Jean-Claude Juncker (foto LaPresse)

La notizia del mea culpa di Juncker sull'austerità è fortemente esagerata

David Carretta

Le parole del presidente della Commissione Ue sulla Grecia sono una “non notizia”. Strumentalizzate a fini elettorali dal governo gialloverde

Bruxelles. La notizia del mea culpa di Jean-Claude Juncker sull'austerità è fortemente esagerata. Anzi. Se non è una fake news, è quantomeno una notizia vecchia, trita e ritrita, che però è servita a scopi di una narrativa ben precisa, solo in Italia, dove il governo populista ha strumentalizzato il modo in cui sono state riportate le parole del presidente della Commissione a fini elettorali. “Fa piacere se viene ammesso, ma non voglio entrare nel merito delle dichiarazioni di Juncker", ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “Se ne sono accorti anche a Bruxelles (…), meglio tardissimissimo che mai”, ha detto Matteo Salvini. “Le lacrime di coccodrillo non mi commuovono. Juncker e tutti i suoi accoliti hanno devastato la vita di migliaia di famiglie con tagli folli mentre buttavano 1 miliardo di euro l'anno in sprechi come il doppio Parlamento di Strasburgo. Sono errori che si pagano”, ha scritto Luigi Di Maio, di ritorno dalla sua gita nel capoluogo alsaziano per girare un video con Alessandro Di Battista. Il Corriere della Sera, come altri grandi giornali, ha dato spazio di cronaca e di commento. Peccato che nessuno sia andato a verificare ciò che ha detto davvero Juncker e il contesto storico delle sue parole su austerità e Fondo Monetario Internazionale. Sarebbe bastato qualche clic su Google e un po' di memoria giornalistica per smascherare una “non notizia”.

 

Juncker era il presidente dell'Eurogruppo durante la grande crisi dell'euro. Lo ha ricordato lui stesso nel discorso di ieri a Strasburgo, in occasione dei 20 anni dalla nascita dell'euro. “Ero presidente dell'Eurogruppo nel momento della più grave crisi economica e finanziaria”. In questo ruolo ha coordinato le decisioni che sono state prese nel primo e nel secondo salvataggio della Grecia, oltre che nei bailout di Irlanda, Portogallo e Spagna. “Sì, c'è stata dell'austerità avventata”, ha ammesso Juncker. Tuttavia “non perché abbiamo voluto punire quelli che lavorano o sono in disoccupazione, ma perché le riforme strutturali, indipendentemente dal regime monetario in cui ci troviamo restano essenziali”.

 

Insomma sull'austerità nessun mea culpa, al massimo un'ammissione e una spiegazione. Perché le riforme strutturali – pensioni, mercato del lavoro e pubblica amministrazione – spesso sono bollate come austerità, quando in realtà si tratta di... riforme dolorose ma che pagano nel corso del tempo. Ma, al di là del dibattito sulle riforme sul lato dell'offerta (“neoliberiste”, direbbero i nostalgici), Juncker è sempre stato critico di quella che generalmente definisce “austerità cieca”. Da quando è diventato presidente dell'esecutivo comunitario nel novembre 2014 più volte ha utilizzato questa espressione. Nel gennaio 2015 la sua Commissione ha approvato una comunicazione sulla flessibilità che ha storpiato il Patto di Stabilità, consentendo all'Italia oltre 30 miliardi di margine di bilancio aggiuntivo. Nel 2016 l'esecutivo comunitario ha evitato di sanzionare la Francia malgrado il deficit oltre il 3% e ha azzerato le multe a Spagna e Portogallo per non aver realizzato gli aggiustamenti richiesti dal Patto. Sempre nel 2015, sulla Grecia, Juncker e la sua Commissione si sono scontrati aspramente con il Fmi, con la Germania e altri paesi Nordici sulle misure che Atene avrebbe dovuto realizzare e sulla sostenibilità del debito.

 

Grecia e Fmi sono due ossessioni di Juncker, che raramente si tiene i sassolini nelle scarpe. Del resto il suo discorso è stato fatto davanti a un ministro della Germania e ai due presidenti della Bce che hanno gestito la crisi greca, Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, andando a braccetto con il Fmi. “Rimpiango il fatto che abbiamo dato troppa importanza all'influenza del Fmi. Eravamo diversi al momento dell'inizio della crisi a pensare che l'Europa avesse abbastanza muscoli per resistere senza l'influenza del Fmi”, ha detto Juncker, prima di passare alla Grecia. “Ho sempre deplorato questa mancanza di solidarietà al momento di quella che è stata chiamata la crisi greca”, ha detto il presidente della Commissione. “Siamo stati insufficientemente solidali con la Grecia. Abbiamo insultato e coperto di invettive la Grecia” ma “mi rallegro del fatto di vedere la Grecia, il Portogallo e altri paesi aver ritrovato, non dico un posto al sole, ma tra le vecchie democrazie europee”. Ecco, niente mea culpa nel discorso di Juncker a Strasburgo. Semmai un altro messaggio: avevo ragione io.

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