo in 11 casi (23 per cento del totale). Un esito molto più diffuso – è avvenuto in 14 casi (il 30 per cento) – è che i populisti non hanno lasciato il loro incarico e sono rimasti al potere.
I risultati sollevano una domanda importante riguardo al 30 per cento dei governi populisti, nel nostro database, che sono ancora in carica. Questi sono più o meno inclini degli altri a lasciare il governo attraverso elezioni libere e regolari? Ci sono ragioni per temere che questo sia meno probabile: i leader populisti andati al governo tra il 1990 e il 2014, e tuttora in carica, sono già stati al governo per una media di nove anni. Tra questi, molti si trovano in paesi che hanno subìto una notevole erosione democratica, come la Russia con il presidente Vladimir Putin, la Turchia con Erdogan, la Bieolorussia con il presidente Alexander Lukashenko, il Venezuela con il presidente Nicolás Maduro e l’Ungheria con il primo ministro Viktor Orbán. Quindi, ci sono ragioni forti per temere che i populisti al governo oggi siano ancora più propensi degli altri populisti a lasciare il potere in condizioni drammatiche e irregolari. […]
Il database di Polity IV misura il grado di democrazia di un paese su una scala che va da -10 a 10, e un paese con un indice sotto al 6 non è più considerato una democrazia. Quando Chávez andò al governo in Venezuela nel 1998, il paese aveva un punteggio di 8; quando è morto nel 2013, è calato a -4. Il crollo della democrazia turca è stato ancora più drammatico: nel 2013, dopo dieci anni di governo Erdogan, aveva ancora un punteggio di 9; da lì in poi, è sceso a – 4.
Quanto sono diffusi questi casi? E potrebbe esserci un numero significativo di governi non populisti responsabili di una crisi democratica? La buona notizia è che la probabilità di un’erosione democratica con un leader non populista è estremamente bassa. Anche se usiamo una definizione ampia di crisi democratica – che include ogni paese che ha avuto un calo di almeno un punto – solo il 6 per cento dei leader non populisti al governo dopo il 1990 in un paese democratico è responsabile di un calo simile.
La situazione con un governo populista è più allarmante. La maggior parte dei paesi resiste ai governi populisti senza subire un calo democratico, tuttavia, non c’è dubbio che i populisti pongono un rischio sostanziale per la sopravvivenza delle istituzioni democratiche. Nel complesso, il 24 per cento dei leader populisti che vanno al governo in un paese democratico innesca una crisi democratica. In altre parole, un governo populista è quattro volte più incline a danneggiare le istituzioni democratiche rispetto a uno non populista.
Questi risultati possono fornire una risposta a un’altra domanda importante. Secondo alcuni commentatori come John Judis, è necessario fare una distinzione tra gli effetti del populismo di destra e di sinistra. Secondo questa teoria, l’ideologia che unisce i populisti di destra è la xenofobia che, per il politologo Cas Mudde, “prevede che gli stati dovrebbero essere abitati esclusivamente dai membri del gruppo nativo (la nazione) e che gli elementi non-nativi (sia le persone sia le idee) sono una minaccia fondamentale”. Invece, il populismo di sinistra esprime un’ideologia socialmente più inclusiva che promette di aggiustare i fallimenti del capitalismo. Il populismo di sinistra, secondo alcuni commentatori, è in grado di indirizzare i problemi e la rabbia degli elettori senza avere i difetti di una politica che tende all’esclusione.
Tuttavia, i nostri dati non confermano questa tesi. Tra il 1990 e il 2014, sono stati eletti 13 governi populisti di destra; 5 di questi hanno limitato le libertà civili e i diritti politici, secondo le rilevazioni di Freedom House. Nello stesso arco di tempo, 15 governi populisti di sinistra sono stati eletti; 5 di questi hanno limitato le libertà. (Nello stesso periodo, ci sono stati 17 governi populisti che non possono essere classificati né di destra né di sinistra; ancora una volta, 5 di questi governi hanno diminuito le libertà civili). Anche se questo indica un tasso di crisi democratica leggermente più alto tra i governi populisti di destra rispetto a quelli di sinistra (38 per cento vs. 33 per cento), questi dati contraddicono la tesi che il populismo di sinistra non pone una minaccia alla democrazia.
