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La crisi greca e lo strana idea di solidarietà del governo gialloverde

Veronica De Romanis

Ma non era il governo di "prima gli italiani"?

"Se ci fossimo stati noi, con la Grecia saremmo stati solidali". Così ha risposto il premier Conte alla giornalista che, in occasione della presentazione del decreto del reddito di cittadinanza e di quota cento, gli chiedeva un commento alle parole del presidente Juncker circa l’austerità inflitta alla Grecia. “Noi avremmo imposto un cambiamento. Ci lasci essere un po’ presuntuosi”, ha concluso. Conte ha tutto il diritto di essere presuntuoso nell’analisi della peggiore crisi che ha colpito l’Europa dalla creazione della moneta unica. E’ fondamentale, però, attenersi ai dati che, del resto, parlano chiaro. La crisi greca comincia quando nell’autunno del 2009 l’allora premier Papandreou va in televisione e annuncia che il precedente governo ha truccato i conti: il rapporto deficit/pil non è vicino al 3 per cento, come dichiarato nei documenti ufficiali, bensì superiore al 15 per cento. In quell’occasione, Papandreou rappresenta per la prima volta il drammatico stato in cui versa il paese. Dopo anni di crescita, ottenuta attraverso un modello di sviluppo basato sulla domanda interna e un forte disavanzo con l’estero (ossia molte importazioni, poche esportazioni, molto debito e un settore pubblico che occupa oltre il 10 per cento della popolazione), il paese ha perso l’accesso ai mercati finanziari: nessuno è più disposto a prestare fondi a Atene, nemmeno in cambio di tassi di interesse elevati come avvenuto in passato. Senza più finanziamenti, la Grecia non ha risorse per pagare le pensioni, gli stipendi dei maestri e dei dottori: il fallimento è alle porte. Papandreou chiede, quindi, aiuto ai partner europei. All’inizio, tra i diversi leader prevale un senso di indignazione: come fidarsi di un paese che ha truccato i conti e, sopratutto, come condividere una moneta a quelle condizioni? Non è chiaro, poi, in che modo aiutare la Grecia: prestiti bilaterali, creazione di fondi ad hoc, ristrutturazione del debito? La decisione di intervenire non è facile (bisogna mettere d’accordo politici con mandati diversi) e ciò richiede tempo (prezioso). Dopo circa sei mesi dall’appello di Papandreou parte il primo programma di salvataggio: 130 miliardi di aiuti erogati attraverso prestiti bilaterali. Nel 2012 c’è l’accordo per un secondo programma (110 miliardi) che prevede anche una ristrutturazione del debito pubblico in mano al settore pubblico della metà del valore nominale. Il terzo pacchetto di aiuti è concordato nell’estate del 2015. In totale, la Grecia ottiene oltre 250 miliardi finanziati per la gran parte dai cittadini europei e per una parte minoritaria dal Fondo monetario internazionale. Interventi simili sono predisposti per l’Irlanda (oltre 80 miliardi), il Portogallo (circa 78 miliardi), la Spagna (40 miliardi) e Cipro (10 miliardi). Il conto pagato dall’Italia per venire in soccorso ai suddetti paesi è pari a circa 60 miliardi di euro (di cui la metà destinati alla Grecia). Si tratta di soldi che vanno a aumentare il nostro debito pubblico.

 

Il ministero dell’Economia e delle Finanze nelle tavole della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza pubblicato nel settembre scorso evidenzia come nel 2017 il rapporto debito/Pil al lordo degli aiuti si attesti al 131,2 per cento mentre al netto degli aiuti scenda al 127,8. Cosa significa? In assenza dei soccorsi alle economie in crisi, il nostro debito sarebbe stato più contenuto e, di conseguenza, la spesa per interessi sarebbe stata più bassa. Questa voce di spesa, come è noto, sottrae risorse che potrebbero essere utilizzate ad esempio per scuole, ospedali, aiuti alle famiglie: in sostanza, risorse in meno soprattutto per le fasce più deboli della società.

 

In conclusione, non c’è alcun dubbio sul fatto che l’Italia sia stata solidale. Il premier Conte sembra, forse, voler suggerire che il governo gialloverde sarebbe stato “più solidale”, ossia che avrebbe messo a disposizione della Grecia una cifra superiore ai 30 miliardi erogati. In questo caso, il premier dovrebbe indicare dove avrebbe reperito i fondi. In presenza di risorse che, purtroppo, non sono infinite e di un debito pubblico tra i più elevati della zona euro, più risorse per la Grecia significa meno risorse per il reddito di cittadinanza o quota cento. In altre parole, più ai greci e meno agli italiani. Ma il governo presieduto da Conte non era il governo di “prima gli italiani”?