Gennaro Sangiuliano, 56 anni, direttore del Tg2 dal 31 ottobre scorso. Ha scritto fra l’altro “Putin. Vita di uno zar”

Tg2 che vai, Putin che trovi

Andrea Minuz

Macché destra, macché sinistra. Largo ai gilet gialli e all’uomo del Cremlino. Cronache di serate sul divano a studiare il tiggì di Sangiuliano, l’uomo che guida l’implacabile macchina dell’informazione sovranista

Una serata qualsiasi del nostro inverno sovranista, sbracato sul divano davanti al nuovo Tg2 di Gennaro Sangiuliano. E’ il giorno dell’endorsement per i “gilets jaunes”, dello scontro Italia-Francia, dell’“ipocrisia di Macron che ci aveva definito una lebbra”, mentre “qui in Italia quella rabbia pacifica si è trasformata in un movimento che oggi governa”. Parte il servizio d’approfondimento: sfilano uno dopo l’altro, Leonardo Da Vinci, Verdi, Cavour, la cessione di Nizza e la Savoia, la contessa di Castiglione (già in combutta coi Rothschild), i fratelli Rosselli, Nenni, Saragat, Pertini e tutti gli esuli a Parigi, perché “i cugini d’oltralpe ci chiamavano macaroni ma noi gli abbiamo dato Edith Piaf, Yves Montand, Patrick Modiano, Michel Platini” e questi non c’hanno neanche ringraziato; poi i francesi che ci fregano le colonie (“lo schiaffo di Tunisi”), le banche, Parmalat, Gucci, Bottega Veneta, ma ora basta, ora c’è Salvini, vi beccate i gilet gialli che sfasciano gli Champs Elysées e noi facciamo il tifo coi pop-corn. Tiè. Parla il ministro Fontana: “Le giuste rivendicazioni del popolo francese vengono seguite con attenzione” perché è da qui che si può formare “una grande alleanza sovranista”, magari ci riprendiamo pure Nizza, chiudiamo subito il porto. Stacco. Altro servizio. Conte spiega a parole sue i migranti di Malta, la formidabile tenuta del “sistema Italia” e rompe gli indugi su Carige, dicendo finalmente “Càrige” e non “Carìge”. Alle 20.48 si passa al formato verticale dello smartphone di Matteo Salvini, ormai format di riferimento di ogni Tg. Faccione del ministro degli Interni che parla, anzi scandisce per monosillabi nel buio di un soggiorno orrendo con libreria vuota alle spalle: “Matteo Salvini è chiaro e netto sulla vicenda immigrazione”. Alle 20.51 vanno in scena le trivelle nello Ionio, ovvero lunga zoomata sul blog di Beppe Grillo che riporta a caratteri cubitali il senso dell’operazione, “costose, pericolose, insostenibili”. Il servizio spiega che Grillo condivide la linea di “una senatrice esperta di green economy”, vale a dire, Patty L’Abbate, guru della decrescita felice in salsa pugliese e oscura teorica dell’“economia circolare” (sono parole sue). Possiamo stare tranquilli. Si sfuma sulla trepidante attesa per il discorso di Trump, arriva la sigla. Titoli di coda. Dissolvenza. Nero.

 

Non basta essere filogovernativi o istituzionali, qui bisogna “produrre un nuovo immaginario”, direbbe il fanta-strutturalista Freccero

Come un’implacabile macchina dell’informazione sovranista, il Tg2 ci catapulta dentro il futuristico 2019, “l’anno del cambiamento” e delle “fratture radicali”, come lo hanno già definito Di Maio su Rousseau e Paolo Fox all’estrazione della Lotteria Italia. Il Tg di Sangiuliano si è lanciato nel cambiamento trasformandosi in un canale ultra-salviniano e in straordinario catalizzatore della sbornia sovranista per la grande Russia di Putin, fulgido esempio di “lotta ai potentati economici e alle oligarchie finanziare”, come spiega il direttore nel suo libro, “Putin. Vita di uno zar”, la prima biografia italiana di Putin che sembra scritta da Putin: “Piccolo di statura, gracile, biondiccio ma dotato di grande determinazione nel carattere, oltre che di intelligenza, a dodici anni Vladimir legge ‘Lo scudo e la spada’, bestseller che racconta le avventure di una spia sovietica”, lettura che di lì a breve lo condurrà tra le braccia del Kgb. Siamo insomma dalle parti del Berlinguer immortalato da Vittorio Gorresio a otto anni in una marcia di protesta a Stintino; “un Mozart della rivolta sociale”, fu il celebre commento di Montanelli.