I leader populisti spesso pretendono di essere gli unici rappresentanti della volontà popolare, e questo legittima gli abusi sui vincoli legali e costituzionali al loro potere. Questa pretesa può assumere delle forme molto diverse. Secondo i populisti di sinistra, l’establishment tutela l’interesse dei ricchi e il potere delle élite. I populisti di destra sostengono che le regole e le norme della democrazia tutelano gli interessi degli intellettuali snob e dei burocrati che a loro volta forniscono dei vantaggi illegittimi alle minoranze etniche e religiose. Entrambe le premesse consentono ai governi populisti di indebolire i vincoli e gli equilibri costituzionali.
E’ possibile vederne i guasti e allo stesso tempo riconoscere le cause serie e profonde dell’insofferenza verso le istituzioni
E’ utile osservare se i populisti hanno diminuito i vincoli dell’esecutivo per aumentare le possibilità di rimanere al potere. Il risultato è molto preoccupante: il 50 per cento dei populisti ha cambiato la costituzione, e molte di queste riforme hanno allungato la scadenza del mandato o hanno indebolito i vincoli al potere dell’esecutivo.
La misura in cui i populisti hanno danneggiato lo stato di diritto può essere compresa attraverso due domande: primo, i populisti sono riusciti a distruggere lo stato di diritto, riducendo le tutele dei cittadini davanti alla legge? Secondo, i populisti sono riusciti a collocarsi al di sopra della legge, hanno usato il loro potere per evitare di essere puniti per alcuni crimini o casi di corruzione?
Per rispondere alla prima domanda, abbiamo usato l’indicatore sullo stato di diritto della World Bank Governance, che stima la proporzione dei cittadini che si fida e obbedisce alle leggi. In particolare, questo indice misura l’esecuzione dei contratti, i diritti di proprietà, la polizia e i tribunali. Come era prevedibile, i governi populisti coincidono con un deterioramento dello stato di diritto. Tuttavia, l’effetto è molto limitato e non è presente in tutti i modelli.
Allo stesso tempo, esiste un’indicazione molto più forte di come i populisti rifiutano lo stato di diritto. Usando il nostro database sui governi anti establishment, abbiamo calcolato la percentuale di populisti che si sono insediati tra il 1990 e il 2014 e che sono stati indagati per corruzione. Sorprendentemente, quattro leader populisti su 10 sono stati indagati per queste accuse. Inoltre, visto che sono stati indagati solo i leader che non hanno intralciato il potere della magistratura, è probabile che questi dati forniscano una stima al ribasso.
Un’altra indicazione di come i populisti facciano ben poco per tenere sotto controllo il malaffare si evince dall’indice di Transparency International sulla percezione della corruzione. I paesi governati dai populisti calano di cinque posizioni in questa classifica. Alcuni paesi sono messi così male quando eleggono i populisti, che è difficile fare peggio. Tra i paesi che partono dalla prima metà della classifica, c’è chi è calato di 11 posizioni durante il governo populista. Alcuni casi sono più estremi di altri: il Venezuela, ad esempio, è calato di 83 posizioni durante il governo di Chávez.