 

Nominato il 31 ottobre su proposta di Fabrizio Salini, Sangiuliano ha imposto una linea editoriale esemplare, con grandi approfondimenti storici e un nuovo “Tg Storia”, in tinta con la sua produzione saggistica. Ha rafforzato il Tg con un’altra edizione, una striscia dalle otto e trenta alle otto e quaranta, puntando molto anche su soft-news, dossier, speciali. Non basta essere filogovernativi o istituzionali, come ogni Tg1 che si rispetti, qui bisogna “produrre un nuovo immaginario”, direbbe il fanta-strutturalista, Freccero. Gli ascolti gli danno ragione. Il Tg2 vola nello share e sale rispetto agli altri telegiornali, troppo tradizionalisti, troppo ingessati. E poi, si sa, storicamente il Tg2 è sempre stato il più aggressivo di tutti, una splendida via di fuga tra le cupezze di Botteghe Oscure e le castità di Piazza del Gesù, dunque perfetto per la nuova riscrittura sovranista dopo la destra e la sinistra; il più adatto alle sperimentazioni politiche e alle contaminazioni tra i linguaggi, l’unico dove Manuela Moreno, una delle conduttrici di punta, può sfoggiare completi fetish in latex rosso che annichiliscono le più glitterate tra le mise di Lilli Gruber su La7.

 

Un luogo dell’antagonismo alle élite. C’è tutto quello che può affascinare un intellettuale italiano, un No global, un CasaPound

Gennaro Sangiuliano, detto “Genny”, ha attraversato più o meno tutto l’arco della destra italiana (dal “Fronte della Gioventù” a Napoli, negli anni Ottanta, fino all’area più berlusconiana di An), poi varie redazioni di giornali, tra cui Economy, L’Indipendente e Libero, dove è stato vice di Feltri; poi ancora vice di Minzolini al Tg1, amico di Orfeo, infine “caro amico” di Salvini, come ha scritto su Facebook, ma è ben visto anche da Di Maio e il M5s. Il suo account Twitter è un folgorante deposito di icone dell’identità nazionale e padri della Patria: Francesco Baracca, la Divina Commedia, i tramonti su Paestum, la tomba di Leonardo Da Vinci, Giuseppe Mazzini. Non manca, naturalmente, il collegamento diretto col popolo: “Il portiere del mio palazzo è per me un interlocutore importante per capire il quartiere. Se posso, impiego volentieri un’ora con un operaio o un sottoproletario ad esempio di Napoli, la mia città di origine. Lo stesso all’università: a lezione finita, mi fermo con gli studenti. Voglio sapere cosa fanno, come passano il tempo, cosa leggono, le serie tv che vedono”. Tra i primi, ha avuto l’intuizione di buttarsi a testa bassa sul filone “gilet gialli” e di non mollarlo più. Un po’ come Giletti coi vitalizi. Il discorso di Macron lo ha raccontato da Montreuil, banlieue operaia di Parigi, spedendo un inviato in un bar frequentato dai gilets jaunes che ascoltavano Macron alla radio, niente video, mentre noi li vedevamo scuotere la testa incazzati. Sabato scorso lo speciale del Tg2-Dossier, “Macron, la caduta della grandeur” ha superato il dieci per cento di share, con lodi sperticate dagli ex-colleghi di Libero: “L’approfondimento del telegiornale diretto da Gennaro Sangiuliano ha fatto il botto con un servizio che ha ripercorso i primi venti mesi del quinquennato dell’ex banchiere Rothschild ed ex ministro dell’economia di François Hollande”. Giusto pochi giorni dopo, dai microfoni del Tg di La7, anche Dibba spiegava che “Macron è solo l’ometto dei Rothschild”; perché dietro quest’Europa qui, signora mia, “c’è una mafia giudìa che mette spavento”, come direbbe Roberto Covelli.

 

Il Tg2 vola nello share. E’ l’unico dove Manuela Moreno, una delle conduttrici di punta, può sfoggiare completi fetish in latex rosso