C’è qualcosa di ironico nel modo in cui i populisti usano il loro potere per scopi corrotti. Il malcontento verso la corruzione consente ai populisti di andare al potere, ma spesso finiscono per essere anche più corrotti dei governi precedenti. Per usare le parole dell’economista Barry Eichengreen, gli elettori che consentono a un leader di disintegrare le istituzioni indipendenti “gli danno il potere di ripopolare la palude anziché bonificarla – ovvero di rimpiazzare gli alligatori precedenti con i suoi”. […]
Abbiamo trovato poi che il governo populista coincide con un calo della libertà di stampa, con meno libertà civili e meno diritti politici. Abbiamo misurato ognuno di questi concetti usando i dati di Freedom House, che svolge stime annuali sulla libertà di stampa, le libertà civili e i diritti politici di ogni paese. Il governo dei populisti coincide con un calo del 7 per cento nella libertà di stampa, dell’8 per cento nelle libertà civili e del 13 per cento nei diritti politici. La magnitudo di queste variazioni è sorprendente considerando che tengono conto della storia di ogni paese, del pil pro capite e di altre variabili di qualità democratica.
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I risultati del nostro database globale sui governi populisti, e sul loro impatto sulla democrazia, sono allarmanti. Le tesi dei politologi che hanno enfatizzato il pericolo dei populisti sulle nostre istituzioni democratiche sono avallate dai dati: purtroppo, c’è un legame tra l’ascesa dei populisti e la regressione democratica. Questi risultati sottolineano la tensione tra populismo e democrazia, ed è importante specificare ciò che non implicano.
In primo luogo, molti studiosi del populismo spiegano che questa ideologia cerca di legittimare il malcontento della popolazione. Al contrario, gli studiosi più ostili al populismo sono riluttanti a riconoscere che gli elettori hanno delle preoccupazioni legittime sui problemi del loro paese. Tuttavia, questa è una falsa scelta. E’ possibile riconoscere i pericoli del populismo e allo stesso tempo credere che il malcontento del popolo verso le istituzioni abbia delle cause serie e profonde. La difesa della democrazia comporta una doppia strategia, che è quella di contrastare i populisti, riconoscere e indirizzare le cause del malcontento e difendere le istituzioni democratiche, che sono messe in pericolo dai populisti.
Secondo, i dati storici mostrano che il populismo è un pericolo chiaro per la democrazia. Questa tesi è una fonte di preoccupazione, ma non è scusa per il fatalismo. Anche se il populismo è una delle cause principali della fine della democrazia, la maggior parte delle democrazie con i populisti al governo è riuscita a sopravvivere. E’ molto importante usare questa banca dati per capire quali strategie di opposizione hanno avuto successo, e quali sono fallite.
Quali sono le lezioni per le democrazie ricche e potenti che sono attualmente governate dai populisti? E i risultati della ricerca cosa ci dicono della capacità delle istituzioni americane di resistere a Donald Trump? E’ importante capire che ci sono delle differenze tra l’America e gli altri paesi presenti nella nostra banca dati. Gli Stati Uniti sono una delle democrazie più antiche e più ricche al mondo. Il sistema politico è estremamente decentralizzato, e questo rende più complicata la concentrazione del potere nelle mani di un singolo individuo. Per queste ragioni, è molto difficile per un presidente americano sminuire la democrazia. Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare che non esiste alcun pericolo. Nei primi anni al potere, il presidente americano ha perseguito le stesse strategie usate dai populisti di tutto il mondo per indebolire lo stato di diritto. Anche se gli Stati Uniti rimangono una democrazia funzionante, molte delle sue istituzioni si sono rivelate più suscettibili alle pressioni dell’esecutivo rispetto alle aspettative degli ottimisti.
* la ricerca è stata pubblicata per il Tony Blair Institute for Global Change
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
E’ possibile vederne i guasti e allo stesso tempo riconoscere le cause serie e profonde dell’insofferenza verso le istituzioni
Due pretese fondamentali: le élite lavorano contro gli interessi del “popolo”; i populisti sono la voce del popolo e nulla dovrebbe ostacolarli
Il malcontento verso la corruzione consente ai populisti di andare al potere, ma spesso finiscono per essere più corrotti degli altri
Tendono a rimanere al governo più a lungo degli altri. Uno su due ha cambiato la Costituzione e indebolito i vincoli al potere dell’esecutivo
L'editoriale dell'elefantino