Ma il vero punto di forza del Tg2, dicevamo, è la glorificazione di Putin. Il giorno del via libera per la nomina di Sangiuliano da parte del consiglio di amministrazione della Rai, il sito di Eurasian Press Agency ha pubblicato una ampia presentazione del neodirettore, “attento conoscitore della società russa”, incorniciata da frasi lapidarie (“Putin non piace alle élite occidentali che hanno tolto la sovranità ai popoli”) e inviti a rileggersi il discorso di Dostoevskij su Puškin che nel frattempo non è più un momento fondativo della letteratura russa ma un manifesto teorico del populismo e monito a tutte le élite del mondo, da ripubblicare presto con prefazione di Giuseppe Conte. Da vicedirettore del Tg1, Sangiuliano invitava a coltivare il dubbio di fronte alla vicenda di Sergei Skripal, l’ex spia russa avvelenata con il gas nervino (“anche gli americani avevano avuto accesso a quel tipo di gas, e poi che interesse avrebbe Putin a sollevare questo polverone?”). Da direttore del Tg2 non ha invece dubbi sulla Crimea: “Storicamente è russa”. Al Tg2 si va in estasi per la conferenza stampa di fine anno di Putin, per i successi in politica estera e in politica economica della “quinta potenza del mondo”, nonostante le sanzioni. A Natale, servizi da Mosca. Il Natale ortodosso si festeggia il 7 gennaio, così ci si butta sul Capodanno. Tante interviste ai bambini: “La capitale russa è un trionfo di luci, ci si avventura nelle piste di ghiaccio o tra i mercatini della piazza Rossa”; “venite tutti a Mosca, vi aspettiamo a braccia aperte”. Il primo gennaio va in onda un lungo servizio per commentare il discorso di auguri di Putin per il nuovo anno. Il giorno dopo, altra ricorrenza: “Era il 2 gennaio 1959, quando dal Kazakistan fu lanciato in orbita Lunik, la prima sonda spaziale del programma sovietico di esplorazione lunare”; poi l’omaggio alla lunga serie di missioni “Lunik” che riuscirono a “posarsi sulle grigie sabbie”. Altro che “First Man” con Ryan Gosling. Servizi che sembrano usciti dalla biografia scritta da Sangiuliano: “Putin è un protagonista della nostra epoca, e lo è innanzitutto per la riconosciuta capacità di essere leader, forgiatosi negli anni, strutturatosi attraverso un cursus e la prassi della vera politica”. “I politologi russi parlano di democrazia controllata e democrazia sovrana”, scrive Sangiuliano, “formule che per alcuni occidentali possono suonare come bestemmie ma che indicano quello che la democrazia può essere”, ovvero una “democrazia guidata” (secondo la formula del giornalista Vitalij Tretjankov), cioè una democrazia “condotta da un leader in diretta connessione con il suo popolo”. Basta mettere Salvini al posto di Putin e il gioco è fatto.

 

Putin come rifugio utopistico. La Russia, una democrazia “condotta da un leader in diretta connessione con il suo popolo”

Tra Foa opinionista di Russia Today e Sangiuliano a Viale Mazzini si ragiona ormai in grande: basta con l’occupazione politica della Rai dei vecchi partiti, avanti con la lottizzazione geopolitica. Già in passato, d’altro canto, l’Ambasciata Ucraina in Italia e varie associazioni avevano denunciato più volte i servizi degli inviati da Mosca, Marc Innaro o Giovanni Masotti come “errati”, “faziosi”, “propagandistici” o più semplicemente “fatti in casa” (“non stupirebbe se fossero prodotti e trasmessi da una emittente di Mosca ma lasciano alquanto sorpresi nella televisione pubblica italiana”). Ma la Russia di Putin attrae e affascina. Se ne parla da un po’, ma ormai è chiaro che soprattutto per noi si tratta di un approdo inevitabile. Putin come rifugio utopistico nel lungo naufragio del mondo dopo la destra e la sinistra. Si riaccendono con la nuova grande Russia gli ardori del radicamento profondo, il sangue, il suolo, la terra, un’alternativa identitaria al patto Atlantico, al liberalismo anglosassone, alla finanza, al cosmopolitismo corrotto del capitale giudaico. C’è tutto quello che può affascinare un intellettuale italiano, un No global, un CasaPound: cultura millenaria, spiritualità, grande letteratura, balletti, mito della rivoluzione, insofferenza per la democrazia quindi inevitabilità della dittatura, un fiero sentimento antimoderno, la sconfinata vastità degli spazi e la gnocca. Nella particolare interpretazione che ne danno il Tg2 di Sangiuliano, Salvini o i nuovi intellettuali sovranisti, la Russia è il luogo immaginario dell’antagonismo alle élite, teatro di sfrenate fantasie autarchiche e rivisitazioni della storia. Così Sangiuliano ricolloca il mito della Rivoluzione a Capri, anzi nella “scuola di Capri”, come in una nuova Capalbio marxista-sovranista cui hanno già aderito Raffaele La Capria che ha tessuto le lodi del libro sul Corriere e Mario Martone col suo “Capri Revolution”: “Proprio qui, dopo la fallita rivoluzione del 1905, si era formata una piccola colonia di esuli russi, riunitisi attorno a Gorkij, vero e proprio laboratorio di formazione per rivoluzionari”, scrive nel libro “Scacco allo zar”, ricco di scene epiche, folgoranti, documentate come quella che probabilmente gli è valsa il Premio Capalbio 2012: Lenin che esce da Marina Piccola sul grande gozzo bianco di Gor’kij e impara dai barcaioli capresi la pesca a mano col filo. Potrebbe già essere una docufiction Rai. Lo ha detto anche Freccero in conferenza stampa: “In questa nuova Rai2 la Storia prevarrà sull’intrattenimento”.

Di più su questi argomenti: